SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO

SECONDARIO DELLA TOSCANA

 

Sede di Firenze

 

 

IV  CICLO

 

II° ANNO

 

 

 

 

 

 

 

AREA I TRASVERSALE

 

TESINA INTERDISCIPLINARE

 

 

 

 

DISAGIO SOCIALE, ABBANDONO E DISPERSIONE SCOLASTICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Indirizzo                                                                                       Specializzando 

Lingue straniere                                                                           Massimiliano Badiali

 

 

 

 

 

 

 

ANNO ACCADEMICO 2003-2004

 

 

 

SOMMARIO

 

 

     Premessa: Ssis, disagio sociale, abbandono e dispersione scolastica             p.  III  

 

PARTE PRIMA:

DISAGIO SOCIALE, ABBANDONO E DISPERSIONE SCOLASTICA

                                                           

1.      Introduzione                                                                                                        p.    1

2.      Retrospettiva storica e normativa giuridica sulla dispersione scolastica      p.    3                                                                                                          

3.      Abbandono scolastico e marginalità sociale                                                     p.    7

4.      Disagi psicologici e disturbi dell’apprendimento                                             p.   12

5.      Comprensione empatica e motivazione degli alunni a rischio                        p.   16

6.      Una comunicazione efficace:  strategie e attività didattiche contro la  

dispersione scolastica                                                                                           p.  21

                                                                                                       

 

                                                                                                                             

PARTE SECONDA: DIDATTICA IN CLASSE

 

1.      Esperienze di docenza: attività didattiche e strategie di prevenzione alla dispersione      

      scolastica                                                                                                       p.  26

2.   Unità Didattica contro il disagio scolastico: creatività e role playing               p. 28

3.      Schema dell’Unità Didattica e descrizione dei procedimenti didattici             p. 30

       ALLEGATI                                                                                                  p. 33

 

 

          BIBLIOGRAFIA                                                                                          p. 36

                                                                                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                          Premessa: Ssis, disagio sociale, abbandono e dispersione scolastica

    

        Con il presente lavoro mi propongo di analizzare il fenomeno della dispersione scolastica nella scuola media inferiore e superiore. La dispersione scolastica rappresenta da sempre un fattore di rischio nello svolgimento della funzione scolastica ed è senza dubbio uno dei temi di maggiore interesse del dibattito sempre vivo sulla scuola dell'obbligo. Una svolta decisiva nella scelta dell'argomento da svolgere, è stata offerta dalla U.D. 3 del secondo anno del modulo di pedagogia. Nell'U.D. 3[1] la prof.ssa Maura Striano ha raccontato la sua esperienza personale di ricerca come pedagogista sociale nel campo della dispersione scolastica nella provincia di Napoli. Il progetto, finanziato dai fondi europei, si poneva come obiettivo il recupero degli alunni con difficoltà cognitive, sociali e motivazionali come prevenzione alla dispersione e all’abbandono scolastico. Tale intervento ha previsto un primo momento di ricerca del pedagogista, basato sull’analisi del territorio e dei fattori a rischio d’ordine socio-culturale, cui è seguito un intervento diretto dello stesso in classe in stretta collaborazione con i docenti per l’attuazione di ipotesi operative e di percorsi didattici personalizzati ed ideografici finalizzati all’”emancipazione”[2], al sostegno e all’aiuto degli alunni a rischio. La mancanza di stimoli presente nel milieu socio-economico di provenienza di questi ragazzi, aveva prodotto in loro grosse lacune nel background cognitivo, difficoltà e carenze nella capacità socio-relazionale e una conseguente bassa autostima. Di conseguenza è ovvio che essi possedessero una scarsa capacità metacognitiva. Il tema della dispersione scolastica è stato affrontato anche nell’U.D. 4[3] del secondo anno del modulo organizzativo-normativo-sanitario, dal prof. Gino Piacentini, che, parlando del cambiamento della scuola dai decreti delegati ad oggi, ha sottolineato che la lotta alla dispersione scolastica sta assumendo una centralità sempre maggiore nel dibattito sociopsico-pedagogico degli ultimi anni, riscontrabile anche nella molteplicità dei decreti presenti nelle normative legislative vigenti. L’insuccesso scolastico è considerato nella nostra società una dispersione delle risorse, poiché chi non studia rischia uno stato sociale di marginalità e di devianza. Il compito della scuola è mutato nel tempo e si è passati “dall’idea dell’orientamento prevalentemente legata all’inserimento nel mondo del lavoro o delle professioni ad una concezione più vasta e complessa che afferma il carattere pluridimensionale, processuale e dinamico dell’attività di orientamento”[4] : quello di accompagnare i giovani verso una prima consapevolezza all'essere cittadino, ed aiutarli a comprendere quali siano i percorsi necessari per giungere alla partecipazione e alla diretta assunzione di responsabilità nella vita organizzativa della società. La classe, specchio della società del “Terzo millennio o società dell’apprendimento diffuso (learning society)”[5], assume cosi l'aspetto di una comunità “colorata" nella quale prima il fanciullo e poi il giovane sperimenta la relazione con gli altri e in tal modo percepisce gli elementi di contatto e di differenziazione. Differenziazioni di genere, di temperamento, di carattere, di facoltà intellettive e motorie[6], ed inoltre di provenienza geografica, rappresentano le vari pennellate della tavolozza rappresentata dalla classe; tali scambi aiutano le nuove generazioni ad avere facile confidenza con il confronto e la relazioni tra modi di vedere e di pensare molto diversi tra loro. Oggi si affaccia – ha sostenuto il prof. Piacentini- anche la dispersione dei cittadini extracomunitari, che necessita dell'attuazione di un sistema educativo interculturale, e cioè di un sistema nel quale le culture "altre" non siano viste come estranee ma componenti il patrimonio della comunità nel suo insieme. Da una parte la rigida organizzazione di sempre, centralizzata, senza ruoli definiti e diversificati, con modalità operative stereotipate e quasi mai efficaci, e dall'altra “la complessità di un tessuto sociale sempre più disgregato e polimorfico” come ha espresso la prof.ssa Coniglio nell’U.D. 1[7] del modulo di sociologia e antropologia del 2° anno, hanno contribuito a scavare un divario crescente tra quello che la scuola offre e quelle che sono le aspettative generali nei suoi confronti, cioè di garantire le funzioni di mantenimento e di integrazione del sistema sociale. L'incomunicabilità con tutto ciò che è ad essa esterna rappresenta oggi il tratto distintivo di una realtà "babelica" di linguaggi che la scuola tende a riflettere specularmente anche al suo interno. Ogni scuola infatti oltre ad essere "monade senza finestre", separata e autarchica, che vede infatti un continuo moltiplicarsi di ambiti progettuali e di intervento, che quasi sempre vivono nella piena autoreferenzialità[8]. La scuola nella  "società. dell'incertezza[9]” deve promuovere la costruzione dell’identità del singolo discente[10], come ha affermato la prof.ssa Gianna Maschiti, nella U.D. 1[11] del modulo socio‑antropologico del primo anno Ssis. L’alunno della scuola secondaria (e talvolta primaria[12]), come ha spiegato la prof.ssa Pinto nelle U.D. 1 e 2[13] del modulo di Psicologia del secondo anno, vive un momento di crisi psicologica per i problemi di identità legati al momento adolescenziale. Oltre ad essi, l’alunno di oggi si trova ad affrontare nuovi fenomeni sociali come il passaggio dalla famiglia normativa o tradizionale alla famiglia affettiva o allargata[14], che prevede la convivenza di figli provenienti da matrimoni e da coniugi diversi. La scuola si trova ad operare in contesti sociali e culturali sempre più complessi ed eterogenei, dove gli interessi e le motivazioni, le aspirazioni o i livelli di apprendimento raggiunti dai singoli studenti sono spesso tanto differenti da frammentare la classe, che risulta un gruppo sempre più disomogeneo e conflittuale. Diventa, perciò, molto complesso interpretare le cause che determinano l’abbandono, la dispersione, la ripetenza, in quanto esso può essere collegato a tanti fattori come l’adolescenza, dinamismi psichici individuali e i difficili rapporti familiari e o con la scuola e con gli insegnanti o l’ambiente socio-economico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARTE PRIMA:

DISAGIO SOCIALE, ABBANDONO E DISPERSIONE SCOLASTICA

 

 

1. Introduzione

          

       Il tema del disagio sociale, nella sua relazione con i fenomeni dell'abbandono e della dispersione scolastica rappresenta un’appassionante argomento d'indagine interdisciplinare. La dispersione scolastica costituisce uno dei più gravi e preoccupanti fenomeni nel mondo della scuola, specialmente in alcuni territori delle Regioni del nostro meridione ove il tasso di dispersione scolastica[15] è molto elevato. Con il termine dispersione scolastica si indica di solito “una serie di fenomeni diversi e spesso riconducibili a situazioni di inefficienza del sistema informativo, che determinano interruzioni e rallentamenti nell'iter scolastico prima del conseguimento del titolo finale da parte degli allievi”[16], aumentando per essi la probabilità di confluire in situazioni di rischio educativo[17]. Il termine dispersione è venuto a sostituire quello di selezione, come afferma Gatullo[18], dando al fenomeno una connotazione più morbida e meno conflittuale e avvallando l’impressione che la responsabilità sia da attribuire agli studenti anziché alla scuola. Non è del tutto inutile sottolineare che i vocaboli “dispersione e disperso” sono voci che non si rifanno al latino disperdere (allontanare da una sede fissa), ma a dispergere (spargere qua e là) e sono da interpretare come disordinata disseminazione della fondamentale risorsa costituita dalla popolazione giovanile nel nostro paese.

        La dispersione è un fenomeno complesso, che trova i suoi elementi costitutivi nella mancata iscrizione, nella ripetenza, nel ritardo, nel ristagno, nell'abbandono[19], nell'insuccesso e nella marginalità scolastica[20] tutti eventi che assumono estrema importanza sia a livello personale sia in termini economico-sociali. Il seguente schema[21] presenta le cause del fenomeno:

 

Devono essere distinte tre forme diverse di dispersione: l’autoselezione, che implica l’abbandono della scuola da parte dello studente; la selezione vera e propria del discente attraverso la bocciatura; l’emarginazione culturale (o promozione apparente), che non implica l’acquisizione da parte degli alunni “delle competenze minime che permetterebbero loro di inserirsi con successo nelle sempre più complesse realtà lavorative della società attuale”[22].

        La dispersione scolastica abbraccia tematiche di ordine sociale, culturale, economico e si riflette sul contesto educativo e scolastico. Occorre assumere, perciò, la complessità come dato strutturale e prendere comunque consapevolezza che la dispersione scolastica non è riconducibile solo alle caratteristiche personali del soggetto educativo, ma anche e soprattutto- ad un sistema di dispersioni di cui la scuola e gli altri soggetti istituzionali devono farsi carico. “Un approccio sistemico, che tenga conto di questa complessità rimanda necessariamente a piani di intervento che riguardano le diverse sfere e i contesti citati e quindi si muove in un'ottica di interistituzionalità”[23]: necessita, quindi, di un approccio “multidimensionale”, essendo spesso determinato da una serie di eventi ad eziologia differenziata “in cui le diverse componenti interagiscono fra loro, combinando variamente fattori sociali, economici, cognitivi, affettivi e motivazionali”[24]. La dispersione scolastica è, perciò, inserita in uno scenario segnato dalla complessità:

-          complessità della società contemporanea e quindi di tutti i fenomeni sociali;

-          complessità specifica della situazione giovanile;

-          complessità e variabilità delle interazioni scuola-famiglia-società;

-          complessità della ricerca e della valutazione dei processi educativi.          

      Possiamo suddividere in due gruppi i fattori abitualmente correlati alla dispersione scolastica: i fattori socio-economico-culturali, detti anche “fattori esogeni, ed i fattori interni al mondo scolastico, detti anche fattori endogeni”[25]. Al primo gruppo possono essere ricondotti: la condizione lavorativa (o la sua assenza) degli adulti della famiglia, il loro grado di istruzione, il tipo di reddito, la necessità di lavoro minorile nell'economia familiare, nonché la carenza di strumenti nell'ambito domestico e sociale[26], come l'assenza di spazi per studiare, di sussidi e di supporti librari extra scolastici, di strutture pubbliche di lettura e di incontro. Sul piano psicologico certe gravi mancanze affettive, come il distacco dai genitori e la sottomissione a sistemi disciplinari repressivi e punitivi, rientrano nella formazione di condizioni di disagio riguardo alle relazioni con gli altri e possono determinare timidezza, solitudine, scarsa assertività, che sono le tracce di una deprivazione di competenza sociale che si riconosce negli individui sopraindicati. Il disagio sociale nelle sue condizioni più gravi di malessere ed estrema indigenza è all'origine di complicazioni psicologiche rispetto alle quali la contromisura è rappresentata dall'empatia e cioè quell'atteggiamento che induce a porsi dalla parte dell'altro per capirne le ragioni e i motivi di disagio.

       Al gruppo dei fattori endogeni sono da ascrivere l'inadeguatezza o l'insufficienza delle strutture scolastiche, i ritardi nelle nomine degli insegnanti, gli avvicendamenti degli stessi, la scarsa funzionalità dell'integrazione scolastica[27]. La scuola italiana sulla carta ha emanato ed emana provvedimenti tesi a risolvere la dispersione, che è un fenomeno sociale che mina alla base le finalità formative della scuola nell'azione di istruzione delle giovani generazioni. Sono presenti, inoltre, recenti proposte legislative che hanno come soggetto gli emigranti - in specie quelli stranieri - tra i quali si incontra uno dei più elevati livelli di abbandono scolastico, equiparabili a quelli rilevati per le fasce più deboli della società. Gli studi sociologici evidenziano che le condizioni economiche dei genitori e la stabilità delle loro attività lavorative influenzano in maniera determinante il corso degli studi dei giovani. La classe operaia e gli immigrati stranieri “incontrano, nella stessa educazione dei figli, maggiori difficoltà legate al loro mezzi espressivi volti a sviluppare sistemi di apprendimento relazionali che tecnicamente differiscono da quelli analitici tipici delle classi elevate e più idonei a sviluppare intelligenze adatte ai normali sistemi di apprendimento scolastico”[28]. Le contromisure pedagogiche applicabili alla realtà italiana sono, a mio avviso, rappresentati da un insegnamento diversificato, caratterizzato da una pluralità di metodi, che tengano conto dei differenti sistemi di apprendimento e che tenda ad un'integrazione tra i diversi stili cognitivi, nella consapevolezza della presenza in classe di allievi riflessivi e di altri attivi, e della pari dignità delle loro diverse nature. L'azione dell'insegnante in questo contesto non appare più come quella di chi tende a realizzare uno studente "standardizzato", con livelli e modelli di apprendimento unificati, ma una visione individualizzata e ideografica nella quale ciascuno fa uso del proprio bagaglio culturale originario e rappresenta un caso a sé che deve essere svolto e sviluppato autonomamente.        

     La scuola italiana, nonostante, come vedremo, il contributo di alcuni interventi ministeriali, non ha ancora portato a maturazione il convincimento che il problema della dispersione non sta nell'intervento di recupero quando il disagio si è ormai conclamato, ma in una prevenzione che limiti la manifestazione del problema. La scuola in sostanza deve, a mio avviso, progettare per il raggiungimento del successo formativo, inteso come piena realizzazione da parte di tutti al diritto allo studio, diritto spesso disatteso nel nostro paese. Occorre quindi ridare centralità e dignità ai soggetti dell'apprendimento: gli alunni. 

      I ritardi e gli abbandoni dipendono, infatti, molto spesso dai risultati scolastici, come vediamo nello schema[29] seguente:

Come diceva Don Milani "la scuola è come l'ospedale, è fatta per gli ammalati e non per i dottori".

 

2. Retrospettiva storica e normativa giuridica sulla dispersione scolastica

 

      La relazione tra il disagio sociale e i fenomeni di abbandono e dispersione scolastica richiede, per il suo carattere politico ‑ legislativo, una retrospettiva storica volta a precisare l'evoluzione della scuola sin dalle sue origini. In ambito italiano si è posta attenzione alle vicende legislative che hanno nel tempo cambiato questa istituzione, favorendo od ostacolando l'accesso ai più vasti strati della popolazione. L'esigenza di ampliare la base scolarizzata e combattere l'analfabetismo si presentò già agli albori delle nazioni moderne.   

     Tra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento in tutta Europa si avvertiva l'esigenza di istituire l'obbligo della frequenza scolastica per tutti i cittadini, almeno a livello di scuola popolare ‑ principio affermato in Italia, in contemporanea con gli altri stati europei ‑ dalla legge Casati del 1859, promulgata per il Regno di Sardegna ed estesa dopo il 1860 a tutta Italia, che “trascurò tuttavia i problemi economici e sociali che si sarebbero dovuti affrontare e risolvere per renderla effettivamente operante”[30]: infatti la dimenticanza più eclatante fu l’aver omesso “di stabilire il tipo di sanzione da comminare all’evasore scolastico(..)”[31]. Nella legge Coppino del 1876 si giungeva a concedere l’esonero dall’obbligo scolastico “a quei bambini che sono tenuti a lavorare nei campi in occasione della semina e del raccolto per contribuire al fabbisogno economico[32] della famiglia”[33]. L'inizio del XX secolo vide il trasferimento delle scuole elementari dal controllo dei comuni a quello statale (1911), e di conseguenza l'aumento dei finanziamenti per l'istruzione, ed inoltre l'istituzione dell'esame di stato obbligatorio. Tutto ciò migliorò l'efficienza della scuola. La riforma introdotta da Benedetto Croce presentava un modello di scuola altamente selettivo che escludeva la base sociale italiana per lo più analfabeta. I limiti del tipo di scuola esistente in quegli anni furono individuati da Gramsci che proponeva una tesi piuttosto moderna: in sostanza immaginava una "buona scuola formativa aperta a tutti fino a un certo grado, accessibile ai migliori di ogni ceto sociale per gli altri gradi”[34]. Come scrive Simonetta Ulivieri “verso l’estensione e la generalizzazione dell’istruzione a tutti, la borghesia ebbe un atteggiamento doppio, da un lato incentivandola e supportandola, perché direttamente collegata allo sviluppo produttivo e all’accumulo di ricchezza, dall’altra temendola e ostacolandola come elemento fondante di una nuova uguaglianza e dunque di redistribuzione delle leve del potere e del benessere”[35]. I limiti della scuola crociana non furono corretti dalla riforma Gentile, attuata a partire dal 1924, anzi essi furono esasperati. Gentile ebbe da Benito Mussolini un anno di pieni poteri per compiere la riforma della scuola che egli modellò dandole un profilo verticistico “a canne d'organo, modello che è stato messo in discussione soltanto alla fine degli anni sessanta con la liberalizzazione degli accessi universitari”[36]. Egli estese, tuttavia, l'obbligo scolastico ai quattordici anni, accogliendo le direttive dell'accordo di Washington che aveva previsto di elevare, in tutto il mondo civile, il livello di studio. Negli anni del fascismo i livelli di democrazia e di libertà per gli insegnanti si andarono progressivamente restringendo; per quanto concerne quella larga parte dei cittadini rappresentata dai ceti popolari le cose sotto il profilo dell'istruzione non migliorarono affatto. Nel quinquennio 1931‑36 i salari italiani erano i più bassi d'Europa, e circa 350.000 famiglie contadine erano state espulse dei campi nel medesimo quadriennio, un milione di ragazzi sotto i quindici anni evadevano l'obbligo scolastico, e anche tra le classi medie la disoccupazione era in preoccupante crescita. Sul finire degli anni Trenta l'interesse del fascismo mutò radicalmente: si accantonò la legge Gentile, e si perseguì l'obiettivo di una scuola non più borghese, ma del popolo e dello stato fascista. Questo sforzo dette come esito la Carta della scuola approvata nel 1939, altrimenti detta legge Bottai. Alla parte propriamente di propaganda seguiva la riforma vera e propria, nella quale ci si incamminava verso un riordino della scuola media. Nel dopoguerra la giovane democrazia italiana si scontrò con i problemi della scuola; il dibattito in area marxista si orientava, seguendo l’opinione di Lombardo Radice verso l'insegnamento nelle medie delle materie scientifiche a discapito del latino. Intorno agli anni ’50, “venticinque milioni di italiani erano privi di un qualsiasi titolo di studio e costituivano il 60% della popolazione”[37].      

