ANNO ACCADEMICO 2000-2001

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA

SEDE DI AREZZO

SEMINARIO DI LETTERATURA ITALIANA

PROF. ANDREA MATUCCI

  

 

 

Studente: Massimiliano Badiali

III° Corso di Letteratura Italiana

 

 

 

L’elaborato esamina il personaggio di Piero Soderini gonfaloniere a vita della Repubblica Fiorentina dal 1504 al 1512, sulla base delle riflessioni dei testi storico-letterari di Niccolò Machiavelli e di quelli storici di Francesco Guicciardini, ponendoli a confronto per evidenziare un diverso giudizio critico sul personaggio, che sovrintende ad una diversa concezione fra i due scrittori della storia, della politica e dell’uomo.

Argomenti trattati:

L’istituzione della Repubblica dal 1494 al 1502

La visione politica di Machiavelli

La visione politica di Guicciardini

Il gonfalonierato a vita di Soderini

Valutazioni di Machiavelli su Soderini

Valutazione di Guicciardini su Soderini

Cause della fine della repubblica per Machiavelli

Cause della fine della repubblica per Guicciardini

La concezione storica dei due scrittori politici

La differenze stilistico-linguistiche.

 

 

Con il dissolversi dei concetti medievali dell’Impero universale e della Chiesa universale, la plenitudo potestatis passa allo Stato, più esattamente al monarca o al popolo. Lo schiaffo di Anagni manifesta l’acme della crisi dei rapporti tra i nuovi Stati nazionali e la Chiesa di Roma, rappresentati rispettivamente da Filippo il Bello e Bonifacio VIII, e la volontà del potere laico di affermare la sua sovranità. Tale situazione storica è alle spalle di Machiavelli, con il quale il pensiero laico acquista piena consapevolezza, supportato dalla nascita della politica come scienza. Proprio l’affermazione che la politica è scienza, comporta che questa abbia leggi proprie, propri principi, propri obiettivi, sia quindi pienamente autonoma e indipendente dalla religione, dalla morale, dalla teologia, né abbia posizione ancillare rispetto a questa, ma una sua propria dignità in quanto "vera" scienza.
L’opera di Machiavelli è certamente influenzata dall’esperienza politica e civica che visse in Firenze : nel 1494 con la caduta del regime mediceo, si istituì la repubblica. Il potere fu condotto con "un governo largo" tramite il Consiglio Maggiore, che per la prima volta incluse anche i componenti della classe media nella gestione, oltre agli aristocratici, a cui furono riservate le missioni diplomatiche, senza però la possibilità di dirigere la politica come sotto i Medici. Machiavelli non era un aristocratico e non faceva parte del gruppo dirigente oligarchico; si trovava, infatti, in una posizione poco comune: era uno scrittore con dei fini pratici. L’opposizione di Niccolò agli aristocratici era radicata in circostanze familiari: apparteneva ad una famiglia nobile, impoveritasi e risultando di non essere abbastanza ricco, fu escluso dal gruppo dirigente. L’occasione della sua ascesa ad una posizione di notevole rilievo venne dalla lotta fra Soderini e gli aristocratici. Soderini aveva notato l’ingegno del Machiavelli e avendo bisogno di collaboratori non aristocratici dentro la Cancelleria, dove il giovane Niccolò già lavorava da tre anni, iniziò ad affidargli importanti missioni diplomatiche così che fra i due si creò un legame profondo. E Machiavelli si sentì un pò debitore al gonfaloniere per sempre della posizione politica raggiunta. L’opposizione degli aristocratici alla Repubblica, secondo Machiavelli, causò la distruzione della libertà repubblicana di Firenze. L’opposizione del politico agli aristocratici fa sì che egli sia un deciso fautore del regime popolare: era favorevole, come Piero Soderini, del Consiglio Maggiore, insistendo sull’utilità di questa istituzione, anche dopo la caduta della repubblica nel 1512. Le censure rivolte agli aristocratici dal Machiavelli derivano, come evidenzia Félix Gilbert, dai criteri errati che ne determinavano la composizione: l’ammissione al gruppo dirigente fiorentino era determinata soltanto dalla ricchezza. Di qui deriva la concezione machiavellica basata sulla convinzione che la ricchezza è un male. La forma migliore di governo è quella in cui il potere sia nelle mani della massa dei cittadini: il "governo largo". Nel capitolo VI del primo libro de I Discorsi Machiavelli, infatti, confuta le obiezioni contro un regime popolare : dando gli esempi positivi dei Veneziani, che avevano un esercito proprio, che per Niccolò è la maggiore necessità di ogni società politica, e degli Spartani che usavano il popolo per colonizzare le regioni conquistate, garantendosi così la durata delle conquiste.

