RECENSIONE
A TEMPO SCONFINATO DI
ALDA FORTINI
Tempo
sconfinato è una raccolta in cui il poetare di Alda Fortini appare al
definitivo approdo: il tempo sconfinato è quello dell’anima che seguendo il
filo irreprensibile della memoria soggettiva alterna nel verso ricordi e
percezioni del presente, delusioni e rimpianti. La vita oscilla fra penosa
percezione del vuoto e momentanea illusione della cessazione del dolore:
Pensieri di sempre
Salgono da paludi scure
Dove la nebbia scalfisce
Penombre di sole.
Nel gioco riflesso
Pongo un’immagine
E raggiungerò nel vento gelido
Un nuovo disegno
Di un pomeriggio d’autunno
E volgermi poi nel vuoto
Di un cancello chiuso (Fatti di sempre).
E
in più la malinconia (“la malinconia attesa sarà compagna dei nostri
passi” in 21 Marzo) insieme al rimorso corrodono l’animo, ma non
impediscono alla poetessa di essere consapevole. Nient’altro è dato
all’umanità che la dignità di consapevolezza:
Quante promesse allora
Nei momenti dei bei ricordi rinnovavo
Che ora disperdo nella semina amara.
Non più scoprirò il richiamo
E la memoria serrata
Non più sentirò la cadenza
Agitarsi negli incerti sentieri
Non più
Mi fermerò a guardare ed attendere
Tra le figure appagate
Ora odo la sera
Perdersi adagio all’orizzonte (Ritorno).
In
questo “labirinto umano di desolazione” (Contrasto d’immagine) la
poetessa ammette a se stessa che il suo microcosmo a forma circolare è sinodo
di vuoto cosmico e di consapevoli e inevitabili, anche se subitanee, illusioni:
Il grande vuoto disteso
Che ricopro con una tela
Percorre gesti nitidi
Con pensieri fuggiaschi
Che insidiano nuove dimensioni.
Gli oggetti creati
Conducono i miei orizzonti
Dalla malinconia di un giorno
Che mi fu compagna di viaggio.
E procedo lentamente
Seguendo una spirale riflessa
Confondendo l’intreccio dalla realtà. ( Cassetto vuoto)
Ma
questo labirinto si risolve ad essere spesso prigione di vertigine ed enigma e
talvolta impedisce di percepire la purezza del dolore (“E poi ancora voci/ di
uccelli bianchi” in Incessante desiderio):
E ripiego meschina in bugiardi passi
Per noia senza evasione.
Ma quale assurdità esiste
In questa mia tela
Se impedisce di conoscere
Il gioco scaltro di un tema. (La tela di ragno).
Quest’inconscio
cerchio in cui l’animo poetico si è inconsciamente rifugiato per continuare
ad esistere non permette di affrontare “il tempo della rivolta/del dubbio
dell’incertezza”(Contrasto d’immagine).
Il labirinto sferico, in cui l’io ha trovato il nido, è talvolta
consciamente sentito come soffocamento apnoico, come limitazione cognitiva, in
brevis come finzione cosciente e autoimposta:
E’ un volto coperto di fango
La maschera di sempre
E vago nel desiderio stanco
Di vedere l’orizzonte piovoso.
Interrompo nella lunga estate
La diversità della densa favola
Che distingue la luce dei sogni
E batte contro il muro di pietra (Il pomeriggio del silenzio).
Altrove
il “grande cerchio di uno spazio
immenso”( La ricerca) in cui
la
poetessa è destinata ad essere confinata e questa claustrofobia
spazio-temporale, generata dalla clausura mentale di ossessioni e di noia, è
metafisica di teologia negativa:
Parlerò nel tempo
E coltiverò fiori opachi
Spenti nella terra bruna. (La fabbrica di periferia)
Rispetto
a Ideali di Cristallo in cui era presente una dicotomica lotta fra
estatica descrizione paesaggistica e un’amara verità filosofico ed
esistenziale, qui i due elementi si fondono e ogni lirica è sinodo di visione
paesaggistica e di visione filosofica. Tout court il paesaggio diviene
soltanto funzionale al pessimismo cosmico, alla teologia negativa, alla
metafisica della fede nel non essere, divenendo correlativo oggettivo della
visione filosofico-poetica:
Scrivo parole di vento
E raggiungerò una vecchia mulattiera.