      Soltanto nel 1962, con la legge n. 1859 del 31 dicembre, si istituiva la scuola media unica, che sostituiva qualsiasi altro tipo di scuola secondaria inferiore[38] e cancellava le istanze elitarie e razziste[39]: infatti, in ottemperanza all'art. 34 della Costituzione, era gratuita e obbligatoria per tutti i ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Si eliminava finalmente la discriminazione sociale degli allievi., anche in considerazione del fatto che “il criterio ispiratore di tale scuola non è la selezione, bensì l'orientamento”[40]. Nella situazione di tumultuoso sviluppo della scolarizzazione, si affacciarono per la prima volta i grandi problemi della dispersione scolastica, della selezione[41] e degli abbandoni. Quel fenomeno conosciuto come "scolarizzazione di massa" provocò la protesta di quei docenti che consideravano la scuola media come un ginnasio inferiore[42].  Dopo la riforma della scuola media unica, la secondaria inferiore non era più la scuola di chi può continuare gli studi, ma era scuola di tutti, secondo i principi di democrazia e uguaglianza sanciti nella Costituzione.: secondo l’art. 34 c.21[43] della Costituzione della Repubblica Italiana, “l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Solo con l’istituzione della scuola media unica, la lotta alla dispersione diventava implicitamente progetto istituzionale e scolastico. Contro l’abbandono dell’obbligo scolastico si pronunciava anche l’art. 731 del Codice Penale[44].

            Negli anni Settanta, dopo la contestazione studentesca che si oppose “al maestrocentrismo(…), alla logica selettiva “[45] e autoritaria, furono varate nuove leggi per la scuola. Nel 1974 furono emanati i decreti delegati: il primo riguardava gli organi collegiali; il secondo atteneva allo stato giuridico degli insegnanti; il quarto dettava le norme per la sperimentazione e la ricerca educativa.

           Negli anni Novanta l’Italia si trovava “sempre più spinta verso un’improvvisa razionalizzazione della scuola”[46], anche se nella pubblica istruzione pesava “l’incapacità di far fronte al problema dell’evasione dall’obbligo, che ancora negli anni ’90 superava mediamente il 10% e a quello della dispersione nella scuola superiore, che andava oltre il 30%.  Solo in questi anni aveva inizio una politica tesa a diffondere la cultura anti-dispersione, poiché il nemico numero uno del nostro sistema scolastico era l’alto coefficiente della mortalità scolastica sia materiale (tasso di ripetente e abbandoni) sia intellettuale (modesta qualità dell’alfabetizzazione scolastica). Con la Circolare Ministeriale (CM) n. 254 del luglio 1989, si  proponeva, “nelle aree-pilota, l’attivazione di un osservatorio permanente integrato”[47] sulla dispersione, che era ribadito nella CM n. 257 del 9 agosto 1994. Con la CM n. 339 del 16 dicembre 1992 si parlava di continuità educativa fra ordini di scuole e di scuola di base. Importante era anche la legge n. 144 del 17 maggio 1998 art. 68, che obbligava gli studenti che avevano terminato l’obbligo scolastico all’obbligo di frequenza di attività formative fino al 18° anno di età.  Con il Decreto Ministeriale n. 323 del 9 agosto 1999[48] (conosciuto come Riforma Berlinguer) si era previsto l’innalzamento dell'obbligo scolastico da otto a dieci anni”[49].  Secondo Franco Frabboni, “il male oscuro della scuola ha reso necessario l’intervento chirurgico della riforma della scuola (complessiva, organica, unitaria)”[50]: la scuola superiore quinquennale doveva, infatti, esser divisa in un biennio dedicato agli insegnamenti comuni e in un triennio di insegnamenti di indirizzo, che avrebbero preso corpo già nel biennio[51]. Convinzione della riforma era che si sarebbe fatta salva l'esigenza di proteggere la coerenza verticale dei curricola e la funzione di orientamento, in quanto sarebbe stata garantita la possibilità di compiere ulteriori scelte di indirizzo in itinere. Osservando l’allegato in materia di curricola della scuola di base del marzo 1999, notiamo che le fasce deboli, quelle maggiormente interessate dal fenomeno dell'abbandono scolastico sono osservate con occhio particolarmente attento, rivolto in questo caso ad una nuova necessità della scuola italiana, fattasi ormai inevitabile, ossia il confronto con i cittadini italiani provenienti da culture "altre", collocati nella maggior parte tra gli strati più bassi della popolazione. La riforma del 1999 voleva far diventare la scuola  strutturalmente orientativa, offrendo a ciascun alunno la possibilità di sviluppare la sua formazione integrale, attraverso il raggiungimento di un’educazione alla cittadinanza, e di acquisire ed assumersi responsabilità civili e sociali. A testimonianza del nuovo interesse per la dispersione e l’abbandono scolastico è l’Annuario ISTAT 1999 che conteneva “ i risultati di rilevazioni operate tramite i Provveditorati agli studi, in modo da accertare i tassi di ripetenze e di abbandono a livello di unità scolastica (…)[52]. I dati EURISPES (Istituto Europeo di studi economici, politici e sociali) nel settembre del 1999, nel quadro di uno studio di comparazione fra le varie regioni d’Italia, evidenziavano un aumento della percentuale dei giovani che frequentavano la scuola secondaria superiore (30%) e di quelli che conseguivano il diploma (66,7 %). Consideravano, comunque, allarmante il fatto che i livelli di scolarità degli italiani comprendesse ancora un 33% di cittadini senza titolo alcuno[53] o con la licenza elementare e il 54,6% con la sola licenza media[54]. Anche il Senato della Repubblica effettuava un’indagine parlamentare sulla dispersione scolastica e la relazione conclusiva era presentata nella seduta della Camera dei Deputati del 10 gennaio 2000 dall’On. Nando Dalla Chiesa, che ha presieduto l’apposito Comitato istituito nel dicembre 1998 (Camera dei Deputati - Commissione VII Cultura, Scienza e Istruzione), dove si è evidenziato lo scarto fra il livello di scolarizzazione dei nostri giovani rispetto a quello degli altri paesi avanzati, che permane nonostante nel dopoguerra anche in Italia la scolarità si sia molto espansa e la selettività ridotta[55]. Il fenomeno della dispersione nel complesso è in contrazione, ma permane rilevante sia in aree depresse del Sud, sia in qualche area del Nord dove i giovani trovano più facilmente lavoro, nel complesso il 45% giunge a completare la scuola secondaria superiore, agli inizi della quale la dispersione è assai rilevante soprattutto per i maschi e in certi tipi di scuola, e si lega soprattutto al livello economico-culturale delle famiglie. La seconda indagine sulla dispersione scolastica si è svolta al Liceo Scientifico "A. Righi” con lo scopo preciso di colmare le lacune che ancora oggi si registrano nelle analisi sui diversi aspetti degli insuccessi scolastici[56]. Il Ministero della Pubblica Istruzione, così, negli ultimi anni dedica particolare attenzione al fenomeno della dispersione, con l’emanazione di provvedimenti legislativi e normativi, ispirati all’autonomia scolastica[57], che prevede l’avviamento di interventi su scala nazionale, chiamando le scuole a una partecipazione attiva e progettuale in termini di prevenzione, oltre che di lotta ai fenomeni di abbandono.

       Le politiche sociali italiane si sono aperte ad un sistema di maggiore integrazione di enti (Comune, Asl, Provveditorato agli studi, Ministero di Grazia e Giustizia) e di consultazione e concertazione con l'associazionismo, il privato sociale e il volontariato. In questi ultimi anni i Provveditorati agli Studi hanno svolto un ruolo importante nella lotta alla dispersione scolastica, promuovendo indagini sul fenomeno, attivando specifiche iniziative di formazione per docenti e capi d'istituto, assumendo un ruolo di coordinamento tra le istituzioni scolastiche. La costituzione degli Osservatori sulla dispersione scolastica, provinciali e di area, ha rappresentato la volontà di affrontare il problema in un'ottica sistemica, interistituzionale, capace di contrastare le diverse componenti (socioeconomiche, psicologiche, relazionali, didattico-educative, sanitario-assistenziali) che determinano la complessità, e al tempo stesso la diffusione del fenomeno. In particolare i Progetti Educativi d’Istituto (PEI) e i Piani dell’Offerta Formativa (POF) sono stati considerati significativi, poiché la “documentazione prodotta costituisce la rappresentazione visibile dello stato attuale della progettazione scolastica, educativa (…)”[58]  e, come vedremo, laboratori di strategie didattiche per il recupero e  la prevenzione degli studenti a rischio.

       Il Governo italiano attuale sta prendendo tuttora delle misure più virtuali che reali, per arginare il fenomeno crescente della dispersione, che ora coinvolge sempre più non solo cittadini italiani, ma anche extracomunitari[59]. Anche il Presidente della Repubblica Ciampi, nel messaggio inaugurale del 2004 ha fatto un riferimento alla scuola e a due questioni di fondo: la dispersione scolastica e l’integrazione degli alunni stranieri.

      La lettura dei dati delle relazioni e delle inchieste sulla dispersione scolastica, ripropone il divario tra il Nord e il Sud del nostro paese. Al Sud i giovani lasciano la scuola per problematiche legate prevalentemente al disagio sociale (inefficacia dei percorsi educativi e formativi, povertà delle risorse culturali, mancanza di prospettive di lavoro); al Nord, la causa principale è in generale, lo sviluppo abnorme dei servizi, all'interno dei quali il servizio scolastico si trasforma in un servizio tra i tanti,  considerato lungo, difficile, poco appetibile rispetto ai percorsi professionalizzanti, che permettono di entrare facilmente e rapidamente nel mondo adulto dell'autosufficienza economica. Nel sud Italia la dispersione in certe zone è un fenomeno dilagante: a Catania, ad esempio, prima di combattere la dispersione scolastica, è necessario che certi quartieri, “allucinanti e squallidi (…) alla mercé di boss e spacciatori, capibastone e procacciatori di voti”[60] siano provvisti di garanzie, di ordine pubblico e di scuole che ancora mancano come: scuole materne, adeguate strutture scolastiche ecc.. In un’indagine sociologica Tullio De Mauro ritiene che le cause della dispersione e dell’abbandono scolastici per gli studenti dell’Italia meridionale siano da attribuirsi anche agli svantaggi scolastici derivanti “dalla dominanza dialettofona”[61], “dall’inesistenza totale di servizi di pubblica lettura”[62], dalla mancanza di informazione e di carta stampata”. 

            La dispersione va combattuta soprattutto sul territorio: sono moltissime oggi le iniziative di associazioni o gruppi che soprattutto nel Sud Italia si impegnano: in uno dei quartieri più problematici di Napoli[63] il quartiere Barra[64], sono stati i genitori ad andare a scuola. Infatti, in queste realtà la collaborazione delle famiglie è essenziale, affinché i ragazzi acquisiscano una "cultura della cultura". Il coinvolgimento dell'ambiente domestico è una strategia che è stata adottata anche a Palermo[65]. Anche a Lecce la dispersione scolastica è un fenomeno particolarmente grave, dal momento che ogni anno almeno mille e duecento ragazzi lasciano il biennio di scuola secondaria. Nella nostra Toscana, a Pisa è stata condotta una ricerca[66] che ha coinvolto studenti degli ultimi quattro anni della scuola dell'obbligo ed il titolo di studio dei loro genitori. I risultati hanno rivelato che spesso il rendimento scolastico dei ragazzi è condizionato dal livello culturale dei loro genitori.

 

3.  Abbandono scolastico e marginalità sociale

 

        La presenza crescente nel nostro paese di aree degradate in cui attecchisce un tessuto malavitoso, la mancanza o l'inadeguatezza di un supporto per la condizione giovanile di tipo istituzionale volto ad orientare o a fare da filtro ai comportamenti sociali, la mancanza di relazioni significative nel rapporto genitorifigli sono le maggiori cause del disagio giovanile[67]. Come rilevato attraverso una ricerca sul rapporto tra degrado urbano e devianza giovanile su quartieri di aree metropolitane[68], concorrono maggiormente all'emarginazione dei giovani l'inadeguatezza o la mancanza della famiglia, che non svolge il suo ruolo di agenzia degli affetti e della razionalità e la carenza dell'ambito scolastico come agenzia educativa. La scuola è molto spesso organismo di stato: in uno stato borghese - ­come sostiene il sociologo Althusser‑ la scuola, attraverso gli apprendimenti, riflette l'ideologia dominante cioè “la riproduzione delle condizioni determinate dalla logica della produzione economica"[69] : per questo è proprio l'istituzione scolastica che spesso come affermano, i sociologi Bourdieu e Passeron‑ stabilisce nell'apprendimento "una forte selezione tra gli studenti appartenenti alle classi medio-alte e quelli delle classi popolari”[70]. L'organizzazione capitalistica del lavoro, oltre a definire quell'insieme di regole organizzative tese a migliorare l'efficacia e l'efficienza produttiva, ha inciso in modo significativo sui processi di socializzazione dell'individuo, sulla formazione dell'identità personale, non che sul sistema scolastico: se prima la famiglia costituiva l'istituzione principale per la formazione culturale e lavorativa dell’individuo, ora la scuola,. il gruppo dei pari, il sistema di comunicazione di massa compiono alcune funzioni svolte in origine dal gruppo primario.

         “Quando, per qualsiasi fattore, esogeno o endogeno al ragazzo e/o all’istituzione scolastica, si sviluppa una condizione di malessere non episodico, si può parlare di disagio scolastico, da cui spesso, deriva come esito principale, la dispersione”[71]. E’ sul disagio che si dovrebbe intervenire, poiché in esso ancora “spazi di manovra e di azione”[72]. Il disagio scolastico è purtroppo una condizione che, a vari livelli di intensità, investe tutte le componenti educative e sociali; da un lato lo studente che assorbe in maggior misura l'effetto negativo della condizione, dall'altro l'insegnante che comunque vive in prima persona le difficoltà ed i problemi interni al sistema; la famiglia che riflette nel suo equilibrio la qualità dell'andamento scolastico; l'ambiente, che rimanda la lettura del suo livello culturale alla sommatoria delle varie situazioni e problemi sociali, compresa la scuola; l'amministrazione pubblica che ancora non riesce ad incidere sostanzialmente sulla qualità della scuola. I circuiti attribuzionali sulla dispersione “sono espressione delle diverse responsabilità socialmente associate ai ruoli di alunno, genitore, insegnante e amico”[73]. Pertanto il disagio scolastico esprime la sintesi di una catena che abbraccia l'intero sistema politico-sociale di un Paese.  Esistono, dunque, intime connessioni fra tipi di società e contenuti dell'educazione. Come ha evidenziato Durkheim i valori e le norme morali non hanno alcun fondamento assoluto, ma variano a seconda delle caratteristiche delle società a cui appartengono.

      Nella società contemporanea la scuola, in quanto organismo sociale, risente della crisi ideologica e valoriale del nostro tempo. E' una scuola nella società dell'incertezza. Lo scetticismo di cui si nutre il nostro tempo ha portato al crollo dei valori tradizionali (verità, virtù, onestà, solidarietà). La società vive una crisi nei valori che "genera anche una crisi nell'educazione”[74]. La scuola contemporanea, infatti, “appare un cantiere aperto ricco di contraddizioni”[75], poiché è presente “uno scollamento tra l’apparato simbolico esistente all’interno della scuola e la pluralità dei messaggi che i ragazzi ricevono fuori di essa”[76] e la dispersione scolastica segnala il “momento di crisi del sistema scolastico con mancata osmosi tra l’ambiente scuola e l’ambiente sociale (..)”[77]. Per questa mancanza di riferimenti etico‑morali, a cui si aggiungono problemi familiari e carenze affettive od emarginazione sociale, gli adolescenti, durante la formazione della loro personalità, si sentono "inadeguati” e sentono un intimo e intrinseco bisogno di significato. Nessuno sa aiutarli a capire chi sono: molto spesso neppure i loro insegnanti!

          La dispersione dipende, come emerge negli studi sociologi, dalla mancanza di reali condizioni di uguaglianza, e pertanto di pari opportunità nel mondo della scuola, tra allievi provenienti da classi sociali diverse. La lettura sociologica dei fenomeni di selezione scolastica legati ai processi formativi ha così contribuito ad evidenziare il profondo intreccio che esiste tra la dispersione scolastica e la stratificazione sociale, attraverso la relazione intercorrente tra “ il tasso di proseguimento agli studi e la distribuzione nei vari settori  di istruzione e classe sociale di appartenenza, con l’origine geografica e culturale, con il titolo di studio e l’occupazione dei genitori, con la collocazione urbana e rurale”[78], senza trascurare che è nei rapporti quotidiani della classe che si realizza di fatto la selezione.

         E’ oggi, inoltre, opportuno allargare la riflessione alle minoranze etniche[79] e ai ceti deboli, poiché per certi aspetti le dinamiche di approccio e di riflessione attorno all'istruzione vedono questi gruppi accomunati, e spesso le definizioni coincidono. E' in un'ottica di questo genere che possiamo affermare che i processi di integrazione non riguardano esclusivamente i componenti delle comunità straniere che vivono e lavorano nel nostro territorio, ma interessano anche coloro che emigrano da Sud verso Nord, coloro che dalla campagna o dalla montagna si spostano in città, coloro che per le caratteristiche ambientali nelle quali vivono trovano particolari difficoltà ad integrarsi e ad avviare un processo regolare di apprendimento nell'ambito scolastico. Tra questi vi sono coloro che vivono in condizioni di malessere sociale, ma anche chi, pur in condizioni di sufficiente benessere, non può permettersi di sostenere le ingenti spese necessarie per il sostentamento agli studi. A questi si debbono aggiungere quegli individui che sotto il profilo psicologico appaiono maggiormente deprivati di competenze sociali poiché anch'essi entrano a far parte del gruppo rappresentato dalla classe ed occupano, all'interno di essa, un'area marginale che spesso presagisce fenomeni d'esclusione e di emarginazione, fenomeni che, in molti casi; diventano sempre più gravi in relazione alla classe sociale e all'ambito nel quale si sono sviluppati. Il disagio in questo caso come si può ben capire ha come terreno d'espressione il campo psicologico e si manifesta tramite espressioni quali la solitudine, la timidezza, la non assertività o anche con la presenza di veri e propri problemi sessuali[80], ma anche tramite l'aggressività o l'irrequietezza. Se si accetta un quadro generale di questo genere, che appare già a prima vista piuttosto vasto e variegato, possiamo intravedere come l'azione dell'insegnante non possa non tenere conto delle diversità presenti nella classe, e come egli sia chiamato ad un'intensa azione pedagogica e psicologica volte ad avvicinare mondi assai lontani tra di loro: questa in fondo è la grande scommessa che va anche al di là degli insostituibili bisogni di educazione e cultura dei quali tutti i giovani sono grandemente bisognosi.

