Italia 1997 Recensione |
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Roberto Benigni è diventato un ometto. Con un coraggio davvero dissonante in questo film; epoca vile di fuochi nazisti ;artificio di battute e di comicità"sans souci", Benigni a sorpresa smette i panni delleterno Gian Burrasca e confeziona un film che lascerà di stucco i fanatici del "corpo sciolto". La vita è bella non è un film perfetto, ma è un film vero e commosso, prima che commovente. Viene da lontano, dalla grande lezione di Chaplin per il quale la risata doveva scaturire da storie cupe e drammatiche (Il grande dittatore, Il monello, Monsieur Verdoux), con una differenza: Benigni non è un regista di talento. Il punto debole de La vita è bella è proprio una certa piattezza stilistica, unavvertibile mancanza di disinvoltura con la macchina da presa che si traduce in una regia lievemente anonima, senza, peraltro, compromettere la notevole resa drammatica dellinsieme.
Daltronde, è del pari palpabile la sincera passione del regista per la storia, scritta a quattro mani con il sempre più bravo Vincenzo Cerami, un amore assoluto per il soggetto che fa passare in secondo piano eventuali carenze tecnico-stilistiche.
La vita è bella non è certo il tipico film natalizio ed è straordinario che il "comico" campione dincassi con le sue poetiche sciocchezze osi aggredire il proprio pubblico con una storia sui campi di sterminio.
E lo sterminio è vero in tutto il suo orrore insensato, non è parodia, e i nazisti non parlano come le "sturmtruppen", ma sono dei reali mostri assassini, e gli uomini diventano davvero saponi e bottoni e la gente muore sul serio nella commedia di Benigni. E tutta questa verità, rivelata ad un pubblico attonito, viene trasfigurata in gioco agli occhi del piccolo Giosuè, lunico a credere ad un mondo di commedia ("ci si ammazza dalle risate!") e ad uscire puro ed intatto dallinferno grazie alla forza della fantasia.
La bellezza del film di Benigni è tutta qua, nel cortocircuito tra comicità e dramma, tra bugie e realtà, tra gioco e morte, tra orrore e buonumore, e non è poco. Anche strutturalmente la pellicola segue questa traccia, con una prima parte più prettamente comica che offre il destro al protagonista di esibirsi nelle sue gag elettriche, pur riuscendo, finalmente, a mantenersi entro le righe del realismo interpretativo, benché clownesco, creando un personaggio credibile come antieroe, buffo e patetico nel suo agnosticismo politico e nellillusione di una possibile felicità.
Guido è solo un ometto che cerca di sbarcare il lunario, neanche si rende conto di essere ebreo, forse non sa neppure che vuol dire, non è un antifascista politico, ma "fisico", non è coraggioso, ma solo incosciente ed allegro ed ama pazzamente sua moglie ed il suo bambino. Tutto qui. Ma quando, nella seconda parte, il tono della commedia trascolora nelle cupe tinte dell'Olocausto, allora Guido, sempre inconsciamente e suo malgrado, compie il più grande atto delleroismo concepibile: reagisce allorrore con la fantasia, mente alla morte e salva il proprio bimbo con ostinazione dellimmaginazione.
Ottimi gli interpreti, da un lato lintensa Nicoletta Braschi ad un ritrovato Giustino Durano che, al di là di unimpressionante somiglianza con Benigni, ricorda per timbro e brillante aplomb Walter Matthau, fino al piccolo Giorgio Cantarini: bambino e non bambolotto nei cui occhioni scuri le atrocità umane si rispecchiano senza lasciare tracce nellanima.
LA CARRIERA DI UN GRANDE ATTORE
Nato a Misericordia (Arezzo) il 27 ottobre 1952, Roberto Benigni debutta adolescente. Impara lelasticità del corpo dagli acrobati del circo Modin e, durante le superiori allIstituto Datini di Prato, mette su le prime serate di cabaret chiedendo i locali al ridotto del Metastasio. Segue la lunga trasferta da Vergaio a Roma nel 1972. Lì sperimenta il teatro delle cantine e mette su un repertorio inesauribile che confluisce nella creazione del personaggio di Cioni Mario ad uso delle platee cinematografiche: Berlinguer ti voglio bene - il film di Giuseppe Bertolucci più chiacchierato, censurato e imbavagliato che visto, dato il ritiro dalle sale - segna la prima sortita di Benigni sul grande schermo, a cui fa seguito, nel 79, sotto la guida di Marco Ferreri, il maestro di Chiedo asilo.
All'epoca non è ancora regista ma autore dei numerosi spettacoli teatrali replicati nelle piazze e alle feste dell'Unità. Si mette dietro la macchina da presa solo nell'83 per il film a episodi Tu mi turbi: una regia con il fiato corto, frantumata in sketch, ma la discreta fortuna del film rappresenta il lasciapassare per la clamorosa, successiva rivelazione di Non ci resta che piangere dove, in coppia con Massimo Troisi, ottiene il primo grande successo su scala nazionale. Nell 86 interpreta per Jim Jarmusch il crepuscolare Daunbailò, poi un episodio di Taxisti di notte. Nell'88, dopo innumerevoli incursioni televisive, Benigni manda in fibrillazione il botteghino con il film che segna l'inizio della fruttuosa collaborazione con lo sceneggiatore Vincenzo Cerami. Il piccolo diavolo è un grande successo nazionale; ancora niente confronto a quello di Johnny Stecchino (1991) e de Il mostro (1994), amplificato dalla massiccia vendita del film in videocassetta. Il 93 è invece lanno sfortunato di Blake Edwards: Benigni raccoglie il testimone di Peter Sellers interpretando il non riuscito Il figlio della pantera rosa. Nel 96 Benigni torna a teatro con un nuovo spettacolo dal vivo filmato per il mercato home-video da Giuseppe Bertolucci. Il 97 è l'anno del comico tragico: esce La vita è bella.