Francesco Guicciardini evidenzia, al contrario, una spiccata parzialità verso gli aristocratici: certamente molto influì sul pensiero del politico il padre Piero, anch’egli uomo eminente, non che l’appartenenza della famiglia alla nobiltà. In Il Discorso di Logrogno Guicciardini fa un sommario delle riforme reclamate dagli aristocratici, durante la repubblica retta dal Soderini ; egli riteneva che il Consiglio Maggiore non potesse essere composto dal ceto medio, costituito da uomini da poco e ignoranti, ma da uomini di talento e con conoscenze speciali : " ristrignerlo in poco numero- scrisse- e in omini eletti saria bene se si potessi fare(…) saria conveniente che e’ fussi in omini atti a reggere tanto peso". Gli aristocratici, di cui Guicciardini era esponente, richiedevano tra il 1494 e il 1502 maggior potere e temendo una sempre maggiore gestione del potere da parte del popolo, decisero di trasformare l’ufficio di gonfaloniere, capo titolare della repubblica che presiedeva alla Signoria, a carica a vita. Questa legge del 26 agosto 1502, istituente il gonfalonierato a vita, apparve come un ridimensionamento del governo largo del 1494 in stretto, cioè oligarchico. La posizione del Guicciardini sulla costituzione fiorentina era quella di evitare ogni cambiamento radicale, come eliminare il Consiglio Maggiore, ma riformare le istituzioni così da renderle più controllabili dal partito aristocratico. Quello che lui auspicava era quel Senato, che venne costituito dopo la caduta del Soderini nel 1512, visto come il timone della città in politica interna, finanziaria ed estera, (come un sistema bicamerale moderno), che dovesse discutere le leggi, prima che fossero approvate dal consiglio Maggiore. Un governo misto, quindi, era quello che Guicciardini voleva per la sua Firenze, che combinasse principi monarchici, aristocratici e democratici : Gonfalonierato, Senato e Consiglio Maggiore.

Anche il giudizio storico sul gonfaloniere a vita Piero Soderini trova profonde divergente fra i due scrittori politici fiorentini. Storicamente Soderini non diventò uno strumento delle classi superiori, non operando alcuna riforma, ma cercando di rimanere sempre super partes. Machiavelli parla di Piero Soderini in I Discorsi, opera in cui tratta le condizioni necessarie per l’istituzione di una repubblica, esaltandone il valore della libertà e la superiorità sulla monarchia nell’organizzazione dello Stato in quanto non consente che prevalga la volontà di uno solo; si sottolinea il fatto che il bene comune è ben promosso solo in una libera cittadinanza : si afferma perciò che la moltitudine è più saggia e più costante del capo unico. L’opera scaturisce dalla volontà di ragionare sulla crisi italiana e fiorentina : partendo dalle Historiae di Tito Livio, tutta l’opera è fondata sulle analogie, proposte fra i racconti della storia antica e gli avvenimenti contemporanei: di qui deriva che Machiavelli considera la storia dell’antichità magistra vitae, come paradigma della storia universale. Manca pertanto una pedissequa e cronica storia degli eventi che caratterizzano Firenze e la politica del Soderini, come nella Storia d’Italia del Guicciardini. Nel LII capitolo de I Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio, Machiavelli sentenzia che" non si può in una repubblica, e massime in quelle che sono corrotte, con miglior modo, meno scandaloso e più facile, opporsi all’ambizione di alcuno cittadino, che preoccupandogli quelle vie per le quali si vede che esso cammina per arrivare al grado che disegna": bisogna "preoccupare discosto", perché il politico deve saper prevedere, impegnandosi a sconfiggere i nemici forti. Piero Soderini, invece, si era fatto la reputazione "di favorire l’universale, il che nello universale gli dava riputazione come amatore della città". Invece il gonfaloniere per Machiavelli, avrebbe dovuto, per difendere la repubblica, prevenire le mosse degli aristocratici, preludendo loro ogni via: togliendo loro le armi e ostacolandone il potere, avrebbe capito chi gli fosse stato contrario. Invece l’opposizione continuò a serpeggiare in un ambiguo chiaroscuro, che Piero non seppe vedere e che causò la caduta del suo potere e il ritorno, tramite gli Spagnoli, dei Medici a Firenze. Soderini, per Machiavelli, non si unì agli aristocratici, sia per scelta di coerenza verso il popolo cioè "per non potere distruggere con buona fama quella libertà alla quale egli era preposto guardia" che per paura di diventare sospetto e odioso ai cittadini. Soderini non seppe soffocare l’invidia degli aristocratici:

"A vincere questa invidia non ci è altro rimedio che la morte di coloro che l’hanno; e quando la fortuna è tanto propizia a quell’uomo virtuoso che si muoiano ordinariamente, diventa sanza scandalo glorioso, quando sanza ostacolo e sanza offesa e’ può mostrare la sua virtù. Ma quando e’ non abbi questa ventura gli conviene pensare per ogni via per torseli innanzi".

 

Egli conosceva questa necessità, ma credeva, come dice nel XXX capitolo del III libro de I Discorsi, "col tempo, con la bontà, con la fortuna sua, col beneficare alcuno, spegnere questa invidia", di "potere superare quelli tanti che per invidia se gli opponevano, sanza alcuno scandalo, violenza e tumulto; e non sapeva che il tempo non si può aspettare, la bontà non basta, la fortuna varia e la malignità non truova dono che la plachi". Nel IX capitolo del II libro, Machiavelli evidenzia che una repubblica ha vita più lunga di un principato e maggiore fortuna, "per la diversità de’ cittadini, che sono in quella", esistendo diverse personalità : se è retta da più menti, essa sarà guidata meglio, variando la politica secondo la "diversità de’ temporali". Dal momento che gli uomini sono diversi, alcuni procedono "con rispetto e cauzione", altri con impeto: Fabio Massimo con il suo temporeggiare ebbe fortuna, finché quando i tempi non mutarono e avrebbe perso contro Annibale, se Scipione non avesse con "diverso omore" preso le redini della guerra. Soderini procedé sempre con umanità e pazienza e arricchì Firenze, finché la fortuna fu con lui. Quando però "l’alterna onnipotenza delle umani sorti" mutò corso, quando "vennero dipoi tempi dove e’ bisognava rompere la pazienza e l’umiltà, non lo seppe fare: talché insieme alla sua patria rovinò". Machiavelli sentenzia così che, se il Savonarola non poté vincere la fortuna, per mancanza di consenso, il Soderini non seppe, per mancanza di discernimento, domarla. Ne I Discorsi è ben evidente come Machiavelli intendesse formulare una disciplina che studiasse le regole dell’arte di governo, badando esclusivamente all’efficacia di tali regole indipendentemente da ogni remora religiosa o morale. Da tale premessa è poi derivato il principio per cui "il fine giustifica i mezzi", principio tuttavia non formulato da Machiavelli, il quale orientava le sue simpatie verso la virtù e la prudenza nella vita civile e politica e perciò elogiava gli Stati retti su queste virtù come quello dei Romani. Agere et pati fortia: è la base dello repubblica autonoma e indipendente, che Machiavelli auspicava retta da un gonfaloniere, magari dal Soderini stesso, purché avesse avuto solo qualche qualità del Valentino. Ma il gonfaloniere era lungi da Cesare Borgia: egli credeva, con candore, di" superare con la pazienza e bontà sua quello appetito che era ne’ figliuoli di Bruto", temendo di "rompere con le leggi la civile equalità". Ma non volendo compiere un eccidio come Bruto fece per instaurare il suo potere, come è necessario, per Machiavelli, in un mutamento della forma di governo, da repubblica in tirannide o da tirannide in repubblica, Soderini "perdé insieme con la patria sua lo stato e la riputazione". Inoltre il gonfaloniere non creò un esercito fiorentino in grado di difendersi: un bravo capo di governo dovrebbe saper animare gli animi dei soldati e in Toscana ciò è necessario più che altrove, per i troppi interessi privati e le fortissime rivalità civiche. In L’arte della guerra, Machiavelli racconta come , dopo i due successivi fallimenti fiorentini davanti a Pisa (1500 e 1505), il Soderini accettasse per buona l’idea di creazione di un’Ordinanza Fiorentina, cioè di un modello di milizia cittadino di tipo greco o romano, che tanto piaceva al politico, ma che sottovalutava le insanabili tensioni civiche, in cui gli aristocratici vedevano nella nuova milizia un mezzo messo in mano a Soderini per schiacciarli. Dopo la morte di Alessandro VI, il potere di Cesare Borgia si dissolse e poco dopo nella lotta fra Francia e Spagna per l’egemonia dell’Italia subentrò una tregua, dando modo a Firenze, dopo vari tentativi, di riconquistare Pisa nel 1509, anche se il gonfaloniere non seppe sfruttare il momento. Non bisogna però pensare che il giudizio di Machiavelli sia negativo: a livello umano, stima la rettitudine del gonfaloniere, ma per fare politica, non basta la bontà: bisogna essere "golpe e lione" e non agnello. E spesso per fare il bene si riceve il male: così il Soderini non ha saputo seguire le leggi dell’utile: e per seguire coerentemente l’alleanza stipulata con la Francia, ha subito lo stesso destino di Sagunto, alleata romana, che fu distrutta da Annibale. E qui si eleva il monito pessimistico di Machiavelli :