         Per questo è rilevante il saggio di Steven Brint, in specie per la sua capacità di individuare e delineare il ruolo della scuola nelle società moderne. Alla luce dei fatti, in buona parte dei paesi del mondo i risultati scolastici rappresentano la prerogativa principale per il conseguimento di una migliore o peggiore carriera professionale ed indirettamente, ma consapevolmente una maggiore o minore ricchezza e rilevanza sociale. Il terreno dell'indagine dell'autore è rappresentato da un'attività di confronto tra la scuola statunitense e i modelli europei ed asiatici. L'osservazione che apre la questione è quella secondo cui la scuola rappresenta ovunque il principale strumento di selezione sociale, poiché è lo strumento primario nei processi di orientamento al lavoro in tutto il mondo industrializzato, per questo anche se non tutti i ragazzi studiano a dovere, tutti sono giudicati in funzione della loro resa scolastica, ed è questo che ne definisce in prospettiva la collocazione sociale. Pertanto, come sostiene l'autore, “1a scuola è importante sia per la mobilità sociale sia per la riproduzione delle diseguaglianze"[81]. Infatti, come è noto, ad un maggiore titolo di studio risponde un maggiore reddito individuate, aspetto che si accresce con l'aumento dell'età del lavoratore, L'autore ricorda come nella società statunitense sussista il mito, espresso da Abraham Lincol dei self‑made Man e cioè dell'uomo che si è fatto da solo, ma che poi nella realtà questa figura abbia avuto un'importanza piuttosto marginale. Il crescente valore della cultura nella società moderna ha dato vita al “credenzialismo”. Con questo temine gli scienziati sociali designano il monopolio dell'accesso a quelle che sono le professioni più prestigiose e pagate in misura maggiore da parte di coloro che detengono una laurea e questo criterio è stato valido anche per le ex nazioni socialiste. L’organizzazione “credenzialista” della società statunitense ha reso necessaria la laurea per l'occupazione della totalità dei ruoli di lavoro più prestigiosi e remunerativi, rivelandosi indispensabile anche per l'ambito commerciale; per gli altri ambiti, per i quali sino ad allora non era richiesta, si è affermata la necessità della laurea breve. Il "credenzialismo" era visto sin dall'inizio da coloro che ne approvavano i principi come un ascensore nel quale ciascuno poteva entrare allo stesso piano e poteva uscire laddove i meriti scolastici lo avrebbero condotto[82].

            Gli studi di W. Lioyd Warner, sociologo, misero in luce come l'intensa competizione intellettuale non favorisse minimamente i giovani provenienti dalle classi lavoratrici, anzi al contrario li ostacolasse. L'immagine che si venne profilando non fu pertanto quella di un ascensore, ma piuttosto quella di un nastro trasportatore che conduce gli individui non molto lontano dal punto dal quale sono partiti: pertanto la scuola era considerata come un efficace riproduttore delle diseguaglianze già presenti nella società, poiché le reiterava da una generazione all'altra, rafforzando i vantaggi e gli svantaggi che caratterizzavano i ragazzi provenienti dai diversi ambiti sociali. Queste due differenti visioni della scuola hanno dato vita rispettivamente al modello meritocratico, e alla teoria della riproduzione sociale; il primo si volge alla formazione di una élite di uomini e donne di talento provenienti da tutte le classi sociali volte a governare la nazione, il secondo individua in questa operazione una sostanziale ingiustizia, dicono infatti Samuel Bowles ed Herbert Gintis che " per riprodurre la forza lavoro, la scuola è destinata a legittimate la disparità, a livellare lo sviluppo personale a forme compatibili con la sottomissione all'autorità e a concorrere alla rassegnazione della gioventù al proprio destino"[83]. L'esempio adottato è quello di una ipotetica ragazza ispanico‑americana che studia in una scuola statunitense, e alla quale, se pur molto dotata, ben presto i problemi linguistici producono un ostacolo difficilmente superabile; le reazioni conseguenti, nel caso che la famiglia patema non disponga di particolari mezzi economici, che !'ambiente dei ragazzi che frequenta sia poco interessato allo studio, e che i genitori provino imbarazzo nel confrontarsi con gli insegnanti, saranno quelle di un rapido affievolimento della sua “meritorietà” iniziale. Le ricerche sul campo hanno tuttavia dato risultati più confortanti, infatti è stato messo in luce come invece una certa quantità di mobilità sociale esista e sia piuttosto consistente, in parte dovuta ad un alto rendimento scolastico, che deve però essere unita ai vantaggi dati dalla classe sociale di appartenenza.. Si compiono numerosi spostamenti nel passaggio da una generazione all'altra, che di norma interessano, sia che avvengano in senso ascendente o al contrario rappresentino una forma di regresso, classi contigue tra loro. Sembra cosi che tanto il modello meritocratico che quello della riproduzione sociale si dimostrino nella loro integrità, inadeguati a rappresentare l'effettivo flusso degli spostamenti compiuto dalle persone nella scala professionale e sociale.

         Tuttavia tornando al nostro obiettivo principale, ossia l'identificazione del rapporto esistente tra il disagio sociale e l'abbandono ed ancor più la dispersione scolastica, è opportuno osservare il diagramma studiato da Pisati[84], riguardante l'Italia. In esso si può costatare come l'acquisizione di un diploma di scuola media superiore, pertanto non l'obbligo di studio in quanto tale, ma il minimo titolo necessario ad accedere ai lavori meglio remunerati e più rappresentativi della società, sia stato negli ultimi ottant'anni fortemente legato alle condizioni della famiglia di provenienza (cfr. grafico). Le curve degli anni venti‑sessanta, pur con una generale crescita, sono simili a quelle che riguardano gli ultimi quarant'anni. Da questo grafico si rileva soprattutto la particolare attenzione rivolta dalle classe medio-alte all'acquisizione di un titolo di studio, ed al contrario l'apparente disinteresse dei ceti agrari ed operai, ad ottenerlo. Secondo Tullio De Mauro nell’Italia meridionale l’attenzione allo studio da parte dei ceti bassi è inferiore, “poiché la scuola nel Sud non è in grado di fronteggiare i problemi e di supplire a quelle che sono carenze private, carenze della società civile e della sua cultura”[85]. Il sociologo conclude che nel Sud Italia:

“La marginalità socioculturale e linguistica dei padri ricade sul capo dei figli. E i figli, sospinti fuori della scolarità formale o, entro essa, ai margini di sostanziali acquisizioni critiche e intellettuali, preparano una rinnovata e degenerante marginalità per sé e per i gruppi sociali e gli ambienti di appartenenza”[86].

 

         Al contrario, la società scandinava ha raggiunto ottimi risultati nella ricerca delle pari opportunità, e, come sostiene Jonsson, la maggior possibilità, di cui godono gli operai e le loro famiglie, è essenzialmente attribuibile ad un livellamento delle condizioni di vita dovute all'attenuazione delle differenze di reddito e all'azione del Welfare state"[87], ed inoltre al fatto che sono venute meno le condizioni estremamente faticose del lavoro manuale, cosi da concedere ai genitori, impiegati in questi settori, più tempo per l’educazione e l'incoraggiamento dei figli. In Italia la situazione è differente: dobbiamo ricordare che in Italia ancora vi è un 5% di ragazzi che non concludono la scuola dell'obbligo (dati 1995‑96) cosi come il 24% si ferma prima di acquisire un diploma superiore. Dalla stessa ricerca si evince, per quanto riguarda la dispersione scolastica, che un 12% abbandona subito dopo il conseguimento della terza media, mentre oltre il 18% dei diplomati non si iscrive all'università. Infine, ad un livello superiore, del 40% di coloro che si iscrivono all'università solo poco più dell'11% consegue effettivamente la laurea. Alla luce di questi dati, confrontati con quelli del diagramma relativo alle professioni esercitate dai padri in funzione dell'acquisizione del diploma di scuola media superiore, si può dedurre che i figli delle classi meno agiate presentano obiettive difficoltà nel conseguire titoli di studi adeguati, cosi da stimolare un preciso interrogativo, e cioè quali siano le cause di tale divario, e se vi siano o meno delle contromisure pedagogiche efficaci nell'azione didattica, utili per quegli elementi provenienti dalle classi sociali particolarmente disagiate. Preso atto con Bernstein che l’istruzione scolastica si basa su un codice linguistico elaborato tipico della classe media, anziché sul codice linguistico ristretto diffuso nella classe operaia", bisogna anche aggiungere che i tempi sono cambiati e che i mezzi di comunicazione di massa hanno reso più uniforme la cultura e la consapevolezza soprattutto linguistica di ogni genere di persona,. E’ da considerarsi ancor oggi pienamente adeguato il modello proposto dal sociologo Bourdieur relativo all'abitus che ogni appartenente ad una classe sociale riveste e che viene passato alle nuove generazioni. L'abitus rappresenta quel complesso di credenze e aspirazioni che si apprendono in ambito familiare e dalle persone che compongono più generalmente la cerchia ambientale. Se allo studio viene attribuito un valore positivo sia dalle classi medie che da quelle alte, più difficile appare la situazione tra la classi a basso reddito. L’osservazione si sposta infatti sulle difficoltà enormi vissute da alcune famiglie a basso reddito e sulla loro totale impossibilità nel progettare e tanto meno organizzare un processo di studi regolare per i propri figli. Un po' diverso è il ragionamento riguardante le famiglie operaie che vivono una condizione di sostanziale stabilità; in tali circostanze l’abitus di classe dei ragazzi può variare: si va dalla totale conformità, adottato da una minima parte e accompagnata da un generale senso di inadeguatezza rispetto alta scuola e ai suoi strumenti, al rifiuto e alla derisione della scuola; altri ancora si chiudono dietro il muro dei silenzio, nei quale celano un fortissimo senso di risentimento. Cosi, come ha affermato Steven Brint:

“La costruzione dell'identità di uno studente è tutt'altro che facile per i figli della classe operaia, per quanto siano dotati, se non sono stati esposti ad attività intellettuali o aspettative elevate fra le mura domestiche. Nel processo di costruzione dell'identità di “bravo studente”, l’alunno deve superare alcuni ostacoli come affrontare e superare sfide difficili; accettare etichette che potrebbero sembrare inadeguate o essere sgradite (intelligente, ambizioso); sconfiggere i dubbi; gestire lo scetticismo o persino l'ostilità di amici e familiari. Gli scrittori Richard Hoggart e Richard Rodriguez hanno fornito ritratti esaurienti di ragazzi di origine operaie che riescono a scuola, assorbono i saperi come una spugna, accumulano borse di studio, ma nonostante tutto non sviluppano alcun senso di comprensione intima delle opere che hanno studiato in maniera cosi ossessiva. Molti sono tentati di rinunciare ed effettivamente finiscono per abbandonare”[88].

 

        Possiamo pertanto cercare di giungere ad una conclusione che coinvolga anche le minoranze etniche tenendo conto di quelle che sono le esperienze dei paesi nei quali i flussi migratori sono presenti da lungo tempo, per poter poi cercate le strade più opportune alla riduzione delle differenze Possiamo cosi dire che la classe sociale, la razza e l'etnia e il genere sono i maggiori criteri di differenziazione sociale. Queste divisioni sociali non contribuiscono però nella stessa misura a determinare il successo e l'insuccesso scolastico. L'appartenenza di classe[89] influisce notevolmente sulle prestazioni scolastiche quasi ovunque, in questo presenta nessi sistematici con la distribuzione sociale delle risorse culturali e dei livelli motivazionali. Le minoranze altamente subordinate incontrano vincoli nell'occupazione e nella segregazione residenziale e sono stigmatizzate dalla cultura dominante. Questi gruppi danno luogo in maniera sistematica a prestazioni scolastiche scadenti. I gruppi razziali ed etnici che invece si assimilano velocemente di solito sono costituiti da immigrati volontari, che possiedono competenze commerciali e urbane e spesso hanno tradizioni religiose che danno molta importanza alla parola scritta.

          Il disagio scolastico è studiato, come sostiene Luciano Corradini, da più di un secolo sia dalla sociologia che dalla psicologia e a fasi alterne “le responsabilità degli insuccessi sono state attribuite all’individuo o alla società, alle determinanti biologiche o a quelle sociali della personalità. In particolare si è sviluppata una lunga disputa, su basi empiriche non meno che su basi ideologiche, tra chi privilegiava i fattori innati e chi privilegiava i fattori acquisiti, in rapporto al problema dell’insuccesso scolastico (..)”[90] . Non bisogna accreditare come risolutiva nessuna di queste ipotesi, poiché l’apprendimento è un’operazione che presuppone una serie di precondizioni sociologiche e al contempo psicologiche, necessarie a determinare la motivazione scolastica. 

 

4. Disagi psicologici e disturbi dell’apprendimento 

      

          La lotta contro l’esclusione e la marginalità richiede, perciò, anche la conoscenza dei motivi psicologici dell’abbandono scolastico; è necessario, quindi, indagare anche sugli aspetti cognitivi, emotivi e affettivi del disagio degli alunni e tentare di delineare forme d’intervento per il recupero e la prevenzione delle loro difficoltà di apprendimento e di inserimento sociale. Come sottolinea Paolo Orefice, spesso la dispersione scolastica nasce da “un disagio del ragazzo, una sua sofferenza che non si vede, che è dentro di lui e che noi siamo portati a qualificare secondo giudizi avventati, perché non ci siamo messi in questa ottica psicologica”[91].

         I fenomeni della dispersione e dell’abbandono scolastico non sono riconducibili ad una sola causa, ma ad una pluralità di variabili intrinseche o psicologiche (disturbi dell’apprendimento, disagio e insuccesso scolastici, oppure handicap[92] o sofferenza mentale) e estrinseche o sociologiche (condizioni socio-economiche e familiari).  

            Tra i fattori intrinseci è necessario considerare “le differenze interindividuali, nella descrizione di possibili percorsi di tipo adattivo o disadattivo”[93].  In base al potenziale individuale di apprendimento, che è “il prodotto composito e integrato di elementi biologici, contestuali e culturali,  che si esprimono nella relazione tra la dimensione intrapersonale e quella interpersonale, tra il mondo interno e il mondo esterno del soggetto”[94], alcuni pedagogisti e psicologici americani hanno coniato il termine di stile cognitivo, che si riferisce alla modalità con cui ciascun fanciullo tende a selezionare e a elaborare le nuove informazioni, partendo da stimoli esterni:.

“Gli psicologi cognitivi sono certi che i bambini adottano differenti stili e strategie di apprendimento, ma non concordano su quali definire migliori. Certi studenti sono predisposti ad apprendere tramite osservazioni riflessive e altri tramite sperimentazioni attive. Alcuni hanno bisogno di tradurre le lezioni nei termini delle loro esperienze concrete, altri strumenti, pongono domande, fanno commenti. Quelli più riflessivi possono trovarsi a disagio in un ambiente troppo movimentato e riescono ad apprendere meglio nella tranquillità della lettura o ascoltando la lezione dell'insegnante [Boocok 1972, 129‑133], Il maestro esperto combina diversi metodi di insegnamento per mettere a loro agio sia gli studenti attivi che quelli riflessivi"'[95].

 

       Nei percorsi di adattamento e disadattamento psicologico, “Quinton e Rutter (1988) hanno evidenziato il ruolo chiave evidenziato dalla scuola nel delineare percorsi di tipo adattivo”, che consiste nella motivare l’alunno nel rendimento scolastico. Il comportamento motivazionale adattativo è caratterizzato da una motivazione intrinseca di “autodeterminazione controllo”[96], che crea una perseveranza elevata ed efficace di fronte alla difficoltà e perseveranza di fronte agli ostacoli e sul piano emotivo sentimenti di fierezza e soddisfazione in rapporto con la quantità di sforzo. Il  comportamento motivazionale non adattativo, invece, si traduce in una condotta di evitamento di fronte ai problemi da risolvere e nella fuga davanti alle difficoltà scolastiche, che richiedono impegno e motivazione e spesso in isolamento psichico dipendente da mancanza di socializzazione[97].

      Se la motivazione[98] ad apprendere “è una spinta grazie alla quale l’allievo adotta comportamenti positivi, quali mostrarsi desideroso di acquisire nuove conoscenze e impegnarsi a persistere nello studio”[99], la demotivazione è uno stato di mancanza o di assenza “distribuita” tra allievo, insegnante e famiglia.  Secondo Abraham Maslow, la motivazione nasce dai bisogni individuali[100]. L’apprendimento nasce, per lo psicologo, dal “desiderio di conoscere e capire”, che è uno dei bisogni umani più elevati, nella gerarchia dal più pressante al meno urgente:

        I fattori socio‑ambientali (estrinseci) e individuali (intrinseci) si riflettono, perciò, nel disagio scolastico: quando un ragazzo ricerca sicurezza e protezione (bisogni di sicurezza) nella scuola e nella famiglia e non trova aiuto, il suo atteggiamento emotivo si manifesta nella frattura della comunicazione (scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i compagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico): questi atteggiamenti non permettono al soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con successo. Alcuni ragazzi giacciono annoiati tra sedie e banco durante le ore di lezione e mostrano una forte insofferenza nell’affrontare i doveri di studenti, rivelando una forte difficoltà di apprendimento di carattere prevalentemente motivazionale. Come evidenzia la Riva, “la motivazione profonda dell’adolescenza è la scoperta della vita nella sua realtà dinamica e nel rapporto da stabilire fra la propria soggettività e la realtà esterna”[101]. Negli studi di psicologia dell’età evolutiva, si ritiene che anche il fattore[102] dell’età influisca sul disagio scolastico: dai 12 ai 18 anni l’individuo attraversa una fase di accrescimento che comporta una vera e propria mutazione di stato in cui si verifica il difficile passaggio dalla condizione di "bambino" a quella di "adulto". L’adolescente, infatti, impressionato dalle improvvise e rapide trasformazioni del proprio corpo ed imbarazzato dai nuovi stimoli e dalle nuove pulsioni che ne derivano, finisce per andare incontro ad una vera e propria "crisi di identità"[103], non sapendo più esattamente né chi è né come deve comportarsi. Questo momento di sviluppo- come evidenzia Cacciaguerra-  “è una burrasca violenta perché lo stato di ansia confina con il panico e nella loro solitudine interiore il ragazzo e la ragazza sono presi da confusione, incubi, irrequietezza.”[104]. L'adolescenza è dominata anche da oscillazioni e contraddizioni tra la voglia di crescere e la paura di abbandonare l'infanzia. Imparare vuol dire anche rinunciare all'irresponsabilità e alla dipendenza dall’adulto: l'adolescente sente spesso il suo impegno e il suo successo nell'apprendere come minaccia alla propria libera espressione. Se l’insegnante è abile nell’integrare le attività espressive, immaginative e ideative innate nell’alunno con la curiosità scientifica prodotta dagli stimoli esterni, allora riesce a far nascere in lui una partecipazione autoconsapevole che produce una crescita cognitiva in ogni disciplina. In questa dinamica di crescita, si creano in certi adolescenti difficoltà psicologiche o sofferenze mentali come la fobia della scuola: questi studenti hanno paura del contesto di esame, di interrogazioni vissute come inquisizione e come strettamente legate al proprio concetto di autostima che la scuola impone loro[105]. L'apprendimento contiene in sé anche significati particolarmente temibili e minacciosi per l'identità dell'adolescente. Il processo dell'imparare implica infatti esperienze di incertezza, confusione e incomprensione, ed espone naturalmente a rischi di fallimento, di frustrazione e di fatica. Per i ragazzi è spesso cosa difficile e fonte di ansia tollerare lo stato di non conoscenza, la sensazione di caos, di non comprensione e controllo del nuovo da acquisire. L'oscurità dei contenuti da apprendere, la difficoltà a trovare un senso che organizzi le nozioni e l'impotenza a controllare quelli che appaiono frammenti di conoscenze confusi e oscuri sembrano proprio una metafora dello stato di incertezza e impotenza così tipica dell'adolescenza. L'apprendimento, insomma, può essere per l'adolescente un'esperienza che ripropone e condensa le emozioni, i conflitti, e le ansie più intensi, attuali e temuti. In effetti se il successo scolastico implica senso di potenza, crescita, controllo, l'insuccesso o il timore di insuccesso implicano senso di impotenza, che può divenire impotenza appresa, generando atteggiamenti depressivi, come sostiene Seligman, diffusi a tutta la sfera di vita sociale dell’alunno, sfiducia in sé, paura del giudizio, inadeguatezza a controllare il mondo esterno. Le emozioni connesse all'apprendimento condizionano fortemente le vicende scolastiche e i contenuti appresi, anche in virtù della memoria episodica, a cui si legano. Tali vicende scolastiche portano spesso lo studente su una posizione difensiva rispetto ai rischi temuti e su una “resistenza passiva”[106], o su una posizione di fuga dal compito, di abbandono preventivo o ancora, su una posizione "aggressiva" di attacco al " nemico" che può svelarne le debolezze.        

