MASSIMILIANO BADIALI

RECENSIONE A IDEALI DI CRISTALLO DI ALDA FORTINI

 

La terza raccolta di Alda Fortini Ideali di cristallo dimostra “una maturazione espositiva e una potenziata sapienza creativa” (Liana de Luca): questa maturità stilistico-lessicale implica un’ armonia interna di fluidità resa attraverso felicità d’immagini paesaggistiche che siglano un discorso lirico coerente e compatto, strutturato con sapienza metrica e sintattica. Ogni lirica presenta una dicotomica lotta fra illusione e delusione, fra estatica descrizione paesaggistica o descrittivismo minimalista-crepuscolare ed un’amara verità filosofico ed esistenziale:

E non mi è sufficiente

La lampada ad olio

Ad illuminare il vuoto d’ombre

Della mia soffitta a libri.

La densa pianura dei ricordi

Ha dimenticato la certa promessa

Del giorno del rimpianto.

Ed ho lasciato

Alle spalle armonie opposte

Dove il confine spento

Distrugge le more fiorite. (Il desiderio sparso)

Il verso si equilibra fra illusione e disillusione, fra amarezza e disincanto in un universo claustrofobico da cui traspare un epigrafico consuntivo di vita,:

Per un ignoto destino

Calpesto unite foglie gialle. (La casa popolare)

 

Il titolo diviene così metafora di un vissuto esistenziale, che sottintende, nella continuità, un acuto sentimento della fragilità dell’esistere: gli ideali davanti al tempo tiranno si frantumano in mille schegge di cristallo. Non è possibile illudersi:

Ed i desideri nuovi

Sono scritti sulla lavagna nera. (Il lago)

 

E non resta che raccogliere i frammenti per ricomporre e rivivere il ricordo:

Nel mio insieme rievoco

Sogni interrotti

Con cambiamenti di scena

E capricci d’azione (La casa popolare)

Non è permesso fermarsi:

Cammino verso una meta

Che la mia rapidità nasconde (Il lago).

 

La poetessa vive, infatti, un intimo dissidio fra ragione e sentimento, poiché la vita risulta rivelarsi un pendolo che oscilla fra vuoto ed illusione:

Ho ritrovato

Una parte d’infinito

racchiusa nel vasto cerchio

dove le ore pomeridiane

accolgono il lontano fine

della striscia colorata.

Le lunghe file d’alberi scuri

Dove nell’inchiostro rosso

Il macchiaiolo immerge

Il volto della sua stagione

Negano al filosofo

Quale sia nel reale

La verità dipinta (La maschera greca).

 

Dentro il cerchio la poetessa ha creato il suo universo, dove illusione e disillusione convivono in disarmonica complementarità in armonie opposte e in dure avversioni. Transfert geometrici designano la claustrofobica e centripeta condizione di un animo che volutamente si chiude nel suo triangolo (“Gioco in questo triangolo/in questa parte di spazio/ dove lo sguardo si stupisce al tono del colore” in La Piazzuola), o Nella prospettiva del cerchio, perché a tratti si rifiuta di affrontare il reale:

Ho mai provato

La ricerca di una verità.

In questo mondo

Così duro e distante

Da potere e dovere scoprire

Più ancora nel tempo

Della mia stessa realtà

È impossibile ed effimero. (La ruota)

 

Fuoriuscire dalla ruota, dall’inconscio della soffitta chiusa diviene talvolta un’irrefrenabile e inconscia volontà dell’animo della poetessa. Una forza centrifuga la libera dal finito del cerchio, dalla claustrofobia del triangolo, quando la ricerca dell’infinito diviene ossessione opprimente dell’animo, prigioniero platonico di un corpo che non gli consente di sentire o meglio di cosentire. Ed è allora che dal microcosmo circolare l’animo trova il coraggio per affrontare la disarmonia del caos, il dolore arcano della condizione universale:

Allontanati dalla mensola

Lasciami vedere

Quello che mi circonda

In questo margine (Lasciami vedere).

 

Ma la poetessa sa che non s’illude che, fuori dalla geometria del suo microcosmo, esista un principio razionale ordinatore:

Ho deriso e rido

Per una congiura accanita e maligna

Scrivendo per ore ed ore

Sulle ginocchia nude

Vicino al muro di cinta.

Ma la prospettiva nella fuga

Lasciava spazio

All’intuizione assurda

Quella nella quale

L’infinito si converge

In un solo principio.( Il muro di cinta).

 

Ideali di cristallo proclama tra le righe che non è possibile esistere e che ciò che è concesso a noi negletta prole è sopravvivere fra noia e nausea ne “la pozzanghera della vita” ( Il pozzo). La profonda sostanza esistenziale di Ideali di cristallo è quella di una teologia negativa, di una non fiducia fisica o metafisica. Disarmonia, angoscia e male di vivere hanno un’eco ideologico in Leopardi e Montale: la vita è tedio, ferreo determinismo, legge inalterabile e di sofferenza. Nella raccolta di Montale sono evocati termini montaliani come il muro di cocci (La ruota) o il muro di cinta nella poesia omonima o la muraglia de Il pozzo, che rievoca la famosa lirica del poeta genovese. La teologia negativa della raccolta rimanda a “La bufera o altro” di Montale : la poetessa Alda Fortini come Eugenio Montale proclama di rifiutare la consolazione ogni de “ il lume di chiesa” (Piccolo testamento), di ogni “Idolo di latta”:

Ma l’intreccio concessomi

Accumula le ambiguità

Di un mondo costruito

In un grande e vasto palcoscenico

Dove quel dio posto a fede

Divenne simbolo di mito.

 

Nel volo baudelairiano di albatro della poetessa cantato in La vendemmia,  la vita appare un “fiume nero e paludoso”, ove ”la piazza della chiesa/ resta sospesa ed avvertibile”. Dinnanzi all’incedere incessante del tempo, descritto in Ascolto la sera, la poesia resta l’unica consolazione esistenziale ( “ ma io parlo adesso/ e compongo un nuovo brano”). La poesia soltanto, dunque,  si propone come veicolo metaforico della rinascita, da una dolorosa condizione di vita sospesa e frantumata:

Quando avrò ultimato

Di scalfire la pietra

Di questo gioiello antico

La nuova idea oscillerà nel vuoto.

Per il mio nascosto quaderno d’appunti

Gli attimi si riassumono.

Le ombre degli spettatori

Si allungano a distanza.
a breve scadenza le luci si accendono.

Mi ricordano in breve

I punti chiave della mia assurda impressione.

Quando ancora seduta

accanto all’albero di melo

aspettavo il richiamo del tordo (Quaderno d’appunti).

 

Prof. Massimiliano Badiali