"Romponsi le confederazioni per lo utile. In questo le repubbliche sono di lunga più osservanti degli accordi che i principi. E potrebbero addurre esempli dove uno minimo utile ha fatto rompere la fede a uno principe, e dove una grande utilità non ha fatto rompere la fede a una republica , come fu quello partito che propose Temistocle agli Ateniesi(…)",

 

Soderini non ha capito le leggi che la politica richiede per conservarsi al potere: l’energia, la forza e la tenacia di portare a fondo l’azione iniziata; non ha saputo dedurle dal passato di Roma, che per Machiavelli è paradigma di repubblica, perché in fondo la storia è una ruota di avvenimenti, come per Erotodo, che con varianti s’alternano all’infinito nel variegato palcoscenico dell’umanità. Il freddo realismo politico del Machiavelli esalta ne Il Principe un politico come il Valentino che sa usare l’astuzia, la violenza e l’inganno, preferendo ispirare timore invece di un affetto inefficace.

Soderini appare anche nelle opere di Francesco Guicciardini, ove è rappresentato come un uomo privo di discernimento, troppo ottimista quando le cose andavano bene e capace di perdere la testa al primo segno di pericolo. Sotto Piero Soderini, per Guicciardini, non ci furono quei cambiamenti costituzionali, di cui Firenze necessitava, ma molti malcontenti:

"Perché, oltre all'essere in alcuni il desiderio del ritorno della famiglia de' Medici, regnavano tra gli altri cittadini di maggiore momento le discordie e le divisioni, antica infermità di quella città, causate in questo tempo dalla grandezza e autorità del gonfaloniere; la quale alcuni per ambizione ed emulazione non potevano tollerare, altri erano malcontenti che egli [Soderini], attribuendosi nella deliberazione delle cose forse piú che non si conveniva al suo grado, non lasciasse quella parte agli altri che meritavano le loro condizioni: dolendosi che il governo della città, ordinato nei due estremi, cioè nel capo publico e nel consiglio popolare, mancasse, secondo la retta instituzione delle republiche, di uno senato debitamente ordinato, per il quale, oltre a essere come temperamento tra l'uno e l'altro estremo, i cittadini principali e meglio qualificati degli altri ottenessino nella republica grado piú onorato; e che il gonfaloniere, eletto principalmente per ordinare questo, o per ambizione o per sospetto vano facesse il contrario".