          La maggiore o minore capacità di affrontare positivamente gli impegni e le difficoltà scolastiche non può essere spiegata facendo riferimento soltanto a caratteristiche individuali, senza tener conto che il bambino e l’adolescente affrontano questo compito evolutivo in un contesto scolastico influenzato però sia dall’ambito sociale che familiare. I fattori estrinseci che influenzano l’apprendimento sono prevalentemente di natura socio-culturale, socio-economico e familiare e istituzionali.

         I fattori socio-culturali sono riconducibili ad una certa disparità di livello delle prestazioni intellettive date da soggetti appartenenti a contesti culturali diversi, poiché ogni individuo assimila la cultura del gruppo d'origine e di conseguenza, se deve ampliare il suo contesto d’appartenenza, può incontrare delle difficoltà cognitive nell’assimilazione e nell’accomodamento di nuovi schemi. Tale fenomeno si nota particolarmente nella scolarizzazione dei figli degli immigrati provenienti da nazioni extra-europee ed entrati in massa in Italia in tempi recenti.  Quindi le differenze culturali influiscono sul sistema di apprendimento:

“I teorici culturali radicano nelle circostanze della vita le stesse differenze che teorici cognitivi radicano nella personalità e nel funzionamento del cervello. Quindi l'espressione differenze culturali indica i modi di esperire l'ambiente che sono condizionati dai comportamenti del gruppo di riferimento di un individuo. Alcuni ricercatori sostengono che, sia l'estrazione di classe, sia il fattore etnico, diano luogo a una differenza culturale nei modi di apprendimento"[107].

      

       Secondo una di queste teorie lo stile di apprendimento analitico è caratteristico, in ambito statunitense, dei figli di famiglie bianche o asiatiche caratterizzate da alti redditi, mentre quello relazionale caratterizza i figli delle famiglie afro‑americane e latino‑americane a basso reddito. Lo stile analitico, in definitiva indica la capacità di astrarre le cose, sottraendole dal loro contesto e di poterle poi riunire in funzione di quelle che sono le loro caratteristiche comuni. E' uno stile di apprendimento questo che facilita l'acquisizione di una cultura generale.

      I fattori di tipo socio-economico e familiare sono costituiti da lunghe assenze dei genitori, da disaccordo tra loro, da errori educativi pre-scolastici, da richieste o aspettative eccessive, da parte dei familiari, in ordine al successo scolastico del figlio[108].

     I fattori istituzionali inerenti alla strutture e alle dinamiche scolastiche possono agire sia per via somatica (con aumento della faticabilita` fisica) che per via psicologico-relazionale (per il  disturbato rapporto con l'insegnante o con i compagni) e sono: lontananza dalla sede scolastica, classe numerosa, aule insufficienti o inadatte, doppi o tripli turni, pluriclassi, caroselli degli insegnanti, personalità disarmonica dell'insegnante, emarginazione o violenza ricevuta dal gruppo dei pari[109].  Il disadattamento psicologico dell’allievo può manifestarsi come difficoltà psicologica con l’istituzione scuola, che è la prima organizzazione sociale complessa in cui il bambino-adolescente sperimenta un ruolo specifico e “un’occasione di identificazione positiva, utile per l’elaborazione di un’identità personale da giocarsi nella società”[110],  in cui deve rispettare regole, assumersi degli impegni e portarli a termine, sottoponendosi a valutazioni. Negli individui che hanno vissuto esperienze di disagi e insuccesso scolastico si trovano competenze psico-sociali carenti, che sono il requisito fondamentale per l’apprendimento e la riuscita scolastica nell’adolescente e funzionali anche per l’inserimento e la riuscita professionale. La percezione di fallimento personale e sociale, legata ad un percorso formativo problematico, diminuisce, quindi, la convinzione di auto-efficacia, rispetto anche ad esperienze diverse, in primo luogo quella lavorativa, riducendo la motivazione ad attivarsi nei confronti di questo obiettivo e lasciando spazio ad atteggiamenti e comportamenti di attesa e di indifferenza paralizzante nei confronti del proprio futuro professionale. L'insuccesso scolastico e il disagio che ne consegue non restano quasi mai confinati all'interno dei processi scolastici. In effetti, essi rappresentano importanti fattori di rischio per lo sviluppo psicosociale complessivo dell'individuo che lo sperimenta, come emerge dalla constatazione che quei soggetti che hanno subito una storia di difficoltà scolastiche (bocciature, ripetenze, abbandoni), hanno maggiori probabilità di incorrere, in età successive, in comportamenti a rischio (come  droghe, attività antisociali, ecc o più semplicemente in gravi disagi relazionali).

         Con tali presupposti la trattazione si sposta sull'interazione tra lo studente a rischio di abbandono scolastico e il docente che è chiamato ancora una volta ad agire con competenza ed efficacia in un clima sereno ed armonico. Al riguardo ci siamo interessati agli studi relativi alle competenze sociali, termine con il quale si designa la capacità di un individuo ad essere socialmente competente, e cioè capace di sollecitare effetti desiderati su altri soggetti che a lui sono prossimi, come ad esempio l'essere "ben voluti" in ambito professionale e saper accrescere le proprie capacità di apprendimento, di riequilibrio o di lavoro. Dobbiamo infatti tenere conto del fatto che gli adolescenti rifiutati, generalmente in quanto aggressivi o irrequieti,  isolati o con tendenze asociali, risultano essere i più deprivati di competenze comunicative. I giovani rappresentano uno dei gruppi più vasti con gravi carenze psicologiche e limitate competenze sociali. Tali deficit nel mondo adulto sono rintracciabili in individui depressi o nevrotici, anche se non esistono evidenze specifiche che possano definire il fenomeno come un fattore predittivo.       

         Per quanto concerne la sfera affettiva, le emozioni negative sia primarie che secondarie (ansia, tristezza, depressione e rabbia) sembrano avere effetti negativi sulla motivazione, contrariamente a quelle positive. Per questo, si rivela di fondamentale importanza l’empatia dell’insegnante, che “deve tener conto degli interessi e favorire la scoperta, da parte del ragazzo, delle motivazioni profonde e dell’adeguatezza di determinate realtà ai propri bisogni personali”[111] sul piano psicologico e pedagogico.

 

5. Comprensione empatica e motivazione degli alunni a rischio

 

      “La qualità pedagogica dell’azione educativa che si compie a scuola- come sottolinea la pedagogista Antonia Cunti- concerne a monte il creare quelle condizioni di interazione, di scambio e di sostegno competente che possono arginare le condizioni che determinano fenomeni attinenti alla dispersione”[112]. Nello strutturare un rapporto di apprendimento è, allora, necessaria e insostituibile una mediazione dell'insegnante che consiste nello sviluppare un percorso specifico di competenze volto a organizzare pensieri, idee e acquisizioni nuove in un quadro organico dotato di significato e nessi interni, garantendo al discente, soprattutto, in virtù dell’esperienza personale del docente, la possibilità di conoscere, capire e superare le ansie e le difficoltà del nuovo, facendo luce ciò che è oscuro, ordinando ciò che è confuso e infine guidando l'allievo ad un’accettazione costruttiva delle proprie difficoltà, perché possa pensarle e rappresentarle a se stesso, acquisendo una piena padronanza (sviluppando cioè un problem solving ideografico). Pur riconoscendo che la determinazione e l’espansione della personalità si fondano sul potere di autocostruzione che è proprio di ogni individuo, anche l’insegnante svolge una rilevante funzione nei processi di differenziazione e strutturazione dell’io dell’alunno, con “ i sentimenti e le passioni, gli affetti e le emozioni che costituiscono gli elementi originari dell’io”[113]. Buber sostiene, infatti, che attraverso “la complementarità e il contenere (Gegenseitigkeit und Umfassung)” [114] si crea tra insegnante e alunno un dialogo profondo da cui emerge un sentimento di profonda fiducia e “l’impegno di essere e di continuare ad essere l’uno per l’altro”[115]. L’apprendimento non è “mero condizionamento e assimilazione passiva di contenuti preconfezionati”[116], ma per la forte componente di attivazione emotivo-cognitiva “rappresenta una sfida e un’avventura che implica un atto di fiducia che consiste nel coraggio di tuffarsi nell’incerto e nell’ignoto”[117]. Alcune forme di disagio sociale, il successo o l’insuccesso scolastico, stati d’ansia e disorganizzazione, problemi di autostima e insicurezza, dipendono dalle prime esperienze di apprendimento e devono assolutamente essere prese in considerazione dal docente. I processi di apprendimento hanno, inoltre, luogo prevalentemente nell’ambito di un contesto relazionale, pertanto la qualità delle interazioni comunicative influenza la peculiarità delle esperienze di apprendimento stesso. Dal momento che l’individuo forma la propria identità attraverso un processo unitario “sinergico e interfunzionale”[118], fondato sull’interazione fra le singole dimensioni della personalità, “un’affettività piena, autentica, sicura finisce con l’esercitare inevitabilmente una positiva influenza sulle altre dimensioni della personalità: da quella intellettuale a quella corporea, sociale (..)”[119]. Bloom[120], infatti, ritiene che esista uno stretto rapporto che lega affettività e motivazione e apprendimento, poiché le variabili affettive esercitano un’azione rilevante nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione che avvengono nell’ambiente scolastico.

        Secondo alcune teorie psicoanalitiche la modalità che ognuno di noi ripropone per relazionarsi agli altri e con la realtà, sembra rinviare ai rapporti primari dei primi anni di vita, ovvero ad affetti e comportamenti strutturati durante l’infanzia nell’ambito familiare e soprattutto al rapporto con la madre[121], che rappresenta la sicurezza e la disponibilità e al padre, che incarna l’interiorizzazione del dovere. In ogni relazione interpersonale significativa, quindi, si ripropongono inconsapevolmente modelli relazionali vissuti nell’infanzia con i genitori (transfert), che hanno la caratteristica di riattivare la relazione diadica e triadica. Nessuna esperienza, quindi, viene perduta, ma rimane nella mente: si creano modelli operativi interni pronti ad essere riattivati quando si presenta una situazione analoga alla precedente. Il contatto con l’insegnante può far rivivere allo studente molti contesti emozionali che ha precedentemente sperimentato nelle relazioni familiari (come la gratificazione, la frustrazione, l’impulso distruttivo, l’impulso depressivo ecc.). Sono, infatti, gli atteggiamenti relazionali dell’insegnante verso l’allievo ”che vengono da quest’ultimo interiorizzati e che si possono armonizzare con le parti interne preesistenti oppure creare conflitto con esse”[122]. Per Kohut l’equilibrio affettivo dell’alunno è legato ad “un doppio rapporto con gli oggetti-Sé”[123]: quelli interiorizzati in forma stabile (o del Sé coeso) e quelli incarnati da figure esterne (genitori e docenti), entrambi indispensabili per “i bisogni narcisistici fondamentali di rispecchiamento, idealizzazione e gemellarità”[124].

       Il docente che intende realmente aiutare l’alunno in modo da attuare la pienezza del suo potenziale educativo è mosso da autentico amore pedagogico ed è pertanto un insegnante empatico, ricco di “amore esigente e altruista”[125], poiché vuole “aiutare la persona amata ad elevarsi per il suo bene”[126]. L’autentico interesse del docente per il discente è un’esperienza emozionale “dove la condivisione del percorso formativo si fonda su un rapporto di autentica reciprocità senza la quale l’evento educativo sarebbe davvero condizionamento e coercizione”[127].  Essere insegnante affettivo significa valorizzare la soggettività e l’alterità dei propri alunni, “poiché non c’è umanità senza il riconoscimento completo e incondizionato del valore dell’altro nei suoi irripetibili e peculiari caratteri (..)”[128].  L’insegnante deve porsi in maniera equidistante nei confronti degli autoritarismi (che si esprimono nella dominanza degli educatori, che limitano e costringono il comportamento degli educandi) e dei permissivismi e scegliere di essere guida autorevole e quindi di percorrere l’itinerario del dialogo, dello scambio e della reciprocità comunicativa. Il docente deve porsi come guida autorevole e verrà riconosciuto dagli alunni “come persona che possiede competenze oggettive e normative, e quando, per la sua parziale o relativa accettata superiorità, interviene attraverso funzioni orientative e regolative”[129]. Se autorità autorevole, l’insegnante non genera paure, ma promuove fiducia e si rende protagonista di una relazione “stimolante e rassicurante, inibente il gregarismo e sollecitante il protagonismo”[130], che facilita l’autonomizzazione dell’alunno. La relazione educativa produrrà quindi la promozione più ampia del Sé: il docente affettivo dovrà non solo non essere antiautoritario, ma anche “socio-politico”, cioè aperto all’ambiente circostante e informato delle principali questioni della società, che promuovono lo sviluppo dell’uomo e del cittadino. Egli saprà consigliare e aiutare l’alunno “a rischio” nell’autodeterminazione della sua personalità.

         L’identità scolastica si rafforza attraverso la formulazione e l’accettazione delle regole della classe, del gruppo, della scuola: gli incarichi e i ruoli organizzativi per tutti gli allievi, a rotazione, infatti, favoriscono il senso di autonomia e responsabilizzazione e contribuiscono a ridurre il fenomeno dell’assenteismo e dell’abbandono scolastico. Affinché si crei una sintonizzazione affettiva, il docente deve utilizzare la tecnica dell’ascolto attivo[131], poiché è presenza umana in azione”; il suo ruolo è quello di interpretare comportamenti, reazioni e improvvisi cambiamenti di umore e di aiutare il discente a prendere coscienza di quello che gli sta avvenendo, mettendolo in condizione di riflettere, capire e parlare. La capacità di ascolto attivo offre anche la possibilità di osservare in modo approfondito e costituisce un’efficace modalità di sostegno affettivo, per cui rappresenta di per sé un valido agente terapeutico di prevenzione. Nella difficoltà che esiste costantemente a comunicare all'interno di un gruppo non volontario e sottoposto ad una notevole forma di disciplina, qual è una qualsiasi classe scolastica, un problema che insorge assai di frequente è la verifica dell'omogeneità tra il linguaggio verbale, fatto di domande e di risposte, con quello non verbale, altrettanto se non addirittura assai più importante del primo, poiché composto da espressioni del volto, posture, sguardi, gestualità, e tono della voce, la cui decifrazione, non è sempre facile o possibile. In questo contesto di obiettiva difficoltà, l'empatia rappresenta lo strumento per eccellenza particolarmente efficace a disposizione dell'insegnante, poiché incarna la capacità di condividere l'emozione provata dall'altro e di comprendere il suo punto di vista: “la capacità di comprendere il modo di essere-nel-mondo di un altro dal di dentro, riuscendo ad immedesimarsi nella sua condizione e a penetrare la sua dimensione di interiorità”[132]. L’empatia[133] è la capacità di intuire e leggere fra le righe, di captare le spie emozionali, di cogliere anche i segnali non verbali indicatori di uno stato d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per l'interlocutore, senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato: diventa così possibile comprendere atteggiamenti e comportamenti apparentemente assurdi, e rispondere soddisfacendo i bisogni specifici di un soggetto. Un ambiente educativo capace di agire in questo senso integra e sostiene la struttura della persona, anche di quella che incontra difficoltà, creando un clima di fiducia. Per Rogers la comprensione empatica ha una posizione centrale all’interno della relazione educativa che significa innanzitutto “difendere e incrementare il potenziale di umanità dell'alunno”[134].

         Nell’ambito del rapporto didattico, sintonizzazione affettiva significa porre l’accento sul fatto che non tutti gli allievi hanno le stesse esigenze, i medesimi bisogni e tempi di apprendimento. Un insegnante deve avere una particolare sensibilità per gli allievi più emotivi o con difficoltà di apprendimento, con disagi scolastici e con disturbi dell’apprendimento. Inoltre è dimostrato che, quando aumenta l'attenzione dedicata agli allievi problematici, migliora il clima di classe. Se più classi migliorano il loro clima di apprendimento migliora il clima complessivo della scuola e perciò ne consegue una riduzione dei tassi di abbandono e di bocciatura, del disadattamento e del disorientamento scolastico. Il modello didattico maggiormente diffuso nella nostra scuola è quello centrato sull'insegnante, prevalentemente verbale, astratto, deduttivo, rivolto in modo indifferenziato all'intera classe, costituito perlopiù da sequenze didattiche eccessivamente rapide. Tale metodo di comunicare, se da un lato sfugge alla reale comprensione della maggior parte degli allievi, dall' altro non sembra gratificante per lo stesso insegnante che stenta a sottrarsi all’ansia creata da programmi ministeriali spesso troppo vasti e teoricamente inconsistenti.

         Contrariamente l’atteggiamento di disponibilità empatica implica il rifiuto, da parte dell’insegnante, di leggere del mondo in modo egocentrico e “accettare di porsi in una condizione di nudità emotiva”[135] di apertura e disponibilità a mettersi in discussione (“di introspezione e di autotrasformazione”[136]). E’ per questo centrale il profilo dell’insegnante come individuo : infatti solo quel docente che possiede una forte immagine di Sé non teme il momentaneo lasciarsi andare per vivere “momenti di indistinzione tra sé e l’altro”[137] e riporta “in vita le proprie parti perdute”[138] per riviviverle empaticamente con l’alunno. La dimensione affettiva dell’insegnante non è semplice comunicazione e trasmissione di contenuti e nozioni, ma significa comprendere l’alunno “grazie all’empatia, cioè alla capacità di provare i sentimenti dell’altro attraverso l’autoanalisi e la ricerca, nella propria esperienza di qualcosa di analogo (…)”[139]. 

        L'insegnante per affrontare i giovanili a rischio deve adottare le strategie di uno psicologo nel rivolgersi al singolo alunno e del sociologo nella dinamica gruppo‑classe. Secondo la legge fondamentale dello sviluppo delle funzioni psico-intellettive superiori di Vygotskij, le variabili sociologiche e psicologiche sono inseparabili, “poiché l’attività psichica comprende in sé, avendolo appunto interiorizzato, il processo primitivo di apprendimento sociale”[140]:

“Tutte le funzioni psico-intellettuali superiori appaiono due volte nel corso dello sviluppo del bambino: la prima volta nelle attività collettive, nelle attività sociali, cioè come funzioni interpsichiche; la seconda volta nelle attività individuali, come proprietà interne del pensiero del bambino, cioè come funzioni intrapsichiche”[141].

 

     Il docente deve, perciò, “far leva, per la realizzazione degli obiettivi educativi, sul processo socio-culturale che è alla base delle funzioni intrapsichiche, affinché queste possano di nuovo e consapevolmente aprirsi al mondo intersoggettivo delle interazioni sociali e culturali attraverso il linguaggio e 

 “Si tratta- come scrive Federico Batini- dell’approccio interazionista-comunicativo ai processi educativi, che ha prodotto, in termini di risultati di ricerche, l’individuazione della correlazione fra successo e interazioni in classe (..)”[142]: a tale proposito sono state realizzate ricerche che individuano come campo metodologico la realizzazione dei processi educativi, oltre il metodo di conduzione della classe (autoritario, permissivo), sia gli scambi interattivi intercorrenti fra insegnanti e alunni (Brofenbrenner, 1979) sia l’analisi del linguaggio utilizzato dal docente. Se, da una parte, il docente deve, perciò, saper valorizzare l'alunno a scuola come soggetto attivo, proponendo progetti educativi in cui il discente possa fare, muoversi e decidere sviluppando le sue modalità espressive e creative, dall’altra è fondamentale che il suo intervento sia esteso alla comunità, dal momento che i comportamenti “a rischio” giovanili e perciò anche la dispersione e l’abbandono scolastico possono inserirsi in un contesto di gruppo[143].  L’allievo è un soggetto che interagisce con i suoi simili, per cui la sua comunicazione diventa significativa solo se messa in relazione all’ambiente in cui si verifica e alle persone presenti. L’insegnante deve saper decifrare e gestire, non solo le dinamiche individuali, ma anche quelle di gruppo e soprattutto integrarle. Per instaurare una relazione emotiva con i propri alunni, il docente non deve mai perdere di vista le caratteristiche del gruppo-classe nel quale lavora e le dinamiche complesse, a volte contraddittorie, che si vengono a determinare, poichè ogni classe si configura come un gruppo di apprendimento strutturato in due livelli: il livello formale, razionale, caratterizzato dal raggiungimento di finalità didattiche, ed il livello informale, emotivo, con prevalenti finalità relazionali e di socializzazione. Non sempre esiste un equilibrio fra queste due configurazioni e allora le due parti che possono entrare in un conflitto disgregante, costituendo un serio ostacolo per l’apprendimento[144]. Soltanto un'impostazione pedagogica attenta alle dinamiche del singolo discente e del gruppo‑classe, che favorisca la responsabilità individuale e sociale, può contribuire ad arginare il fenomeno.