Io non vedo il sole
E dietro quelle alture
Che calpesto nel diverso ritenere
Ora la parola mi sfugge.
Sorprende
la brezza di primavera
e dopo nuove gesta
penserò che l’accusa
si divida con un’altra stanchezza.
Pensieri cari alla memoria
rincorro come il vento
lungo le strade
e nei vicoli chiusi.
Odo il cinguettare degli uccelli
Sugli alberi di un lontano risveglio
E apro la finestra sulla via. (La finestra sulla via).
Mentre
altrove il paesaggio sembra esorcizzare il dolore:
Sogni vaghi
Sogni di sempre
Confusi con la loro nostalgia.
Osservo la primavera
Nelle distese di verde
Denso di grano maturo
E cado nel gesto di una melodia
Che mi evitò una colpa. (La campagna solitaria).
La
novità prodigiosa della raccolta è la coscienza freudiana che la Fortini ha
del proprio Ego, che sa sceverare e controllare anche all’interno
dell’inconscio. Sul piano formale la rivoluzione contenutistica è rilevabile
nell’ermetismo del verso, che diviene allusivo o addirittura criptico di
difficile e non immediata comprensione per il lettore, per la fitta trama di
correlativi oggettivi montaliani. Nel suo colloquio con il vuoto, il paesaggio
sembra assorbire il male di vivere, riuscendo talvolta a mitigarlo. La fusione
di paesaggistico e di filosofico, di natura e di caso fa sì che la Fortini
attraversi la tecnica leopardiana
dei Grandi Idilli per ricondurla a Montale. La siepe è superata,
perché non è consentito all’animo d’immaginare:
Senza un consenso
Valicai una siepe un giorno
Quando ancora la memoria
E la sicurezza
Si agitavano nell’animo.
Mi ricordai a memoria
Di una poesia
Scritta a matita
Su di un foglio di carta.
Tacqui nel buio
Per osservare le ombre. (Il violino del vicolo).
Rimandi
leopardiani sono presenti anche nella lirica Il Limite, fusi con un
colloquialismo tipico di Montale degli Xenia:
Sul balcone fiorito a ginestre
Che il riverbero del sole
Intaglia in grosse falde di colore
Mi pongo a discutere isolata
Di grandi teorie
Il limite delle mie aspirazioni.
Dimensione profondità senso.
Come un grande enigma scatena
Tempeste
All’idea che torna sovente ( Il limite)
Echi
montaliani degli Ossi si
incontrano in parole e in
echi tematici in Tempo sconfinato e sono visibilmente presenti nelle due
liriche Non confondiamo e Momento di pausa. Come Montale nei Limoni
s’interroga sul significato del male di vivere e sull’eziologia del
dolore e spera di scoprire “ uno sbaglio di natura”, così la Fortini:
Non confondiamola la nostra esistenza
Come altre volte abbiamo fatto.
Non confondiamola
Cercando di capirne un significato (Non confondiamo).
E
la poetessa aggiunge che non esiste un momento “ in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine/ a tradire il loro ultimo segreto (I limoni),
quindi la vita non ha senso alcuno:
In questo grande luogo difficile
È raggiungere un significato
Quando l’attimo sia usato per base (Momento di pausa).
L’unica
filosofia utile all’uomo sarebbe quella di rifiutare il pensiero, in quanto la
ragione illude l’uomo di poter scoprire “il punto morto del mondo,
l’anello che non tiene/ il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel
mezzo di una verità”( I limoni), ed è pertanto vacua e sterile: la
condizione umana e universale è, infatti, il caos. Quindi il monito della
Fortini è l’accettazione positiva del negativo, l’oraziano carpe diem:
Quante ore silenziose
Spese nel chiederci
Se il meglio veniva dall’esterno
O in noi a viverlo.
Le parentesi sottili
Poste con riguardo
Fra un abisso e l’altro
Mille perché d’intesa
Di striduli suoni
Di oscure attese.
Eppure noi viviamo ancora
Distratti a vuotare
L’ultimo sorso di un bicchiere
Chiedendoci una volta di più
Se i gabbiani continueranno
La loro corsa
O paurosi ritorneranno al ramo. (Non confondiamo).
Prof. Massimiliano Badiali