 

Rispetto a Machiavelli, che con tecnica narrativa di tipo analogico analizza la storia per quadri, Il Guicciardini narra in senso strettamente cronologico la storia di Firenze nella Storia d’Italia. Quel che importa al Guicciardini è ridurre ogni fatto, ogni opinione, ad un desiderio di chiarezza, che si spinge allo scrupolo: se il Machiavelli, mentre ragiona vede, il Guicciardini considera e nella pacata riflessione cerca di risolvere gli aspetti delle cose: come dice il De Ruggiero, se Machiavelli è l’uomo delle regole, Guicciardini è quello delle eccezioni. Quest’ultimo esamina come il governo del gonfaloniere non abbia salde fondamenta, non essendo espressione di una classe omogenea, priva di un cosciente programma di un partito strettamente organizzato, e spesso ingenua negli affari dello stato: ad esempio, la sconfitta che Firenze subì contro Pisa nel 1504 dipese dal gonfaloniere:

"(..)convocato il consiglio grande del popolo, al quale non solevano referirsi queste deliberazioni, dimandò se pareva loro che si andasse col campo a Pisa: dove essendo co' voti quasi di tutti risposto che vi si andasse, superata la prudenza dalla temerità, fu necessario che l'autorità della parte migliore cedesse alla volontà della parte maggiore. Però si attese a fare le provisioni con incredibile celerità, desiderando prevenire non manco il soccorso del gran capitano che i pericoli de' tempi piovosi".

Nel capitolo XII del IX Libro della Storia d’Italia si racconta come fu approvata una legge, per sostenere le spese di guerra, che tassava gli ecclesiastici cospicuamente, anche "perché il pontefice - come dice il Soderini - non concedette mai alla republica nostra alcuna di quelle grazie delle quali è solita a essere spesso liberale la sedia apostolica; perché in tante difficoltà e bisogni nostri non consentí mai che una volta sola ci aiutassimo delle entrate degli ecclesiastici (come piú volte aveva consentito Alessandro sesto, benché inimico tanto grande di questa republica) ma, dimostrando nelle cose minori l'animo medesimo che aveva nelle maggiori, ci negò ancora il trarre dal clero i danari per sostentare lo studio publico(…)" e in più il pontefice voleva privare Firenze della sua libertà volendo che questa republica aderisse alle sue immoderate e ingiuste volontà, che "fusse partecipe delle sue spese e de' suoi pericoli, né sperando dalla moderazione e maturità de' consigli vostri potere nascere imprudenti e precipitose deliberazioni, ha diritto il fine suo a procurare di introdurre in questa città una tirannide che dependa da lui, che non si consigli e governi secondo le vostre utilità ma secondo l'impeto delle sue cupidità". Ma i problemi di Firenze erano anche quelli delle carestie e della povertà, che Soderini non seppe risolvere. La caduta della Repubblica Fiorentina, dopo la sconfitta della Francia, divenne inevitabile: rimanendo fedele ai francesi, dopo la disfatta del 1512, e trovandosi Firenze isolata contro le truppe spagnole e papali, Soderini si trovò isolato e osteggiato dagli aristocratici e da sostenitori dei Medici. Questa fedeltà ostinata del Gonfaloniere, secondo Machiavelli, fu un grave errore: Soderini doveva rompere per l’utile mantenimento della libertà di Firenze il patto. Il pontefice voleva la morte del gonfaloniere, racconta Guicciardini nel capitolo XII del IX Libro della Storia d’Italia scappò e il potere passò agli aristocratici, che fecero in due settimane la riforma costituzionale istituendo il Senato, che anche Guicciardini condivideva, che voleva rafforzare il potere dell’oligarchia.

