MASSIMILIANO BADIALI

RECENSIONE A TEMPO SCONFINATO  DI ALDA FORTINI

 

Tempo sconfinato  è una raccolta in cui il poetare di Alda Fortini appare al definitivo approdo: il tempo sconfinato è quello dell’anima che seguendo il filo irreprensibile della memoria soggettiva alterna nel verso ricordi e percezioni del presente, delusioni e rimpianti. La vita oscilla fra penosa percezione del vuoto e momentanea illusione della cessazione del dolore:

Pensieri di sempre

Salgono da paludi scure

Dove la nebbia scalfisce

Penombre di sole.

Nel gioco riflesso

Pongo un’immagine

E raggiungerò nel vento gelido

Un nuovo disegno

Di un pomeriggio d’autunno

E volgermi poi nel vuoto

Di un cancello chiuso (Fatti di sempre).

 

E in più la malinconia (“la malinconia attesa sarà compagna dei nostri passi” in 21 Marzo) insieme al rimorso corrodono l’animo, ma non impediscono alla poetessa di essere consapevole. Nient’altro è dato all’umanità che la dignità di consapevolezza:

Quante promesse allora

Nei momenti dei bei ricordi rinnovavo

Che ora disperdo nella semina amara.

Non più scoprirò il richiamo

E la memoria serrata

Non più sentirò la cadenza

Agitarsi negli incerti sentieri

Non più

Mi fermerò a guardare ed attendere

Tra le figure appagate

Ora odo la sera

Perdersi adagio all’orizzonte (Ritorno).

 

In questo “labirinto umano di desolazione” (Contrasto d’immagine) la poetessa ammette a se stessa che il suo microcosmo a forma circolare è sinodo di vuoto cosmico e di consapevoli e inevitabili, anche se subitanee, illusioni:

Il grande vuoto disteso

Che ricopro con una tela

Percorre gesti nitidi

Con pensieri fuggiaschi

Che insidiano nuove dimensioni.

Gli oggetti creati

Conducono i miei orizzonti

Dalla malinconia di un giorno

Che mi fu compagna di viaggio.

E procedo lentamente

Seguendo una spirale riflessa

Confondendo l’intreccio dalla realtà. ( Cassetto vuoto)

 

Ma questo labirinto si risolve ad essere spesso prigione di vertigine ed enigma e talvolta impedisce di percepire la purezza del dolore (“E poi ancora voci/ di uccelli bianchi” in Incessante desiderio):

E ripiego meschina in bugiardi passi

Per noia senza evasione.

Ma quale assurdità esiste

In questa mia tela

Se impedisce di conoscere

Il gioco scaltro di un tema. (La tela di ragno).

 

Quest’inconscio cerchio in cui l’animo poetico si è inconsciamente rifugiato per continuare ad esistere non permette di affrontare “il tempo della rivolta/del dubbio dell’incertezza”(Contrasto d’immagine).  Il labirinto sferico, in cui l’io ha trovato il nido, è talvolta consciamente sentito come soffocamento apnoico, come limitazione cognitiva, in brevis come finzione cosciente e autoimposta:

E’ un volto coperto di fango

La maschera di sempre

E vago nel desiderio stanco

Di vedere l’orizzonte piovoso.

Interrompo nella lunga estate

La diversità della densa favola

Che distingue la luce dei sogni

E batte contro il muro di pietra (Il pomeriggio del silenzio).

 

Altrove il “grande cerchio  di uno spazio immenso”( La ricerca) in cui

la poetessa è destinata ad essere confinata e questa claustrofobia spazio-temporale, generata dalla clausura mentale di ossessioni e di noia, è metafisica di teologia negativa:

Parlerò nel tempo

E coltiverò fiori opachi

Spenti nella terra bruna. (La fabbrica di periferia)

 

Rispetto a Ideali di Cristallo in cui era presente una dicotomica lotta fra estatica descrizione paesaggistica e un’amara verità filosofico ed esistenziale, qui i due elementi si fondono e ogni lirica è sinodo di visione paesaggistica e di visione filosofica. Tout court il paesaggio diviene soltanto funzionale al pessimismo cosmico, alla teologia negativa, alla metafisica della fede nel non essere, divenendo correlativo oggettivo della visione filosofico-poetica:

Scrivo parole di vento

E raggiungerò una vecchia mulattiera.