           Il clima di classe è importante, poiché, se positivo, aiuta a produrre un buon stile di buon apprendimento. Gli elementi che evidenziano un buon clima di classe sono la giustizia, l’uguaglianza di opportunità e di valutazione, il rispetto reciproco, la responsabilità del compito, la coerenza, l’assenza di messaggi contraddittori, il clima costruttivo e il pensiero positivo. Questi elementi rappresentano i prerequisiti del buon apprendimento scolastico e anche dell' acquisizione di quel senso d' identità sociale che rendono l' individuo capace non soltanto di sperimentare vere esperienze di democrazia.

         L'empatia è sicuramente importante anche nei rapporti interni al gruppo degli alunni di una classe,  poiché accresce le competenze sociali e quelle relazionali. E’ grazie a questo fattore che si generano leadership e reti sociali più o meno chiuse e coese all’interno del gruppo-classe. I leader dimostrano particolare attenzione verso gli altri, improntando legami di carattere autoritario o autorevole, che si fondano comunque sulla delega di fiducia degli altri componenti del gruppo e questo aspetto risulta essere il più apprezzato dal gruppo. "Gaipa e Wood [1981] hanno dimostrato che degli adolescenti disturbati e senza amici possedevano delle concezioni false sull'amicizia: analogamente ai bambini credevano che l'amicizia, consistesse nel ricevere delle ricompense; le nozioni di lealtà, impegno e attenzione agli altri risultavano a loro totalmente estranee"[145]. Proseguendo con queste osservazioni si sono potute rilevare anche altre cose, come ad esempio che l'intelligenza nella sua essenza generale è strettamente correlata all'intelligenza sociale, alla comprensione sociale, ed anche in estrema sintesi alle competenze sociali. Nei casi in cui l'allievo appartenga a minoranze etniche i meccanismi generati della categorizzazione sociale influiscono per parte loro a peggiorare il quadro generale, infatti " i pregiudizi induttivi e deduttivi che si verificano nella categorizzare gli oggetti tendono ad accentuarsi nel caso dei bersagli sociali"[146]. Gli stereotipi si applicano però soprattutto ai gruppi. Un caso studiato è quello relativo all'antisemitismo. Norman Colto esprime in un suo lavoro la persistenza del mito dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Come scrive Billing:

"la ferocia emotiva dell'antisemitismo più spinto induce a dimenticare come l'antisemitismo possa offrire un'interpretazione cognitiva generale del mondo. Il dogma dell'antisemitismo moderno afferma che gli ebrei controllano sia il comunismo che il capitalismo, e che il loro intento è quello di dominare il mondo con un regime che distruggerà la civiltà occidentale. Tali fatti vengono spiegati mediante tale credenza perversa”[147].

 

      Gli europei hanno usato questo principio della giustificazione in numerose circostanze anche nel corso del Novecento, quando si sono interessati della conquista dei popoli africani ed asiatici, motivandola con la volontà di portare loro i diritti umani e la civiltà. Il gruppo sociale, che si dà come esistente quando "due o più individui percepiscono se stessi come membri di una categoria e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un'altra persona"  funziona a volte come una fonte d'identità sociale, che può generare riflessioni sull'identità e agire sugli atteggiamenti;

 “Un esempio dell'appartenenza ad una categoria il caso dell'allievo che, giunto alla fine degli studi, è chiamato a esercitare l'attività di insegnante. Questa decisione comincia a fargli vedere le cose sotto un'altra luce, implica cioè dei cambiamenti di credenze. L'identità sociale, in alcune circostanze entra anche in conflitto con il concetto di sé e il senso di appartenenza al gruppo supera l'idea di sé. Tale concetto intende l'identità sociale come 1a conoscenza che l'individuo possiede di far parte di determinati gruppi sociali e i significati emotivi e valoriali associati all'appartenenza ai gruppi”[148].

    

      In conclusione il docente nei fatti è chiamato a vincere ostacoli psicologici, in primis i propri, connessi ad aspetti come una comunicazione non verbale interpretabile come ostile, ai difetti di assertività legati ad una scusa fiducia in se stessi dei ragazzi e all'atteggiamento solitario di alcuni di loro e da aspetti di singolari vissuti, che pongono in primo piano una difficile strada per l’individuazione personale, che non deve sfociare nella disidentità dal gruppo sociale di appartenenza.

 

6.  Una comunicazione efficace: strategie e attività didattiche contro la dispersione scolastica

     

         Le difficoltà comunicative nel gruppo-classe non devono scoraggiare ma, anzi, motivare maggiormente l’insegnante a mantenere un atteggiamento di apertura e ricezione verso i messaggi verbali e non verbali degli allievi. L’insegnante deve impostare con lo studente una relazionalità autentica e ricca di tensioni affettive: solo la sua umanità esperta può determinare nel cuore e nella mente dell’allievo un’irripetibile creazione di emozioni da trasformarsi in significati, nozioni e conoscenze. Un aspetto rilevante è, perciò, rappresentato dalla comunicazione. A volte tra alunni e insegnante si instaurano modalità relazionali inadeguate e strategie difensive che impediscono o rendono difficoltosi il dialogo. Gli alunni possono mettere in atto atteggiamenti di difesa come l’evasione, la seduzione e la ribellione: la prima modalità riguarda l’alunno insicuro e timido, che tende a sfuggire a qualunque tipo di relazione comunicativa e affettiva e quindi è un potenziale soggetto a rischio di dispersione; la seconda è quella del seduttore che nasconde la propria aggressività e il proprio bisogno di dominare, cercando di conquistare l’insegnante con false promesse; la terza modalità è la ribellione nei confronti dell’autorità che diventa una sfida permanente contro tutto e tutti[149]. Più spesso sono gli insegnanti, soprattutto della secondaria, in cui  “l’organizzazione del processo comunicativo risiede rigorosamente nel docente”[150], che credono in “una formazione scolastica tutta incentrata sui contenuti e su un’idea intellettualistica della cultura che considera le dimensioni socio-affettive e relazionali come ostacolanti od incoraggianti lo sviluppo di quella cognitiva, quasi mai pensando questi diversi ambiti come qualità diverse di attribuzione di significato che si richiamano vicendevolmente”[151] e quindi tendono a eludere la relazione con gli alunni con un atteggiamento autoritario, non tenendo di conto del fatto che la comunicazione, come sottolineano Wunderlich e Mass non è solo scambio di contenuti verbali, ma è “soprattutto creazione di relazioni reciproche che determina ciò che può essere chiamato la piattaforma della comprensione (Verständingungsebene), dalla quale intenzioni e contenuti ricevono il loro significato concreto nei contesti operativi”[152]. Questo significa che la comunicazione didattica deve muovere dal riconoscimento reciproco, da parte del docente e del discente, della soggettività e dalla comunanza di obiettivi tra i soggetti coinvolti. Infatti l’analisi dei casi della dispersione scolastica ha evidenziato una problematica da parte degli alunni “di tipo comunicativo, che chiama in causa lo star bene in classe con i compagni e con i docenti”[153]. Il contesto comunicativo-relazionale, perciò, “influenza la qualità e la quantità delle esperienze di apprendimento stesso”[154] dell’alunno, che attraverso una comunicazione autentica con l’insegnante, matura in crescendo autostima e autoefficacia, percezione della propria competenza e di quella dell’altro (mind reading)[155]. E’ risultata fondamentale per un’adeguata predisposizione cognitiva, la modifica del comportamento docente, in direzione del rafforzamento della capacità di ascolto, di rispecchiamento, di empatia in senso rogersiano, dell’attivazione di relazioni positive attraverso modalità interattive idonee alla crescita comune”[156]. I fattori comunicativi derivanti dal docente che possono influire sul discente sono molteplici: nella classe l’insegnante utilizza il codice linguistico[157], ma anche i comportamenti non verbali come mimica, sguardi, gesti, postura del corpo e tono della voce. A questo proposito occorre tenere presente che attraverso la comunicazione non verbale vengono inviati messaggi positivi o negativi nei quali si coglie un atteggiamento di interesse o disinteresse dell’interlocutore. Gli alunni apprezzano l’interesse, gli atteggiamenti di conferma e rassicurazione come le richieste di chiarimento da parte dell’insegnante e le espressioni di incoraggiamento. “La sfera centrale del sistema docente comprende quei fattori condizionanti della comunicazione interumana che sono da attribuirsi al docente stesso”[158]: è il cosiddetto “stile” cioè l’atteggiamento della persona che insegna, che comprende il complesso funzionale della motivazione e il complesso funzionale della valutazione. Il processo di comunicazione risulta facilitato se l’insegnante dimostra coerenza tra ciò che dice e come si comporta, comprende i ruoli interpersonali reciproci, si mette nei panni dell’interlocutore e cerca di dare sempre l’informazione di ritorno (feedback) quando si rende conto che il messaggio non è stato ben trasmesso o ben ricevuto: un comportamento deciso, paziente e coerente genera sicurezza negli allievi. Gli insegnanti efficaci usano le loro conoscenze, le personali competenze e la loro pratica per trasformare le aule in ambienti, che stimolano le occasioni di apprendimento in classe. Il gruppo classe “per essere tale, ha bisogno di canali di scambio, di comunicazione, di interrelazioni al suo interno, così come all’esterno: di istituzioni interne che ne regolano la vita e di scambi di varia natura con l’insieme della comunità scolastica”[159]. Questo non si realizza in modo semplice, ma è “frutto di una continua ricerca di comunicazione”[160], poiché il gruppo classe può presentarsi (anzi spesso si presenta) come un contesto molto problematico, in quanto a scuola i ragazzi portano i loro problemi che si ripercuotono sull’apprendimento e quindi sul rendimento. In classe l’insegnante deve utilizzare tutti i livelli di comunicazione che agiscano su soggetti che determinano la propria identità e che costruiscono la propria autonomia sia psicologica, la loro identità sociale (come la scelta di una professione) e la propria “filosofia di vita” (come avere le proprie opinioni in materia religiosa e politica ecc..). Per questo l’insegnante dovrebbe usare le strategie didattiche più opportune per ridurre il tasso di rischio di dispersione, che consistono nella maieutica pedagogica:  risvegliare, sollevare dubbi, sollecitare a ricercare, indirizzare puntano a sviluppare nell’allievo autostima, fiducia, sicurezza, interesse sociale e capacità di cooperazione e metacognizione.

      L’impiego di strategie alternative ha dato nel complesso esiti positivi, anche se il dato che emerge costantemente “è il difficile intreccio tra insegnamento teorico e attività pratiche e operative”[161]. Un esempio è fornito dal colloquio didattico svolto nella forma cooperativa, ove il flusso d’informazione parte dall’alunno e le domande sono rivolte ai compagni della classe. Una forma molto importante di comunicazione cooperativa è costituita dal lavoro di gruppo[162], ove i processi di scambio di informazione si sviluppano tra gli allievi, che fungono “secondo la loro autonoma determinazione da mittenti e destinatari del flusso informativo”[163]. In un gruppo- secondo gli studi di Bion[164]- coesistono e agiscono contemporaneamente due configurazioni: il gruppo di lavoro, razionale e manifesto, che viene creato quando si mettono insieme soggetti con lo scopo di svolgere un compito e che quindi hanno un fine preciso, un obiettivo da raggiungere (come il gruppo classe, ma anche il gruppo dei docenti) e il gruppo di base, emotivo e inconsapevole, nel quale prevalgono le emozioni, gli affetti, il vissuto e i bisogni emotivi inconsci che, a causa della loro intrinseca ambivalenza, entrano in conflitto con gli obiettivi espliciti del gruppo di lavoro. Fra i due gruppi, se quello emotivo-affettivo prevale può anche costituire un serio ostacolo al processo di apprendimento individuale. Sebbene non sia assolutamente possibile controllare tutte le variabili che intercorrono tra le persone è necessario sapere che queste due configurazioni agiscano insieme, che sono inscindibili, che l’apprendimento ne è condizionato e che il raggiungimento di un equilibrio tra i due gruppi è fondamentale per rendere. 

          Le strategie e le attività didattiche svolte come azione formativa contro la dispersione sono deducibili dalla documentazione di esperienze reali di progetti svolti in scuole. Nell’a.s. 2001-2002 è stato svolto un progetto denominato “La scuola che voglio” presso l’Istituto Professionale IPSIA Margaritone-Vasari[165] di Arezzo, che è una delle scuole con più alto tasso di dispersione del Centro Italia. Nella fase A sono stati introdotti degli esperti esterni, con la funzione di conoscere e far conoscere gli alunni fra loro; la B prevedeva le due aree denominate “Rilevazione”(che prevedeva il lavoro in cinque gruppi per le impostazioni delle attività e delle metodologie da utilizzare) ed “Elaborazione” (che costituiva il lavoro vero di materiali distribuiti agli alunni da parte degli esperti esterni); la fase C di monitoraggio era finalizzata “alla verifica costante e in forma continuativa, dell’impatto prodotto dall’azione di ricerca e azione formativa”[166].  Per abbattere il muro di incomunicabilità fra alunni e insegnanti, sono state utilizzate metodologie didattiche innovative, come l’uso della creatività per arrivare alla realizzazione di un video, con interviste a figure significative della realtà scolastica e  opinioni espresse da parte degli studenti sul professore modello e sulla scuola che volevano (da cui è derivato il titolo del progetto). E’ stato usato anche il role playing, che ha comportato l’assunzione di nuovi ruoli e identità da parte degli studenti e degli operatori; lo psicodramma è stato utilizzato per “esprimere contenuti di esperienze affettive, emozioni, vissuti, per migliorare lo sviluppo della persona nei suoi diversi aspetti”[167]. Altre attività proposte sono state: far disegnare ai ragazzi la piantina della scuola che ritenevano giusta e appropriata per loro; il ricorso al questionario che conteneva domande sulla scuola che gli alunni desideravano frequentare. Gli incontri, secondo la testimonianza di un operatore[168], hanno visto una crescente disponibilità dei ragazzi a partecipare alle attività, anche se la durata di un anno scolastico si è rivelata insufficiente per le esigenze psico-sociali degli alunni e per i disturbi di apprendimento presenti in alcuni di essi[169].  Nei progetti di prevenzione alla dispersione, sarebbe auspicabile, come ha sostenuto la prof.ssa Maura Striano[170], anzi si dovrebbe assicurare la presenza di tutors per promuovere una sorta “di indipendenza assistita”[171] degli alunni a rischio. La soluzione connessa ad un insegnamento ideografico trova come principale ed enorme ostacolo il costo per le società, poiché richiederebbe un'organizzazione fatta di piccoli gruppi di lavoro piuttosto che di classi composte da enormi qualità di studenti nelle quali prevale il 'programma" sul rapporto con ogni singolo allievo. Si deve valutare l'aula scolastica e quali siano le risorse disponibili, ossia il numero di assistenti, quello degli alunni, la durata delle lezioni e i modelli di interazione. A queste dobbiamo aggiungere la cultura didattica[172] che rappresenta un altro aspetto fondamentale nell'andamento della vita all'interno della classe. Con questo temine si riassumono i fenomeni di interazione tra insegnante ed allievi. Come evidenzia Brint:

"Gli studi comparati rendono conto di come possano variare le culture didattiche. In alcune di esse per esempio, gli errori sono fonte di vergogna; in altre, gli errori sono lodati come unica via di apprendimento In certe culture didattiche, gli insegnanti tendono a sfruttare gli elementi della vita quotidiana, come insegnare geometria ritagliando stoffe o insegnare a misurare osservando la lunghezza dei diversi veicoli, In altre, i problemi sono presentati in astratto e non sono rapportati direttamente alle faccende della vita di tutti i giorni [ …. ] In certe culture didattiche l'accento è posto sul nozionismo, in altre, sull'integrazione creativa, Certe culture coltivano una dialettica, o interazione, fra pezzetti di conoscenza e progetti integrati”[173].

 

      Gli studi di Harold Stevenson e Jarires Stigler [1992] hanno messo in luce le differenze tra la didattica statunitense e quella cinese e giapponese Nelle scuole orientali è presente la divisione dei gruppi entro la classe: mentre negli Stati Uniti si adotta un criterio, legato al merito, i maestri cinesi e giapponesi organizzano gruppi misti quanto a livello di capacità. Nello han (gruppetto) giapponese, i più veloci devono aiutare quelli che hanno più problemi, divenendo a tutti gli effetti assistenti degli insegnanti. Gli insegnanti in questo contesto si curano dell'andamento generale della classe che spesso è composta da un grande numero di allievi, da 38 a 50, e tuttavia la qualità dell'insegnamento non sembra trarne particolare svantaggio.

      In Italia la volontà di riforma del rapporto tra allievo e insegnante si è espressa attraverso molti studi e ricerche, ed ha trovato applicazione anche in ambito legislativo. Il disegno di legge per il riordino dei cicli dell'istruzione poneva nell'organizzazione modulare dei curricoli, dei percorsi formativi e della didattica, il fulcro su cui poggiano le leve dei rinnovamento della scuola e della formazione professionale. La flessibilità dell'azione formativa richiede tuttavia una pianificazione, accumulazione e valorizzazione delle risorse. L'organizzazione modulare ha il vantaggio di permettere al progetto educativo e ai contenuti di essere sempre "pertinenti", 'efficaci" e "efficienti”. Dominici nel suo studio sull'orientamento alla didattica modulare propone delle strategie molto attente e strutturate, consigliate a chi voglia attuare una didattica formativa con livelli di coinvolgimento affettivo e un apprendimento cognitivo il più approfondito possibile. Tale strategia vede all'inizio una fase diagnostica che produce un segmento formativo il più possibile rispondente all'esigenza di compensare ciò che manca a ciascuno secondo il proprio stile di apprendimento, che attivi una "circolarità virtuosa" tra sfera cognitiva e sfera affettiva. Andrebbero poi potenziate tutte le funzioni della didattica, vale a dire la motivazione, la trasmissione, il consolidamento, l'apprendimento dei saperi, In ultimo andrebbero differenziate le funzioni valutative: una prima raccolta di dati, una seconda fase che serva per integrare l'elemento formativo laddove ce ne sia bisogno, infine una terza valutazione complessivo‑finale e orientativa. La fase dell'accoglienza dell'alunno è molto importante. Essa prevede una raccolta di dati che possono andare dai test alle domande semistrutturate, ai riassunti, ai laboratori e a tutte quelle forme che permettano di offrire dati sia dell'aspetto cognitivo che di quello affettivo‑emozionale.

“Va favorita la percezione tra i saperi che la nuova scuola vuole promuovere e quelli posseduti dall'alunno; bisogna ridurre l'incertezza per favorire le scelte e occorre connettere l'ambito affettivo e quello cognitivo, nonché quello relazionale, per favorire la continuità formativa è utile anche per facilitare il processo formativo individuale teso all'innalzamento della qualità dell'istruzione e dei suoi esiti, per evitare gli abbandoni”[174].

