RECENSIONE A IDEALI DI CRISTALLO
DI ALDA FORTINI
La
terza raccolta di Alda Fortini Ideali di cristallo dimostra “una
maturazione espositiva e una potenziata sapienza creativa” (Liana de Luca):
questa maturità stilistico-lessicale implica un’ armonia interna di fluidità
resa attraverso felicità d’immagini paesaggistiche che siglano un discorso
lirico coerente e compatto, strutturato con sapienza metrica e sintattica. Ogni
lirica presenta una dicotomica lotta fra illusione e delusione, fra estatica
descrizione paesaggistica o descrittivismo minimalista-crepuscolare ed
un’amara verità filosofico ed esistenziale:
E non mi è sufficiente
La lampada ad olio
Ad illuminare il vuoto d’ombre
Della mia soffitta a libri.
La densa pianura dei ricordi
Ha dimenticato la certa promessa
Del giorno del rimpianto.
Ed ho lasciato
Alle spalle armonie opposte
Dove il confine spento
Distrugge le more fiorite. (Il desiderio sparso)
Il
verso si equilibra fra illusione e disillusione, fra amarezza e disincanto in un
universo claustrofobico da cui traspare un epigrafico consuntivo di vita,:
Per
un ignoto destino
Calpesto
unite foglie gialle. (La casa popolare)
Il
titolo diviene così metafora di un vissuto esistenziale, che sottintende, nella
continuità, un acuto sentimento della fragilità dell’esistere: gli ideali
davanti al tempo tiranno si frantumano in mille schegge di cristallo. Non è
possibile illudersi:
Ed
i desideri nuovi
Sono
scritti sulla lavagna nera. (Il lago)
E
non resta che raccogliere i frammenti per ricomporre e rivivere il ricordo:
Nel
mio insieme rievoco
Sogni
interrotti
Con
cambiamenti di scena
E
capricci d’azione (La casa popolare)
Non
è permesso fermarsi:
Cammino
verso una meta
Che
la mia rapidità nasconde (Il lago).
La
poetessa vive, infatti, un intimo dissidio fra ragione e sentimento, poiché la
vita risulta rivelarsi un pendolo che oscilla fra vuoto ed illusione:
Ho
ritrovato
Una
parte d’infinito
racchiusa
nel vasto cerchio
dove
le ore pomeridiane
accolgono
il lontano fine
della
striscia colorata.
Le
lunghe file d’alberi scuri
Dove
nell’inchiostro rosso
Il
macchiaiolo immerge
Il
volto della sua stagione
Negano
al filosofo
Quale
sia nel reale
La
verità dipinta (La maschera greca).
Dentro
il cerchio la poetessa ha creato il suo universo, dove illusione e disillusione
convivono in disarmonica complementarità in armonie opposte e in dure
avversioni. Transfert geometrici designano la claustrofobica e centripeta
condizione di un animo che volutamente si chiude nel suo triangolo (“Gioco in
questo triangolo/in questa parte di spazio/ dove lo sguardo si stupisce al tono
del colore” in La Piazzuola), o Nella prospettiva del cerchio,
perché a tratti si rifiuta di affrontare il reale:
Ho mai provato
La ricerca di una verità.
In questo mondo
Così duro e distante
Da potere e dovere scoprire
Più ancora nel tempo
Della mia stessa realtà
È impossibile ed effimero. (La ruota)
Fuoriuscire
dalla ruota, dall’inconscio della soffitta chiusa diviene talvolta
un’irrefrenabile e inconscia volontà dell’animo della poetessa. Una forza
centrifuga la libera dal finito del cerchio, dalla claustrofobia del triangolo,
quando la ricerca dell’infinito diviene ossessione opprimente dell’animo,
prigioniero platonico di un corpo che non gli consente di sentire o meglio di
cosentire. Ed è allora che dal microcosmo circolare l’animo trova il coraggio
per affrontare la disarmonia del caos, il dolore arcano della condizione
universale:
Allontanati dalla mensola
Lasciami vedere
Quello che mi circonda
In questo margine (Lasciami vedere).
Ma
la poetessa sa che non s’illude che, fuori dalla geometria del suo microcosmo,
esista un principio razionale ordinatore:
Ho deriso e rido
Per una congiura accanita e maligna
Scrivendo per ore ed ore
Sulle ginocchia nude
Vicino al muro di cinta.
Ma la prospettiva nella fuga
Lasciava spazio
All’intuizione assurda
Quella nella quale
L’infinito si converge
In un solo principio.( Il muro di cinta).
Ideali
di cristallo proclama tra le righe che non è possibile esistere e che ciò che
è concesso a noi negletta prole è sopravvivere fra noia e nausea ne “la
pozzanghera della vita” ( Il pozzo). La profonda sostanza esistenziale
di Ideali di cristallo è quella di una teologia negativa, di una non
fiducia fisica o metafisica. Disarmonia, angoscia e male di vivere hanno
un’eco ideologico in Leopardi e Montale: la vita è tedio, ferreo
determinismo, legge inalterabile e di sofferenza. Nella raccolta di Montale sono
evocati termini montaliani come il muro di cocci (La ruota) o il muro di
cinta nella poesia omonima o la muraglia de Il pozzo, che rievoca la
famosa lirica del poeta genovese. La teologia negativa della raccolta rimanda a
“La bufera o altro” di Montale : la poetessa Alda Fortini come
Eugenio Montale proclama di rifiutare la consolazione ogni de “ il lume di
chiesa” (Piccolo testamento), di ogni “Idolo di latta”:
Ma l’intreccio concessomi
Accumula le ambiguità
Di un mondo costruito
In un grande e vasto palcoscenico
Dove quel dio posto a fede
Divenne simbolo di mito.
Nel
volo baudelairiano di albatro della poetessa cantato in La vendemmia,
la vita appare un “fiume nero e paludoso”, ove ”la piazza della
chiesa/ resta sospesa ed avvertibile”. Dinnanzi all’incedere incessante del
tempo, descritto in Ascolto la sera, la poesia resta l’unica
consolazione esistenziale ( “ ma io parlo adesso/ e compongo un nuovo
brano”). La poesia soltanto, dunque, si
propone come veicolo metaforico della rinascita, da una dolorosa condizione di
vita sospesa e frantumata:
Quando
avrò ultimato
Di
scalfire la pietra
Di
questo gioiello antico
La
nuova idea oscillerà nel vuoto.
Per
il mio nascosto quaderno d’appunti
Gli
attimi si riassumono.
Le
ombre degli spettatori
Si allungano a distanza.
a breve scadenza le luci si accendono.
Mi
ricordano in breve
I
punti chiave della mia assurda impressione.
Quando
ancora seduta
accanto
all’albero di melo
aspettavo
il richiamo del tordo (Quaderno d’appunti).
Prof.
Massimiliano Badiali