Io non vedo il sole

E dietro quelle alture

Che calpesto nel diverso ritenere

Ora la parola mi sfugge.

Sorprende

la brezza di primavera

e dopo nuove gesta

penserò che l’accusa

si divida con un’altra stanchezza.

Pensieri cari alla memoria

rincorro come il vento

lungo le strade

e nei vicoli chiusi.

Odo il cinguettare degli uccelli

Sugli alberi di un lontano risveglio

E apro la finestra sulla via. (La finestra sulla via).

 

Mentre altrove il paesaggio sembra esorcizzare il dolore:

Sogni vaghi

Sogni di sempre

Confusi con la loro nostalgia.

Osservo la primavera

Nelle distese di verde

Denso di grano maturo

E cado nel gesto di una melodia

Che mi evitò una colpa. (La campagna solitaria).

 

La novità prodigiosa della raccolta è la coscienza freudiana che la Fortini ha del proprio Ego, che sa sceverare e controllare anche all’interno dell’inconscio. Sul piano formale la rivoluzione contenutistica è rilevabile nell’ermetismo del verso, che diviene allusivo o addirittura criptico di difficile e non immediata comprensione per il lettore, per la fitta trama di correlativi oggettivi montaliani. Nel suo colloquio con il vuoto, il paesaggio sembra assorbire il male di vivere, riuscendo talvolta a mitigarlo. La fusione di paesaggistico e di filosofico, di natura e di caso fa sì che la Fortini attraversi  la tecnica leopardiana dei Grandi Idilli per ricondurla a Montale. La siepe è superata, perché non è consentito all’animo d’immaginare:

Senza un consenso

Valicai una siepe un giorno

Quando ancora la memoria

E la sicurezza

Si agitavano nell’animo.

Mi  ricordai a memoria

Di una poesia

Scritta a matita

Su di un foglio di carta.

Tacqui nel buio

Per osservare le ombre. (Il violino del vicolo).

 

Rimandi leopardiani sono presenti anche nella lirica Il Limite, fusi con un colloquialismo tipico di Montale degli Xenia:

Sul balcone fiorito a ginestre

Che il riverbero del sole

Intaglia in grosse falde di colore

Mi pongo a discutere isolata

Di grandi teorie

Il limite delle mie aspirazioni.

Dimensione profondità senso.

Come un grande enigma scatena

Tempeste

All’idea che torna sovente ( Il limite)

 

Echi montaliani  degli Ossi si incontrano  in parole e in echi tematici in Tempo sconfinato e sono visibilmente presenti nelle due liriche Non confondiamo e Momento di pausa. Come Montale nei Limoni s’interroga sul significato del male di vivere e sull’eziologia del dolore e spera di scoprire “ uno sbaglio di natura”, così la Fortini:

Non confondiamola la nostra esistenza

Come altre volte abbiamo fatto.

Non confondiamola

Cercando di capirne un significato (Non confondiamo).

 

E la poetessa aggiunge che non esiste un momento “ in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine/ a tradire il loro ultimo segreto (I limoni), quindi la vita non ha senso alcuno:

In questo grande luogo difficile

È raggiungere un significato

Quando l’attimo sia usato per base  (Momento di pausa).

 

L’unica filosofia utile all’uomo sarebbe quella di rifiutare il pensiero, in quanto la ragione illude l’uomo di poter scoprire “il punto morto del mondo, l’anello che non tiene/ il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità”( I limoni), ed è pertanto vacua e sterile: la condizione umana e universale è, infatti, il caos. Quindi il monito della Fortini è l’accettazione positiva del negativo, l’oraziano carpe diem:

Quante ore silenziose

Spese nel chiederci

Se il meglio veniva dall’esterno

O in noi a viverlo.

Le parentesi sottili

Poste con riguardo

Fra un abisso e l’altro

Mille perché d’intesa

Di striduli suoni

Di oscure attese.

Eppure noi viviamo ancora

Distratti a vuotare

L’ultimo sorso di un bicchiere

Chiedendoci una volta di più

Se i gabbiani continueranno

La loro corsa

O paurosi ritorneranno al ramo. (Non confondiamo).

 

 

 

Prof. Massimiliano Badiali