 

Emerge comunque, che l’azione efficace contro la dispersione scolastica non può essere uniforme nelle varie situazioni, ma dovrebbe sempre venire articolatamente programmata a livello locale (grazie a un’autonomia scolastica territorialmente integrata), utilizzando le nuove opportunità di continuità scolastica offerta della riforma dei cicli. In questi due punti l’accordo è pressoché totale. Occorrerebbe quindi operare contemporaneamente su molti fronti: scuola, famiglia, società e istituzioni pubbliche e private del territorio. Comunque alla scuola è riconosciuta importanza prevalente, soprattutto nella prospettiva che riesca ad essere più accogliente e più articolata e flessibile. Che riesca, perciò, a elaborare contenuti e metodi, che pur rispondendo a normative nazionali elastiche, vengano incontro alla cultura giovanile che oggi invece vi è quasi del tutto ignorata se non contrastata. L'esigenza generale che comunque emerge più chiaramente dalle esperienze attuate e in corso nel nostro paese è quella di rendere la lotta alla dispersione impegno comune di tutti, e soprattutto di evitare che essa comporti un abbassamento di rendimento dei più dotati, dai quali è spesso richiesto un impegno in attività di recupero atto anche a stimolare adeguatamente le loro capacità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARTE SECONDA: DIDATTICA IN CLASSE

 

1. Esperienze di docenza: attività didattiche e strategie di prevenzione alla dispersione

      

       Nella mia esperienza quinquennale di docenza, ho avuto la possibilità di insegnare ad alunni da tre a diciotto anni (e agli adulti[175]), dalla scuola materna[176] a quella superiore[177], e di osservare il loro atteggiamento, il loro interesse e la loro motivazione nei confronti dello studio e della cultura. La demotivazione scolastica spesso, a mio avviso, porta gli alunni a forme di disorientamento e disagio scolastico, che si manifestano a partire dal secondo ciclo delle elementari[178]. Esistono forme di disagio scolastico persino nel primo ciclo della scuola elementare: nella prima e nelle seconde elementari in cui insegno, ad esempio, sono presenti quattro alunni che frequentano molto saltuariamente la scuola e uno di essi si presentava non più di una volta al mese. Per questo motivo sono stato costretto, insieme alle colleghe, a informare le autorità competenti. Ho appurato che in questo caso il disagio scolastico è riflesso di svantaggi socio-culturali del milieu di provenienza: la famiglia esercita, infatti, un ruolo primario nella motivazione scolastica. Ho notato che un basso livello di istruzione dei genitori e dell’ambiente sociale di provenienza, dato da condizioni socioeconomiche disagiate, situazione di disoccupazione, crea, purtroppo, scarsi stimoli linguistici e culturali.

      Il disagio scolastico tende a manifestarsi, a mio avviso, sempre più come difficoltà nel rapporto personale fra lo studente e l’istituzione scuola nella scuola secondaria. Nella mia esperienza biennale di insegnamento alle scuole secondarie superiore in quella biennale alle scuole medie[179], ho notato un’impostazione molto autoritaria da parte degli insegnanti verso gli alunni. Certi colleghi della scuola media, a mio avviso, non hanno compreso di appartenere alla scuola di base e di avere il compito di educare alunni che affrontano il delicato passaggio dalla pubertà all’adolescenza: in quella fase di transizione che Piaget chiama  « fase ipotetico deduttiva in cui il pensiero si fa adulto, fissa il valore del simbolo e viene astratto, definendo i rapporti formali che regolano l’attività del pensiero e lo rendono capace di elaborare ipotesi  e di procedere per via deduttiva »[180]. Il disagio giovanile è una tematica a me molto cara, poiché, ricordandomi il difficile cammino personale di conquista e determinazione dell'identità, mi sento chiamato come docente ad aiutare, attraverso il dialogo, i miei alunni in fase di formazione di personalità. Nell’anno scolastico 1999-2000 alla Scuola Media Marcelli di Foiano della Chiana,, mi sono trovato a dover gestire gruppi-classe molto problematici composti da alunni demotivati e a rischio di dispersione. La classe composta da 18 alunni presentava un nucleo di cinque ragazzi albanesi, incapaci di controllare una certa irrequietezza e di possedere autocontrollo, ed inoltre  più grandi di due o tre in più rispetto agli altri membri della classe, che frequentavano in modo saltuario e che, se presenti in classe, manifestavano atteggiamenti verbali offensivi, che sconfinavano spesso in atteggiamenti di bullismo. Mi trovavo al bivio, poiché dovevo rimotivare gli alunni a rischio e svolgere il programma per gli altri molto motivati. Per arginare la situazione ho cercato tramite il dialogo di spingere gli alunni in difficoltà alla riflessione sul loro comportamento. Ho mostrato attenzione continua per i loro discorsi e i loro interventi, così da spingerli alla riflessione, a farli sentire valorizzati e di conseguenza stimolati ad acquisire sicurezza e fiducia in se stessi. Ho costatato l’efficacia del cosiddetto ‘intervento a riflesso’[181] ovvero del comportamento verbale che consiste nel riprendere qualche aspetto del discorso altrui per dimostrare umana comprensione e affettività. In verità io avevo semplicemente capito che i comportamenti negativi di questi alunni non erano manifestazione di semplice maleducazione, ma nascondevano delle vere e proprie situazioni di disagio. Mi sono conquistato pian piano la loro fiducia. Mi consideravano un “professore buono” (mentre i miei colleghi mi ritenevano un inesperto, dal polso molle e poco autoritario), poiché parlavo con loro in privato, evitando di rimproverarli in classe. Il rimprovero rivolto in pubblico ad uno di loro avrebbe peggiorato la situazione, poiché avrebbe concorso ad inasprire il pregiudizio degli altri alunni che avrebbero considerato il compagno “a rischio” una persona negativa e da escludere. Nel colloquio privato, durante la ricreazione o durante un momento di tranquillità, parlavo con gli alunni a rischio, esprimendo la mia intenzione di aiutarli e non semplicemente di giudicarli. Di qui è nato un sentimento di fiducia crescente, dal quale mi sono mosso per costruire un rapporto con loro[182]. Per un reale intervento di recupero motivazionale dei ragazzi, ho predisposto la realizzazione collettiva di un prodotto audiovisivo dal titolo La scuola degli studenti (Students’ school). Gli alunni, lavorando in quattro gruppi in ognuno dei quali erano inseriti uno o due alunni a rischio, hanno deciso la trama sommaria di una storia, hanno inventato dei personaggi con dei semplici dialoghi. Ho aiutato ciascun gruppo a tradurre in inglese la sua storia inventata. Poi gli studenti hanno discusso per riunire le storie in un unico racconto, che doveva essere poi scritto al computer. Sono seguite le prove e per ultimo sono state girate le scene del filmato audiovisivo. Tutto il progetto, comprese le prove e le riprese e la presentazione del video alla scuola e ai genitori, è stato svolto in 30 ore durante i mesi di novembre, dicembre 1998 e gennaio 1999. Il filmino è stato un successo: è stato presentato alle famiglie e ai colleghi. Il video ha stimolato ed ampliato le capacità percettive, mnemoniche e cognitive degli alunni, influenzandone la sfera emotiva e sollecitandone la creatività e l'espressività. Posso affermare, in base all’esperienza osservata, che molteplici sono state le intelligenze che il linguaggio audiovisivo ha coinvolto e che in situazione formativa hanno potuto favorire l'apprendimento dei discenti: i sistemi simbolici iconici e sonori, propri del linguaggio audiovisivo cinetico, hanno determinato una percezione sinestetica, che ha ampliato la gamma delle sensorialità normalmente coinvolte. La realizzazione del video ha favorito, oltre allo sviluppo delle capacità di memorizzazione, discriminazione, organizzazione, orientamento spaziale, la correzione di quei comportamenti relazionali violenti e una sempre maggiore partecipazione degli alunni “a rischio”, che hanno iniziato a venire a scuola durante le mie ore, poiché avevano trovato un compito da svolgere: chi preparava gli scenari, chi girava il video, chi sceglieva i costumi, chi truccava.

       Un altro caso di abbandono scolastico stava per verificarsi nella 3ª A della scuola Media di Pian di Scò (Ar) nell’anno scolastico 1999-2000. La classe, composta da 24 alunni, si era alleata contro uno dei compagni che rappresentava il capro espiatorio al quale venivano attribuite tutte le cause dei conflitti interni del gruppo. La situazione era anche complicata dal fatto che l’alunno era extracomunitario e quindi la sua diversità contribuiva ad aumentare il suo isolamento da parte del gruppo. Inoltre i genitori degli altri alunni, invece di scoraggiare l’atteggiamento di intolleranza dei figli, lo condividevano e in alcuni casi lo incoraggiavano. L’alunno iniziava a non frequentare più la scuola. Io e una collega di Lettere andammo a parlargli e a rassicurarlo che noi insegnanti avremmo trovato un modo perché egli non fosse più escluso né deriso. Per arginare la situazione, tramite il dialogo, cercai di spingere gli alunni alla riflessione sul loro comportamento, a “mettersi nei panni” del soggetto emarginato. La strategia che ritenni più adeguata per un’educazione ai sentimenti è stata il lavoro di gruppo, che mi ha permesso di non intervenire in modo autoritario negli equilibri del gruppo, ma, piuttosto, di far sì che gli allievi sviluppassero le loro capacità critiche, creative e comunicative e riuscissero ad utilizzarle lungo il loro cammino, risolvendo in modo autonomo di volta in volta i problemi della vita di classe. Il gruppo lavorava su un obiettivo comune da raggiungere l’esecuzione di cartelloni, schemi, dialoghi ecc. in lingua, che diventavano la motivazione per lavorare insieme, collaborando e impegnandosi.

 Anche alla scuola elementare sono presenti alunni con disagi scolastici: un bambino “a rischio” era presente nella mia 3ª elementare nell’anno scolastico 2000-2001 (ora diventata 5ª). Ho pensato di usare la tecnica del diario dialogato: un diario personale su cui i ragazzi potevano scrivere ciò che volevano. Questa libertà di scrittura poteva portare con sé il rischio di far ripetere agli alunni errori di scrittura. Ho notato, al contrario, che questa tecnica di scrittura ha mobilitato risorse cognitive e non ha impedito, perciò, che gli alunni sviluppassero competenze ortografiche. Gli alunni, incluso il bambino a rischio, sentivano l’esigenza con il passare del tempo di farsi correggere il diario. Con  questa liberà concessa agli studenti, insieme ad un rapporto affettivo, sono riuscito ad “arginare“ quasi del tutto l'atteggiamento del mio alunno. Questo forse è stato forse possibile in quanto il ruolo del maestro per un bambino può in parte sovrapporsi psicologicamente a quello genitoriale e integrare certe mancanze affettive derivanti dall'assenza di esso.

    La forma di disagio scolastico più complessa da affrontare è stata per me quella degli alunni in una condizione socio-economica di benessere eccessivo, collegata al consumismo: all’ITC Mecenate, dove ho insegnato due anni Inglese e Francese, più della metà dei miei discenti, oltre ad atteggiamenti da bulli, usavano stupefacenti e alcool. Frequentavano a loro piacimento la scuola, che essendo parificata[183] e per cui a pagamento, assicurava loro la promozione automatica senza studio come un “diplomificio”. Trovandomi in questo contesto scolastico, ho cercato di attivare un dialogo, parlando apertamente, chiedendo loro, perché assumessero tali sostanze. Il problema peggiore era che non sapevano neppure loro il motivo per cui le usassero: taluni dicevano per “sballarsi” davanti ad una realtà noiosa. Nella 4ª, ove nell’anno scolastico 2001-2002 insegnavo francese, data l'impossibilità di tenere soltanto delle lezioni frontali, ho organizzato un modulo di lettura e di drammatizzazione sul testo di Beckett, En attendant Godot. La lettura, la discussione, la riscrittura e la recita hanno interessato alcuni alunni “a rischio”, che hanno iniziato a frequentare con maggiore assiduità. Questo progetto di prevenzione alla dispersione non mi ha soddisfatto, poiché una volta finito, l’atteggiamento dei discenti non è cambiato e la saltuarietà della frequenza è ripresa. Ritengo, pertanto, che più gli alunni crescono, più le strategie e le attività didattiche di prevenzione alla dispersione diventano complesse e inefficaci.       

       Un altro percorso didattico proposto nello stesso anno nella 3ª ITC della stessa scuola, che presentava analoghi problemi alla 4ª , è stato: « L’einsegnant ami ou maître ». Gli alunni, osservando e interpretando le sequenze visive di film[184] visti in classe concernenti la scuola, hanno dovuto sviluppare la propria dimensione intrapersonale, e poi attraverso l’attività di gruppo, che ha permesso loro lo scambio interpersonale, la propria dimensione sociale. La finalità ultima da conseguire per i discenti è stata quella di crearsi un pensiero euristico e ideativo, che  permettesse di discutere nel gruppo e con il gruppo del loro insegnante ideale, e degli aspetti negativi e positivi dei loro docenti.

 

2. Unità Didattica contro il disagio scolastico: creatività e role playing

 

       Ho svolto il tirocinio attivo presso l’Istituto Comprensivo “Ugo Foscolo” di Bucine (Arezzo). L’unità didattica è stato sviluppata in collaborazione con il tutor d’aula prof. Raffaele Esposito.

I punti focali che ho preso in considerazione per progettare il percorso didattico sono:

-          la conoscenza delle condizioni di partenza degli alunni (prerequisiti);

-          la scelta dei contenuti adeguata al livello cognitivo degli alunni;

-          la programmazione di stimoli tendenti a suscitare l’interesse verso l’argomento;

-          gli obiettivi operativi in quanto "comportamenti oggettivi", quindi osservabili, descrivibili e misurabili, che gli alunni debbono raggiungere a testimonianza delle conoscenze, competenze e abilità acquisite;

-          l'organizzazione della didattica, dei tempi, delle tecniche e le metodologie d'insegnamento/ apprendimento;

-          le risorse di cui dispone la scuola.

La scelta dei contenuti e della metodologia si è basata in primo luogo sul livello cognitivo degli alunni (13/14 anni) e sulle loro conoscenze pregresse.

      Ho svolto il tirocinio attivo nella 3ª Media di Pergine Valdarno, a cui insegno tuttora Inglese. La classe è composta da 23 alunni ed è eterogenea, in quanto i 2/3 degli alunni sono fortemente motivati, mentre l’altra parte comprende studenti  “a rischio” di dispersione. All’inizio del mio tirocinio mi sono reso conto della complessità delle dinamiche nel gruppo-classe tra gli alunni diligenti e quelli demotivati e disorientati, che si manifestava persino nella disposizione dei posti, peraltro scelti da loro: a sinistra i “bravi”, a destra gli “svogliati” con difficoltà di apprendimento . Mi trovavo davanti a un’esperienza complessa. Parlando con il tutor anche delle nuove tecniche didattiche propostemi alla Ssis, data la sua estrema disponibilità mentale ed elasticità intellettiva, abbiamo cercato di domandarci quale attività potevamo proporre ad una classe dai dinamismi così complessi. Abbiamo pensato alla somministrazione di un questionario[185] anonimo a risposta aperta, che, oltre che ad informazioni psico-sociologiche, richiedesse agli alunni quali attività piacessero loro e quale fossero i campi di maggiore interesse in cui essi sentivano di poter esprimere la loro creatività[186].. La fantasia e la creatività, generalmente sacrificate allo sviluppo del pensiero logico, vanno, invece, coltivate e hanno bisogno di situazioni che ne facilitino e ne consentano l’espressione. Penso, infatti, che, soprattutto nella scuola dell'obbligo, la creatività sia uno strumento importante che l'adolescente ha per conoscere se stesso e procedere nel processo di individuazione di personalità; allo stesso tempo è anche una porta speciale che permette agli altri di conoscerlo e di entrare nel suo mondo e dalla conoscenza non può nascere che dialogo e fiducia in se stessi e negli altri. Dall’analisi delle risposte è emerso che gli alunni proponevano moltissime attività come musica, cartelloni e teatro. Io ho proposto al tutor di svolgere un’attività di teatro,  poichè la ritengo, concordando con il mio supervisore Ssis[187] prof. Eliana Terzuoli, la forma più adatta a risolvere i rapporti nel gruppo-classe. Io e il tutor abbiamo chiarito il compito del teatro, facendo un contratto formativo con gli alunni, che hanno aderito con entusiasmo, pensando che fosse un escamotage per non far lezione.

          La drammatizzazione, il role-playing o teatro-terapia era per me l’unica strategia possibile per recuperare l’affezione alla vita scolastica di alcuni alunni e  riorganizzare l’interazione tra i membri del gruppo-classe. La costruzione di storie e di sceneggiature attraverso la condivisione di racconti di vita, fabulazioni e aneddoti ha confermato l’alta capacità del teatro di consentire un netto miglioramento della qualità delle relazioni umane.

        Abbiamo scelto di sviluppare un percorso dal titolo “L’école que tu voudrais” (“La scuola che vorresti”)[188]. La narrazione o l’invenzione di storie è stato, perciò, il mezzo attraverso cui abbiamo offerto ai ragazzi una possibilità di esplorare il loro mondo interiore, di confrontarsi con gli altri e di integrare l’altro attraverso un percorso che a partire da storie e spunti individuali ha condotto all’elaborazione di una storia collettiva costruita intorno a temi pregnanti come la cultura, la scuola e gli insegnanti. 

         Il primo passo è stato il dialogo fra gli alunni, che hanno discusso a lungo, spesso scontrandosi, poiché esistevano due punti di vista opposti. Si sono creati due gruppi: quello di coloro volevano la scuola così com’è e quello di chi la desiderava completamente diversa. Ognuno ha scritto la sua storia in italiano. Per  dare una svolta alla dinamica contrastava fra i due schieramenti, ho escogitato una tecnica che li spiazzasse: la storia inventata da un gruppo è stata consegnata all’altro. Gli alunni, perciò, hanno dovuto, anche se controvoglia o a malincuore, tradurre in francese la storia inventata dal gruppo opposto o “nemico” con l’aiuto di noi insegnanti, per poi rappresentarla in scena. Nel corso di questo lavoro, i discenti si sono resi conto di dover interpretare il punto di vista altrui e si sono accorti che nel teatro bisogna saper interpretare anche delle idee che non sono nostre. Rappresentare le idee altrui è una strategia efficace perché obbliga il discente a interpretare le idee che nascono da un punto di vista diverso e a relativizzare le proprie. I personaggi diventavano vivi nel momento in cui acquistavano voce e corpo, prendendoli a prestito da uno dei compagni di classe. Nel lavoro di rappresentazione dell’idea è affiorata pian piano l’empatia: innanzi tutto nei confronti dei compagni, poi anche nei confronti di noi insegnanti.. In questo lavoro teatrale in cui l’empatia ha giocato un ruolo fondamentale, si è inserito anche il gioco di rispecchiamento che ha previsto il coinvolgimento di tutta la classe. La scuola è diventata, così, il teatro in cui i ragazzi sempre più consapevolmente hanno imparato a mettere in gioco le loro azioni ed emozioni. Io e il mio collega-tutor abbiamo avuto modo di provare come noia, disaffezione, abbandono scolastico sono spariti con il teatro, che ha introdotto nella scuola, come hanno espresso gli alunni stessi, la creatività:

“Esprimere la mia creatività è stato un atto liberatorio” (R.F.)

“Sentirsi liberi vuol dire essere capiti” (M. D.M).

 

Concordo con Jung[189] che affermava che il role playing o psicodramma agisce nell'inconscio e aiuta a destrutturare gli atteggiamenti di pregiudizio, di violenza e di ribellione all’autorità, poiché l'adolescente costruisce la propria identità nel dialogo e nella relazione con l'altro. L’attività teatrale è, a mio avviso, in grado di determinare una sorta di ‘spazio neutro’, dove il comune esercizio del gioco di finzione permette una conoscenza reciproca molto particolare. E’ una conoscenza che mette in relazione non solo i diversi modi di leggere il quotidiano, ma anche l’immaginario che ognuno si porta dentro e che proprio nel gioco teatrale può assumere forme sempre diverse. In questo modo si aprono nuovi terreni d’incontro nei quali conoscersi e ri-conoscersi o, come molto più spesso accade, scoprirsi e ri-scoprirsi andando forse più in profondità o, più semplicemente, avventurandosi su strade spesso imprevedibili perché costruite grazie all’incontro tra le capacità inventive del singolo e quelle del gruppo. E dunque, proprio perché si muove su percorsi di questo tipo, il teatro attiva strategie relazionali ricche di potenzialità didattiche attraverso le quali dare un prezioso contributo, in vista di un’auspicabile ecologia della convivenza nel gruppo-classe..