Se nella Storia d’Italia Guicciardini mantiene una certa oggettività narrativa, nelle Storie Fiorentine esprime con maggiore veemenza la critica al Soderini, che temendo di dare il potere all’aristocrazia, composta da "uomini da bene, sendo savi e di autorità", per paura che essi lo disponessero a loro pro e modificassero la costituzione rovesciando lui , lo consegnò a "gli uomini di meno cervello e qualità": invece negli affari della repubblica "era necessario vi intervenissino e’ primi uomini della città e in quello che pure si conferiva, quando facevano qualche conclusione contraria al parere suo, non volere che si eseguissi, anzi ingegnarsi e el più delle volte mettere a effetto la volontà sua". Ma il ritratto più efficace che Guicciardini dà del Soderini lo si trova nella Oratio Accusatoria, ove il Guicciardini riconosce perfino i pregi del gonfaloniere come "prudenza, ingegno, eloquenza eccellente, esperienza grande, nettezza e integrità", ma ritiene che "se a tanti doni del corpo e della fortuna e dell’animo si fussi aggiunta una qualità sola, che fussi stato o più suspizioso a dubitare de’ cattivi cittadini o se ne dubitava più animoso e più vivo a assicurarsene", forse non avrebbe perso il potere e con esso la libertà di Firenze. Purtroppo credendo che gli altri fossero buoni come lui, "non medicò le cose quand’era facile, lasciolle scorrere in luogo che quando volle provedervi non fu a tempo". Il Guicciardini non condanna apertamente, ma quando parla del Soderini adopera un tono che è fra lo spregio e il rancore sordo, poiché come dirà Bernardo del Nero nelle Storie Fiorentine è da preferirsi il male fatto per malignità che quello fatto per insipienza. Guicciardini accusa, così, Soderini di negligenza e di pusillanimità: è un uomo debole, dalla personalità scialba, che non solo non seppe crearsi gli strumenti adatti per governare lo stato, ma fu mosso dall’ambizione e dal desiderio di popolarità: per la sua insipienza politica, adottò una politica ostentatamente demagogica.

In fondo i due scrittori politici, seppur in ottiche diverse, concordano sul fatto che Soderini è stato inetto a condurre la repubblica: ma se l’occhio di Guicciardini è critico politicamente e umanamente, quello di Machiavelli riscatta la critica sull’insipienza politica del gonfaloniere, con un’adesione emotiva ed empatica sul piano umano, per la sua coerente fede sul suo mandato e per la di lui vicinanza al popolo fiorentino.

Machiavelli ricorda le ultime parole del Soderini nella Lettera a una Gentildonna al Consiglio Maggiore, agli ambasciatori inviati dal viceré, che dicevano che erano venuti solo per far lasciare a Firenze l’alleanza con i Francesi e deporre la sua persona, prima della sua deposizione e fuga:

" A che rispose el gonfalonieri che non era venuto a quel segno né con inganno né con forza, ma che vi era stato messo dal popolo; e però se tutti e re del mondo raccozati insieme li comandassino lo deponessi, che mai lo deporrebbe; ma se questo popolo volessi che lui se ne partissi, lo farebbe così volentieri, come volentieri lo prese, quando sanza sua ambizione li fu concesso"

 

E il discorso del Soderini si può leggere in tutta la sua interezza nel Guicciardini:

Non voglio io confortarvi piú in una parte che in un'altra, vostro sia il consiglio vostro sia il giudicio, quel che delibererete sarà accettato e lodato da me, che vi offerisco non solo il magistrato, che è vostro, ma la persona e la propria vita; e mi attribuirei a singolare felicità se io potessi credere che questo fusse il mezzo della salute vostra. Esaminate quel che possa importare la dimanda del viceré alla vostra libertà, e Dio vi presti grazia di alluminare e di fare risolvere alla migliore parte le menti vostre".

 

Machiavelli, però, esprime, non solo un giudizio politico, ma anche morale della classe dirigente fiorentina che nel 1512 chiamò in città l’esercito spagnolo e riportò così i Medici al potere : se il Soderini sbagliò per ingenuità, per Machiavelli, gli aristocratici lo hanno fatto con cattiva fede e disastroso calcolo politico : dimostrando come "qualunque volta si vede che le forze estrane siano chiamate da una parte di uomini che vivono in una città, per non essere dentro a quel cerchio ordine da potere sanza modi istraordinari sfogare i maligni omori che nascono negli uomini". E l’errore più grave fu fatto proprio dalla classe oligarchica, che non capì che con l’entrata dell’esercito spagnolo a Firenze, la repubblica avrebbe perso la propria autonomia, "perché la intenzione di quello esercito era mutare lo stato in Firenze, levarlo dalla divozione di Francia e trarre di lui danari". Nella Lettera ai Palleschi, Machiavelli evidenzia una vicinanza morale al Soderini: ammonisce i Palleschi, sostenitori dei Medici, di come Firenze col ritorno della vecchia aristocrazia al potere nel 1512 fosse diventata pura oligarchia. Il disinganno che provava per la politica di eccessiva moderazione dell’ex-gonfaloniere non gli impediva di sentirvisi moralmente e politicamente vicino:

" Io vi voglio avvertire circa questa openione di coloro che dicono e’ sarebbe bene scoprire e’ difetti di Piero Soderini per torli reputazione nel populo: e che voi guardiate bene in viso questi tali, e consideriate quello che li muove: e vedrete come e’ non gli muove el fare bene a questo stato, ma sì bene dare reputazione a loro propri. Prima, perché a me non pare che cosa alcuna, di che si trovi in colpa, Piero Soderini, possa dare reputazione a questo Stato appresso al popolo".

 

Inoltre per Machiavelli "questo Stato non ha per nimico Piero Soderini, ma sì bene l’ordine vecchio", contrario ai Medici stessi. Guicciardini rievoca anch’egli la caduta del gonfaloniere, quando nell’agosto del 1512 "era spaventato e perduta quasi del tutto la riputazione e l'autorità, retto piú presto che rettore e irresoluto, si lasciava portare dalla volontà degli altri, non provedendo a cosa alcuna né per la conservazione di se medesimo né per la salute comune", mentre i nobili Paolo Vettori e Antonio Francesco degli Albizi, , sediziosi e cupidi di cose nuove, "entrati con pochi compagni in palazzo, dove, per il gonfaloniere che si era rimesso ad arbitrio del caso e della fortuna, non era provisione né resistenza alcuna, e andati alla camera sua, lo minacciorono di torgli la vita se non si partiva del palazzo, dandogli in tale caso la fede di salvarlo" e Soderini pavido scappò da Firenze rifugiando a Ragusa.. E finalmente si instaurò quel governo stretto e oligarchico, con l’elezione, non piú in perpetuo ma solamente per uno anno del gonfaloniere Giovanbattista Ridolfi, "cittadino nobile e riputato molto prudente". "Ma troppo erano trascorse le cose, troppo potenti inimici avea la publica libertà": e i Medici si ristallarono a Firenze e riportarono il governo a quella forma del 1494. E causa del fallimento della repubblica per Guicciardini, non fu degli aristocratici, ma del Soderini, poiché ebbe "lasciato pigliare troppo animo agli inimici del governo popolare".

Guicciardini ha nella Storia d’Italia una serie di dubbi o quesiti linguistico- ortografici, poiché egli lesse le Prose della volgar lingua del Bembo . ed egli giunse a riflettere sul linguaggio per il desiderio di chiarezza, per togliere dai suoi scritti ogni difformità. La sua scrittura tese alla massima regolarità . gli anacoluti non sono presenti come nella prosa del Machiavelli. Il Guicciardini evita ogni singolarità d’espressione, come le forme latineggianti come quelle palesemente popolari. La lingua del Machiavelli, invece, è un impasto di sintassi colta e di lingua popolare, che tende all’enfasi della vis semantica e fonica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Opere di Machiavelli:
Il Principe e altre opere politiche, Milano, Garzanti, 1999;
Istorie Fiorentine e altre opere storiche e politiche, tomo II, Torino, Utet, 1971;
Lettere, tomo III, Torino, Utet, 1971;
Lettere a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini, Milano, Rizzoli, 1996.
 
Opere di Guicciardini:
Storia d’Italia, Torino, Utet, tomo II, 1970;
Storie fiorentine, Dialogo del reggimento, Ricordi e altri scritti, tomo I, Torino, Utet, 1970.
 
Opere critiche:
V. ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, Torino, Einaudi, 1970;
F. BAUSI, I Discorsi Niccolò Machiavelli, genesi e strutture, Firenze, Nuova Italia, 1985;
G. F. BERARDI, Antimachiavelli, Roma, Editori Riuniti, 1984;
M. FUBINI, Storia della letteratura sul Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia, 1985;
F. GILBERT, Machiavelli e Guicciardini, Torino, Einaudi, 1970;
C. PANIGADA, Storia d’Italia, Bari, 1967;
G. DE RUGGIERO, Storia della filosofia, parte III, Rinascimento, Riforma e Controriforma, Bari, Laterza, 1930;
G. SASSO, Niccolò Machiavelli, Bologna ,1980.