 

 3. Schema dell’unità didattica e descrizione dei procedimenti didattici

 

Unità didattica del Tirocinio Attivo

Titolo

« L’école que tu voudrais »

Scuola

Istituto Comprensivo Bucine “Ugo Foscolo”

Classe/Pubblico

3ª Media sez. C della Scuola “A. Manzoni” di Pergine Valdarno

23 alunni: 14 ragazzi e 9 ragazze

Livello linguistico

Pre-intermedio

Gli alunni presentavano talune difficoltà fonetiche e di dialogo. Commettevano molti errori nella produzione scritta.

Prerequisiti

Sintassi, lessico e grammatica utili e necessari alla scrittura di storie.

Obiettivi generali

L’attività di role playing deve:

-          saper motivare allievi scarsamente interessati alla vita scolastica, con difficoltà espressive e di comunicazione

-          abituare gli studenti a saper sviluppare la collaborazione attraverso il lavoro di gruppo e a potenziare i rapporti di socializzazione nel gruppo-classe;

-          rendere gli studenti protagonisti del percorso didattico (ideazione, progettazione, realizzazione, verifica).

Obiettivi cognitivi

Gli alunni devono saper :

-          creare un racconto;

-          saper scrivere dei dialoghi ;

-          conoscere e riconoscere le caratteristiche del teatro, per scrivere una pièce.

Obiettivi linguistici

Il lavoro svolto in lingua straniera si è posto come obiettivo lo sviluppo delle seguenti competenze : comprensione, assimilazione, produzione orale e scritta. Il discente è stato comunque costretto a lavorare sul la storia da inventare, sviluppando la competenza della produzione scritta. Nell’attività di gruppo e di drammatizzazione l'alunno ha arricchito il lessico e migliorato la pronuncia.

Metodo

Approccio comunicativo centrato sull’allievo

Luogo

Classe, Aula di Artistica e Aula Informatica

Tempo

 

13 ore

I tempi scelti erano 2 ore del sabato mattina e 1 ora del giovedì pomeriggio (fuori orario scolastico)

Periodo dell’ a. s.

Da Ottobre a Novembre 2003

Materiali

Trucco e abiti, parrucche e oggetti per la scena.

Strumenti

Quaderno e penna

La penna e il quaderno sono serviti a scrivere, durante il lavoro di gruppo, il testo delle storie da recitare.

Strategie

Pluralità di metodi :

-          Lavoro in gruppo (per trasportare l’interazione verbale in un contesto sociale).

-          Lavoro individuale (ripasso parti da recitare)

-          jeux de rôle

-          role playing

-          scrittura creativa.

Valutazione

Il tutor ha considerato l’impegno di ogni singolo alunno utilizzando una griglia di valutazione[190].

 

 

Iª lezione

Fase 1. Il tutor e l’insegnante-tirocinante presentano il titolo e il significato del percorso “L’école que tu voudrais”.

Fase 2.. Poi invitano gli alunni a sgomberare l’aula addossando i banchi alle pareti e a formare un semicerchio di sedie, sulle quali prendono posto i ragazzi. L’obiettivo non dichiarato è quello di creare il clima teatrale giusto. Chiedono poi agli allievi di costruire l’immaginaria platea semicircolare di un teatro, movendosi uno per volta.

Fase 3.. Il tutor chiede di esprimere in lingua (e per chi non ci riesce in italiano) ad ogni alunno gli aggettivi che connotano la scuola che gli piacerebbe. L’insegnante-tirocinante li scrive sulla lavagna. Ne segue una discussione.

I° giorno

Tempo complessivo: 2 ore

Fase I

Tempo : 30 minuti.

Fase 2

Tempo : 50 minuti.

Fase 3

Tempo : 40 minuti.

2ª lezione

Fase 1. Il tutor chiede agli allievi di costruire un cerchio. Gli alunni devono ripetere le frasi o gli aggettivi, scritti nella lezione precedente, che l’insegnante-tirocinante pronuncia, usando esercizi di dizione, respirazione diaframmatica e di impostazione della voce.

Fase 2. L’insegnante propone ripetizioni di espressione a velocità normale, lenta e accelerata cadenzati da movimenti del corpo. Il metodo serve a rilassare gli alunni e ad aprire le loro menti in preparazione allo sviluppo della creatività e allo sblocco delle proprie potenzialità espressive.

II° giorno

Tempo complessivo: 1 ora

Fase I

Tempo : 30 minuti.

Fase 2

Tempo : 30 minuti.

3ª lezione

Fase 1. Il tutore e l’insegnante-tirocinante propongono un dialogo sulla scuola che gli alunni vorrebbero. Si profila una netta separazione fra chi sostiene che la scuola è perfetta così com’è e chi vorrebbe cambiarla del tutto.

Fase 2. Gli insegnanti dicono agli alunni di riflettere e di scegliere di entrare a far parte del gruppo di cui condividono l’idea. La classe si divide in 2 gruppi[191].

Fase 3 Gli alunni di ogni gruppo devono inventare una storia che rappresenti, attraverso personaggi, luoghi e scene la loro idea di scuola.In ogni gruppo devono poi essere scelti gli attori, gli scenografi e i costumisti.

III° giorno

Tempo complessivo: 2 ore

Fase I

Tempo :40 minuti.

Fase 2

Tempo : 15 minuti.

Fase 3

Tempo : 60 minuti.

 

 

4ª lezione

Fase 1. Gli alunni inventano una storia che rappresenta la scuola che vorrebbero, usando da un minimo di 70 ad un massimo di 120 parole. Ogni gruppo deve riconsegnare la storia terminata per la volta successiva.

IV° giorno

Tempo complessivo: 1 ora

Fase I

Tempo :60 minuti.

5ª lezione

Fase 1. Colpo di scena: il tutor e l’insegnante-tirocinante fanno leggere in italiano le storie dal portavoce del gruppo e correggono gli errori linguistici.

Fase 2.  . Il tutor e l’insegnante-tirocinante consegnano la storia di un gruppo all’altro e viceversa. Consegnano ad ogni gruppo un dizionario e chiedono agli alunni di tradurre il testo in francese, controllando in itinere la traduzione della storia.

V° giorno

Tempo complessivo: 2 ore

Fase I

Tempo :15 minuti.

Fase I

Tempo :105 minuti.

6ª lezione

Fase 1. Gli insegnanti aiutano gli alunni, controllando in itinere la scrittura della storia. Infine ritirano i lavori, che correggono a casa.

VI° giorno

Tempo complessivo: 1 ora

Fase I

Tempo :60 minuti.

7ª lezione

Fase 1.  Sono riconsegnati i lavori corretti. Gli alunni ripetono le proprie parti e gli insegnanti passando di gruppo in gruppo correggono loro eventuali errori fonetici. A casa ogni alunno deve ripassare la propria parte.

VII° giorno

Tempo complessivo: 2 ore

Fase I

Tempo :120 minuti.

8ª lezione

Fase 1. Ogni gruppo deve allestire la recita del testo dell’altro gruppo, l'allestimento e la messa in scena e in spazio. Le soggettività dell’interpretazione del testo devono diventare coralità d'intenti nel gruppo. A casa ogni alunno deve ripassare la propria parte.

VIII° giorno

Tempo complessivo: 1 ora

Fase I

Tempo :120 minuti.

9ª lezione

Fase I. Ogni gruppo prepara l'allestimento e la messa in scena e in spazio e distribuisce le fotocopie della traduzione all’altro gruppo, che poi n’è l’ideatore.

Fase 2. Ogni gruppo recita la storia inventata dall’altro gruppo.

Fase 3.  Ogni alunno deve completare una scheda di valutazione su ogni compagno del proprio gruppo e dell’altro gruppo, evidenziando come gli è parsa la sua recitazione e la sua interpretazione.

IX° giorno

Tempo complessivo: 2 ore

Fase I

Tempo :20 minuti.

Fase 2

Tempo : 40 minuti.

Fase 3

Tempo : 60 minuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLEGATI

 

ALLEGATO 1: QUESTIONARIO MOTIVAZIONALE DI ENTRATA

(3ª MEDIA PERGINE VALDARNO)

 

1) Cosa pensano i tuoi genitori dello studio?

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

2) Qual’è il tuo rapporto con tua madre? ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

3) Qual è il tuo rapporto con tuo padre?

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

4) Cosa pensano gli amici che frequenti fuori della scuola dello studio?

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

5) Ti piace studiare?

__________________________________________________________________________________________

 

6) Qual è la tua materia preferita? ___________________________________________________________________________________________

 

7) Qual è la materia che detesti? ___________________________________________________________________________________________

 

8) Hai paura di fallire nello studio?

___________________________________________________________________________________________

 

9) Hai mai marinato la scuola senza che i tuoi genitori lo sapessero?

___________________________________________________________________________________________

 

10) Come ti trovi in classe?

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

11) Cosa manca nella scuola che frequenti? ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

12) Come dovrebbe essere il tuo professore ideale?

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

13) Come dovrebbe essere organizzata la scuola che vorresti frequentare? ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

14) Ti piace la lingua straniera?

___________________________________________________________________________________________

 

15) Quali attività vorresti svolgere in lingua straniera?

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

ALLEGATO 2: QUESTIONARIO MOTIVAZIONALE DI USCITA

(3ª MEDIA PERGINE VALDARNO)

 

     1) Come giudichi l'andamento di questo ultimo anno di scuola media?

      ______________________________________________________________________________________

    

     2) Iniziando l'anno scolastico ti aspettavi un andamento diverso (superiore o inferiore)

         ____________________________________________________________________________________


  

3)  Tra le possibili caratteristiche della scuola, scegli e numera in ordine di importanza quelle che ritieni più aderenti alla tua esperienza, indicane massimo tre (eccessivo carico di studio, scarso carico di studio, difficili rapporti coi compagni, buoni rapporti coi compagni, eccessiva severità degli insegnanti/di alcuni insegnanti, buoni rapporti con gli insegnanti, difficoltà a capire cosa dovevi fare per avere buoni risultati, difficoltà a seguire il lavoro scolastico, spiegazioni troppo difficili, noia, difficoltà dello studio a casa, interesse per le materie, altro……….


____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________4) E’ cambiato il tuo modo di studiare?

SI’ ٱ               NO ٱ

Se sì, in che cosa principalmente?

__________________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

 

5) Immagina che l’attività scolastica sia come una partita di calcio in cui sei un giocatore; quale ruolo assegneresti ai tuoi insegnanti?

ٱarbitro     ٱallenatore    ٱgiocatore     ٱspettatore

 

 

ALLEGATO 3: SCHEDA DI VALUTAZIONE DELL’INSEGNANTE

(3ª MEDIA PERGINE VALDARNO)

 

L’alunno/a……………………………………………………………

 

Ha partecipato al lavoro di gruppo:

 

a) proponendo soluzioni                                                        si                   no              qualche volta

b) aderendo alle proposte                                                      si                   no              qualche volta

c) subendo le proposte                                                           si                   no              qualche volta

d) imponendo le proprie idee                                                 si                   no              qualche volta

 

Ha partecipato alle discussioni in classe:

a) per tutto il tempo                                                                si                   no              qualche volta

b) esponendo la propria opinione spontaneamente                si                   no              qualche volta

c) esponendo la propria opinione solo se richiesta                 si                   no              qualche volta

d) accettando il parere altrui                                                   si                   no              qualche volta

e) alzando la mano per avere la parola                                   si                   no              qualche volta

f) parlando se è il suo turno                                                    si                   no              qualche volta

g) ascoltando quando gli altri parlano                                    si                   no              qualche volta

h) mantenendo l’attenzione                                                    si                   no              qualche volta

i) modificando il proprio punto di vista                                  si                   no              qualche volta

 

Ha svolto i compiti assegnatigli/le individualmente:

 

a) mettendosi subito al lavoro                                                 si                   no              qualche volta

b) chiedendo aiuto all’insegnante                                            si                   no              qualche volta

c) chiedendo aiuto ai compagni                                               si                   no              qualche volta

d) lavorando da solo/a                                                             si                   no              qualche volta

 

 

 

ALLEGATO 4: SCHEDA DI VALUTAZIONE DEI COMPAGNI

(3ª MEDIA PERGINE VALDARNO)

 

Il/La compagno/a……………………………………………………………

 

 

Lavoro di gruppo

(vota solo chi appartiene allo stesso gruppo)

Prestazione nella rappresentazione

Abilità di interpretazione

Pronuncia/fonetica

Spontaneità nella drammatizzazione

L’impegno è stato:

ٱ non sufficiente

ٱ mediocre

ٱ sufficiente

ٱ buono

ٱ distinto

ٱ ottimo

 

ٱ non sufficiente

ٱ mediocre

ٱ sufficiente

ٱ buona

ٱ distinta

ٱ ottima

 

 

ٱ non sufficiente

ٱ mediocre

ٱ sufficiente

ٱ buona

ٱ distinta

ٱ ottima

 

 

ٱ non sufficiente

ٱ mediocre

ٱ sufficiente

ٱ buona

ٱ distinta

ٱ ottima

 

 

 

 

 

 


 

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[1] Unità Didattica 3 del modulo di Pedagogia generale del 2° anno dal titolo: La Pedagogia sociale.

[2] Come sostiene la prof.ssa Ulivieri la pedagogia sociale è scienza d’emancipazione.

[3] Unità Didattica 4 del modulo organizzativo-normativo-sanitario del 2° anno dal titolo: Linee di riforma della scuola secondaria negli ultimi trent’anni.

[4] Piacentini G., Adolescenti e società complessa, a cura di Betti C,  Edizioni del Cerro, Pisa, 2002, p. 143.

[5] Sarracino V.-Corbi E., Storia della scuola e delle istituzioni educative, Liguori,, Napoli,  1999, p. 130.

[6] Una particolare forma di diversità è rappresentata dall'handicap rispetto alla quale la scuola è chiamata ad attuare specifiche strutture d'appoggio e sostegno all'apprendimento e all'integrazione entro i confini delta classe e più in generale della società..

[7] Unità Didattica 1 del modulo di Sociologia e Antropologia del 2° anno dal titolo: I processi di socializzazione in una società che cambia.

[8] Perfino all’interno di uno stesso Istituto permangono divisioni fra ordini diversi di scuola. Nella mia esperienza di docenza presso l’Istituto Comprensivo di Bucine, ove insegno Lingua inglese ad alunni che vanno dai 3 ai 14 anni, sono a stretto contatto con tre ordini di scuola diversi (materna, elementare e media) e noto una mancanza totale di comunicazione fra i docenti che si chiudono nel settorialismo. Anche nei collegi unitari la disposizione dei posti è strettamente legata agli ordini delle scuole e perciò mi trovo costretto a stare nel mezzo tra i docenti elementari, nel ruolo che lo stato ha scelto per me come Incarico Annuale. Ma come ho detto spesso ai colleghi dei vari ordini, non trovo che le differenze fra scuola e scuola siano insormontabili. Posso, infatti, confessare che il mio ruolo di insegnante non cambia variando la classe, o l’ordine di scuola, cambia solo la trasmissione dei contenuti, e l’impiego delle strategie.

[9] Bauman Z., La società dell'incertezza,  il Mulino, Bologna, 1999.

[10] Come magistralmente esplica il sociologo Melucci: “Abitiamo un pianeta divenuto società globale. Il ritmo accelerato del cambiamento, la molteplicità dei ruoli, l'eccesso di possibilità e di messaggi dilatano la nostra esperienza cognitiva ed affettiva, in una misura che non ha paragone con nessuna cultura precedente dell'umanità.. I punti di riferimento su cui individui e gruppi fondavano in passato la continuità della loro esistenza vengono meno. La possibilità di rispondere con sicurezza alla domanda 'chi sono io" si fa labile: la nostra presenza ha bisogno di punti di appoggio e la nostra stessa biografia talvolta vacilla. La ricerca di dimora dell'io diventa così vicenda comune e l'individuo deve costruire e ricostruire la propria casa di fonte al mutamento incalzante degli eventi e delle relazioni"' (Melucci A. Il gioco dell’io : il cambiamento di sé in una società globale, Feltrinelli, Milano, 1991, p. 10).

[11] Unità Didattica 1 del modulo di Sociologia-Antropologia del 1° anno dal titolo: Il cambiamento come centro del processo formativo.

[12] E in quanto maestro mi duole purtroppo dover affermare che il fenomeno coinvolge anche alunni del secondo ciclo della scuola elementare!

[13] Unità Didattica 1 del modulo di Psicologia del 2° anno dal titolo Elementi di Psicologia dello Sviluppo; Unità Didattica 2 del modulo di Psicologia del 2° anno dal titolo Elementi di Psicologia dello Sviluppo: lo sviluppo emotivo, sociale e relazionale: rischi e risorse..

[14] Una variabile senza dubbio influente dell’insuccesso formativo è rappresentata poi dal mancato sostegno della famiglia. In particolare gli atteggiamenti dei genitori nei confronti della scuola, la qualità delle relazioni interne al nucleo familiare, la serenità delle convivenze, costituiscono fattori che giocano un peso rilevante nel percorso scolastico e di crescita personale dei giovani (Liverta Sempio O., Confalonieri E., Scaratti, G. a cura di, L’abbandono scolastico. Aspetti culturali, cognitivi, affettivi, Raffaello Cortina Editore,  Milano, 1999 p. 44-57).

[15] Il tasso di dispersione rappresenta la percentuale degli alunni non presenti nella classe successiva a quella di osservazione, escludendo gli alunni trasferiti ad altre scuole. Il valore si ottiene stabilendo un rapporto tra il numero degli alunni non presenti nella classe successiva e il numero degli iscritti e frequentanti la classe precedente. Se viene registrato, ad esempio, un tasso del 25%, significa che si sono dispersi 5 alunni su 20 (5:20=X:100).

[16] Cairo, M.T., "La dispersione scolastica: aspetti e problemi", Scuola e didattica, a. 3, n. 15, 15 aprile 1994, p 54.

[17] L'insieme dei fattori negativi, scolastici ed extrascolastici, che possono comportare disagi, demotivazione, disturbi nel processo di formazione degli alunni. Individuare le situazioni di rischio, analizzarle, mettere in atto strategie per contrastare o ridurre l'incidenza dei fattori negativi, rappresenta un presupposto per una efficace lotta alla dispersione scolastica.

[18] Gatullo M., La dispersione scolastica in Italia dalle elementari alle medie superiori,  in “Scuola e Città, , 1, 1989, pp. 533-539.

[19]  Si usa anche il termine “Drop out” che significa cader fuori, uscire dal sistema scolastico formativo e/o disperdersi.

[20] La catena di insuccessi sul piano dell’apprendimento può contribuire a creare nell’alunno una situazione di marginalità psicologica, che si traduce in marginalità scolastica. La marginalità scolastica si accompagna di solito alla marginalità sociale, determinando un circolo vizioso che demotiva progressivamente i soggetti, che si sentono inadeguati rispetto alle richieste della scuola.

[21] Schema ripreso da http://www.itcgfermi.it/eucon/dispers/coseh/coseh.htm .

[22] Smiraglia S.- Strollo M. R., Gli anni-ponte dalla media alla superiore: la progettazione didattica in contesti a rischio di dispersione, in A. Cunti., La dispersione scolastica, Pensa Multimedia Editore, Lecce, 1999, p. 222.

[23] Benvenuto G-Natoli V., Strumenti normativi per combattere la dispersione scolastica, in Indagine sulla dispersione scolastica, a cura di Benvenuto G.-Rescalli G.-Visalberghi A., La Nuova Italia, Firenze, 2000., p. 28.

[24] Batini F..- Iavarone M. L.., Dispersione scolastica e disturbi dell’apprendimento, in La scuola che voglio, a cura di Batini F., Editrice Zona, Arezzo, 2002,  p. 48.

[25] Buccino, F., "La dispersione scolastica", Proiezioni, a. 1, n. 3, maggio 1995, pp 46-47.

[26] Sulla suddetta problematica si veda il testo: Mangano A..-De Grazia A., Scuola, marginalità, devianza, Qualecultura, Vibo Valentia, 1994.

[27] Groppo, M. et al., "I drop-out dell’obbligo scolastico. Un’analisi descrittiva", Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, a. 54, n. 1, gennaio-marzo 1993, pp 81-94.

[28] Cf. Alberigi Quaranta A., La dispersione scolastica in Italia, Il Mulino, a. 43, n. 4, luglio-agosto 1994, pp 702-716. Groppo, M. et al., "I drop-out dell’obbligo scolastico. Un’analisi descrittiva", Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, a. 54, n. 1, gennaio-marzo 1993, pp 81-94.

[29] Schema ripreso da http://www.itcgfermi.it/eucon/dispers/coseh/coseh.htm .

[30] Cambi F., Storia della pedagogia, Laterza, Bari,  1995, p 382.

[31] Saracino V., La dispersione quale emergenza educativa: la dimensione socio-politica, in Cunti, A, op. cit.,  p. 33.

[32] “La scuola non è pane” diceva un fraticello nel romanzo di Cesare Abba Da Quarto al Volturno, poiché non dà il pane necessario al sostentamento quotidiano.

[33] Ibidem.

[34] Semeraro A., II sistema scolastico italiano, la Nuova Italia, Firenze, 1996, p. 58.

[35] Ulivieri S., Storia della pedagogia, in I saperi dell’educazione, a cura di Cambi F.-Orefice P.-Ragazzini D., La Nuova Italia,

Firenze, 1995, pp. 166-167.

[36] Cambi  F, op. cit., p. 329.

[37] Semeraro A., op. cit., p. 112.

[38] Come scrive Pizzitola:“Poveri e ricchi, per decenni, non frequentano nemmeno gli studi iniziali. 1 primi, semplicemente, perché, come detto, noti se lo possono permettere,, o non vedono buone ragioni per affrontare i costi dell'impresa; i secondi perché trovano pericoloso esporre i propri figli alle contaminazioni e ai contagi che possono derivare dalla promiscuità della scuola pubblica. Dietro l'apparente analogia delle scelte, si stabiliscono grandi disparità fra coloro che mancano all'appuntamento istituzionale. Le differenze si riferiscono scopertamente a ragioni di censo” (Pizzitola A., Storia della scuola e delle istituzioni educative, in  I saperi dell’educazione”, op. cit., pp. 204-205).

[39] Come ha evidenziato la prof.ssa Di Bello, nell’U.D. 2 del modulo organizzativo-normativo-sanitario del 1° anno dal titolo Linee evolutive del sistema scolastico della prima Repubblica,

[40] G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento ad oggi. Laterza, Roma-Bari, 1998, p. 190.

[41] La selezione vigente nella scuola media di quegli anni provocava moltissimi casi di dispersione e abbandono scolastico, come è ricordato nella Lettera ad una professoressa (Lettere ad una Professoressa, , Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967), in cui si denunciava come la scuola media, nata per istruire gli alunni dagli undici ai quattordici anni appartenenti a tutte le classi sociali, emarginasse i figli delle classi più basse: non solo non li aiutava ad apprendere, ma perfino li relegava alla loro marginalità sociale.

[42] Più della metà dei do­centi, ancorati direttamente o meno all'eredità gentiliana, si dimostra­rono, ad un’inchiesta del 1966, violentemente contrari al carattere non selettivo della scuola media unica, cioè senza dubbio si opponevano all’aspetto più importante e profondo della riforma. Nata dalle pressioni delle classi al vertice ed alla base della società italiana, la riforma della scuola media ha incontrato la violenta opposizione della classe media, ed in particolare degli insegnanti che, per la loro origine sociale, la posizione occupata ed il molo svolto, sono di questa classe i più fedeli rappresentanti. “Non era certo difficile prevedere l'opposizione degli insegnanti alla riforma della scuola media. Anche lascian­do da parte ogni considerazione sulla posizione sociale degli insegnanti, e quindi sul loro sistema di valori, o sulle resistenze al cambiamento che immancabilmente si verificano in una organizzazione ogni qual volta innova­zioni provenienti dall'esterno rimettano in discussione il suo sistema di ruoli. (…) L'unica indagine condotta prima della riforma, a dire il vero con metodi più « giornalistici » che « scientifici », mette in luce una profonda incomprensione a parte della grande maggioranza degli insegnanti medi dei motivi sociali della legge di riforma”[42]. (Barbagli M. e Dei M., Le vestali della classe media, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 78)

[43] Come afferma Tristano Codignola: “La libertà nella scuola è, a norma del 1° comma dell’art. 33, la condizione pregiudiziale dell’esistenza della scuola pubblica nel sistema costituzionale italiano. Istituendo scuole di ogni ordine e grado, lo Stato poggia su quel principio fondamentale la sua funzione educativa. Su quel principio si fonda il sistema di reclutamento del personale insegnante (che non ammette discriminazioni ideologiche), la piena libertà dell’insegnamento, il diritto dell’alunno al rispetto pieno dello sviluppo della sua personalità (all’infuori di ogni pregiudiziale ideologica, religiosa, politica). Questa è la scuola di tutti, ed è a questa che lo Stato dà le sue cure. L’obbligatorietà e la gratuità sono le conseguenze dell’impegno integrale dello Stato in sede educativa e del carattere della sua scuola: offrendo lo Stato una scuola per tutti gli ordini e gradi in cui libero è l’insegnamento, questa e soltanto questa è la scuola aperta a tutti, questa e soltanto questa è obbligatoria e gratuita. Lo Stato non può obbligare a frequentare e non può offrire gratuitamente se non la sua scuola". (Codignola T., Nascita e morte di un Piano, La Nuova Italia, Firenze, 1962, pp. 3-4)

[44] Art. 731 del Codice penale: “(Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori) Chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare è punito con l'ammenda fino a lire 60.000”.

[45] Orefice P. Pedagogia sociale: la dimensione sociale della scuola e dell’educazione agli adulti nella scuola contemporanea, in I saperi dell’educazione, op. cit., 1995, p. 68.

[46] G. Genovesi, op. cit., p. 200.

[47] Benvenuto G-Natoli V., op. cit., p. 30.

[48] Citerò alcuni articoli del Decreto Ministeriale n. 323 del 9 agosto 1999 sull’Adempimento dell'obbligo scolastico (Gazzetta Ufficiale n. 218 del 16 settembre 1999):

Art 1. Al fine di migliorare la qualità del livello di istruzione dei giovani, adeguandolo agli standard europei, e di prevenire e contrastare la dispersione scolastica potenziando le capacità di scelta degli alunni, l'obbligo di istruzione è elevato a nove anni in prima applicazione.

Art 2. All'obbligo scolastico si adempie frequentando le scuole elementari, medie e il primo anno delle scuole secondarie superiori, statali o non statali, abilitate al rilascio di titoli di studio riconosciuti dallo Stato o anche privatamente, secondo le norme di cui alla parte seconda, titolo secondo, capo primo del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.

Art 3. Ha adempiuto all'obbligo scolastico l'alunno che abbia conseguito la promozione al secondo anno di scuola secondaria superiore; chi non l'abbia conseguita è prosciolto dall'obbligo se, al compimento del quindicesimo anno d'età, dimostri di aver osservato per almeno nove anni le norme sull'obbligo scolastico.

[49] Ivi, p. 201.

[50] Frabboni F.,Interviste a testimoni privilegiati, in Indagine sulla dispersione scolastica, op. cit., p. 230.

[51] Bonetta G, op. cit., pp. 345-348.

[52] Bettoni C., Recenti indagini sul fenomeno della dispersione scolastica in Italia, in Indagine sulla dispersione scolastica, op. cit., p. 48.

[53] L’esigenza della formazione permanente è stata promossa, infatti, con l’OM n. 455 del 29 luglio 1997 che istituisce i Centri Territoriali Permanenti per l’Educazione degli adulti (EDA). Conosco molto bene questa realtà poiché ho insegnato Inglese nel Centro Territoriale del Valdarno aretino e mi sono reso conto che l’idea di formazione sta cambiando,. I miei alunni (tutti sopra la trentina) erano, infatti, estremamente motivati ed interessati alla promozione della propria persona attraverso l’acquisizione di nuove conoscenze.

[54] Si veda Bettoni C., op. cit., p. 48.

[55] Ivi., p. 47.

[56] Sono stati seguiti i seguenti obiettivi di indagine e ricerca, che possono essere così elencati:  una analisi della situazione esistente; uno studio in profondità delle motivazioni degli abbandoni; un coinvolgimento attraverso una valorizzazione di esperienze dirette della scuola militante; 6) una sperimentazione di attività specifiche tendenti ad affrontare i fattori della dispersione; una proposta di innovazioni sul piano disciplinare ed organizzativo da introdurre nelle scuole (Cf. Benvenuto, Rescalli, Visalberghi, a cura di, Indagine sulla Dispersione scolastica, Firenze, La Nuova Italia, 2000).

[57] L’autonomia è stato approvato con la legge n. 59 del 15 marzo 1997 e confermata il DM n. 251 del 29 maggio 1998.

[58] Natoli V.- Attività antidispersione nella progettazione scolastica: Pei e Pof, in Indagine sulla dispersione scolastica, op. cit., p. 56.

[59] Anche la Moratti è intervenuta  nella Conferenza Interministeriale "Disagio giovanile e dispersione scolastica" San Patrignano, 3 - 4 ottobre 2003. L’ottica del governo di Destra è basato sulla lotta alla dispersione come lotta alla dispersione di risorse e non come reale incentivazione della cultura. Per leggere l’intervento della ministra, si consulti, comunque, l’articolo in: www.istruzione.it/prehome/ministro/interventi/2003/03_10_03.shtml.

[60] Palermo D.- Scidà G., Catania, “Cattiva madre”, in Il bambino bruciato, op. cit., p.45.

[61] De Mauro T., Dispersione scolastica e marginalità sociale : causa ed effetto, in Il bambino bruciato,  op. cit., p 139.

[62] Ivi, p. 138.

[63] Un’interessante analisi sociologica sulla realtà ambientale di Napoli, sulla disoccupazione, sulle disfunzioni dei servizi sociosanitari e dell’apparato politico amministrativo è fornito dal saggio di Melita Cavallo: Napoli, la città mancata: vite “a senso unico” nella testimonianza di un giudice minorile,. Qui l’autrice si sofferma anche sull’inquietante fenomeno del mercato dei bambini, conseguenza del degrado culturale e socioambientale. “essi provengono, ancora una volta, dalle estese fasce della emarginazione sociale, dove non c’è contraccezione, perché nulla si programma, tanto meno la vita; dove spesso le ragazze vedono come unica sistemazione il matrimonio e come unico mezzo il figlio; ma dove spesso sono poi lasciate sole, nella disperazione profonda di un figlio indesiderato, procreato solo nella speranza di stringere un rapporto. Oppure questi bambini sono frutto di violenze sessuali, di rapporti incestuosi, o quasi, concepiti con il convivente della madre, o figli di madre barbone, sbandate, disturbate nella mente di cui nessuno si è mai occupato; figli di drogate, alcolizzate, vissute per anni nella strada e finite alla deriva” (Cavallo M., Napoli, la città mancata: vite “a senso unico” nella testimonianza di un giudice minorile, in Il bambino bruciato, op. cit., p.. 35)..

[64] Si veda Liverta Sempio O., Confalonieri, E., Scaratti, G., "I dropout nella scuola dell’obbligo : aspetti relazionali", in M. D’Alessio, P.E. Ricci Bitti, G. Villone Betocchi, Gli indicatori psicologici e sociali del rischio, Gnocchi,  Napoli, 1995,, pp 226-239.

[65] Si veda Cattaneo, P. (a cura di), Dispersione scolastica: atti del seminario regionale di valutazione, Palermo, 4-6 novembre 1992, Palermo, Nuovagraphicadie, 1994.

[66] Si veda Distretto Scolastico n. 19, Pisa, Il disagio scolastico: abbandono, insuccesso e dispersione. Indagine esplorativa nell’"area pisana" (aa.ss. 1985-86, 1989-90), Pisa, Editrice Universitaria Litografia Felici, 1995.

[67] Lancini M. (Star male a scuola, in 16 anni più o meno, a cura di Rosci L., F. Angeli, Milano, 2000) riporta un'indagine sulla dispersione scolastica e sulla ripetenza nella scuola secondaria italiana secondo cui la metà dei giovani italiani, il 44,9 % possiede un percorso formativo non lineare caratterizzato da abbandono degli studi, interruzione prolungata degli studi, trasferimento e ripetenza, mentre il 30% degli individui di età superiore ai venti anni non ha mai terminato un ciclo di istruzione secondaria superiore.

[68] Calvaruso C. La cultura giovanile tratto da Ragazzi della mafia, a cura di F. Occhiogrosso, F. Angeli, Milano, 1993.

[69] Crespi F.,  Manuale di sociologia della cultura, Laterza, Roma-Bari, 1996., p. 206.

[70] Ivi, p. 207.

[71] Batini F..-Mongelli A., Una dama è una dama, una fioraia è una fioraia, in La scuola che voglio, op. cit., pp. 25-26.

[72] Batini F.., Introduzione, in La scuola che voglio, op. cit.,  p. 10.

[73] Smiraglia S., Il successo e l’insuccesso scolastico nella prospettiva psicologica dei processi attribuzionali, in La dispersione scolastica,  op. cit., p. 57.

[74] Rossi B., Intersoggettività e educazione, Brescia, ed. La Scuola, 1992, p. 120.

[75] Come ha affermato il Prof. Piacentini nell’Unità Didattica 4 del modulo organizzativo-normativo-sanitario del 2° anno dal titolo: Linee di riforma della scuola secondaria negli ultimi trent’anni.

[76] Batini F.., La scuola che voglio: progetto contro la dispersione, in La scuola che voglio, op. cit.,  p. 87.

[77] Corbi E., L’educazione ambientale contro la dispersione: la dimensione “locale” e quella “planetaria”, in La dispersione scolastica, in Cunti, A. (a cura di), La dispersione scolastica, op. cit., p. 52.

[78] Beccatelli Guerrieri G., Aspetti sociologici dei processi formativi, in F. Cambi, P. Orefice (a cura di), Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori, Napoli, 1996, p. 213.

[79] L'atteggiamento ermeneutico, ossia la volontà di interpretare ed incrociare quelli che sono i diversi punti di vista, è un altro strumento di cooperazione e socializzazione tra culture diverse. Al riguardo Mariangela Giusti ( L'educazione interculturale nella scuola di base, La nuova Italia, Firenze, 1999) ha riunito questi due comportamenti nel termine "comprensione dialogica" con il quale si indica questa ricerca costante di integrazione dei saperi che ci appartengono con quelli provenienti dalle culture "altre". Lo studio della Giusti si rivolge alle scuole toscane, in cui si osserva un assai rapido processo di accrescimento della presenza di stranieri. Riguardo a questa nuova condizione essa individua quattro principali atteggiamenti che hanno come attori gli insegnanti. Il “multiculturalismo benevolo-ingenuo”, come lo definisce la Gibson, ossia quel tipo di educazione particolarmente volta ad una integrazione all'interno della cultura preesistente dei ragazzi appartenenti ad altre culture. Il secondo è un atteggiamento caratterizzato da una volontà livellatrice da parte dell'insegnante, che pone come obiettivo della scuola la riduzione delle differenze tra gli alunni. Ambedue questi atteggiamenti vedono nella comunità maggioritaria e preesistente lo sfondo per qualsiasi integrazione e tendono ad avvicinare la cultura ospitata al mondo e alla cultura ospitante. A questi due atteggiamenti si contrappongono coloro che pongono maggiore attenzione alle culture d'origine. I primi sono i sostenitori di un’“educazione multiculturale come pluralismo culturaleche non prevede l'appiattimento delle differenze, ma il mantenimento per gli stranieri delle radici e della lingua d'origine. In fine, ancora su questa linea, vi è “limpostazione pedagogico‑didattica”, che vede l’educazione multiculturale come insegnamento di ciò che appartiene a culture differenti, e quindi si pone l'obiettivo di confrontare e far dialogare le culture diverse tra di loro. A questi comportamenti didattici rispondono tre differenti impostazioni di fondo, la teoria della conformità dominante, con la quale si tende ad assimilare le culture "altre" a quella dominante, la teoria dell'amalgama sociale nella quale prevale in fin dei conti la cultura del gruppo dominante, la teoria del pluralismo modificato, secondo la quale ciascuno mantiene la propria cultura di base, ma si lascia influenzare e modificare a vicenda dalle altre culture. In quest'ultima ottica la scuola rappresenta lo sfondo integratore nel quale si raccordano e si intrecciano le diverse competenze così da comporre quella comunità colorata che troviamo ben rappresentata negli intenti della proposta di legge. La scuola rappresenta, anche ad una prima osservazione, il terreno nel quale si sviluppano i contatti tra le culture, ma soprattutto si definiscono le condizioni principali del rapporto tra cultura dominante e cultura 'altra". In sostanza il ventaglio di atteggiamenti adottato dagli insegnanti, quasi sempre per parte loro appartenenti alla cultura dominante, condiziona assai più di altri il rapporto tra fanciullo di una cultura esterna e la società che lo ospita, poiché la scuola rappresenta pressoché ovunque una delle massime strutture organizzative statali. In seguito a ciò, entro un contesto legislativo certamente volto a migliorare le condizioni di accoglienza per gli stranieri, intendiamo porci un interrogativo che in parte già traspare dal commento della Giusti, ossia quali siano gli effettivi ostacoli alla sua attuazione, o per meglio dire quali siano le possibili risposte a tale interrogativo, e quante siano allo stato attuale dei fatti le speranze della messa in pratica di comportamenti pluralistici veri ed efficaci, giacché l'essere "altro", rispetto al modello dominante nella quotidianità dei fatti, rappresenta un ostacolo quasi insormontabile al raggiungimento di livelli accettabili di uguaglianza.

[80] Argyle M., Le competenze sociali, in S. Moscovici (a cura di), La relazione con l’altro, Raffaello, Milano,  1997, p. 109.

[81] Brint S., .Scuola e società, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 193.

[82] Ivi, p. 206.

[83] Ivi, p. 208.

[84] Pisati M., La mobilità sociale, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 239.

[85] De Mauro T., Dispersione scolastica e marginalità sociale : causa ed effetto, in Il bambino bruciato, op. cit., p 140.

[86] Ivi, p. 145.

[87] Brint S.,  op. cit., p. 224.

[88] Ivi., p. 245.

[89] Se la socializzazione all'interno del gruppo primario risulta incompleta e traumatizzante vi sono i presupposti per una personalità debolmente strutturata, e quindi più soggetta ad essere destabilizzata dalle molteplici richieste di ruolo del più ampio contesto sociale. Nel momento in cui l'individuo ha vissuto un processo di socializzazione nell'ambito familiare, scolastico o lavorativo scoordinato, si hanno le premesse per una personalità non integrata socialmente.

[90] Corradini L., Una lettura pedagogica della dispersione scolastica, in La Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento Punta ala (Gr),  Istituto Enciclopedia Italiana, Roma, 1989, p. 46.

[91] Orefice P., Progettualità interistituzionale, in La Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento Punta ala (Gr),  op. cit,. p, 73.

[92] Sull’handicap importante è il contributo di Gabriel Levi che afferma che il modo migliore per un allievo portatore di handicap “di percorrere come un treno tutta la scuola dell’obbligo, è di essere dichiarato portatore di handicap” per ammortizzare la ripetenza , che è una ridicola verità ancora oggi e per alcuni aspetti costituisce un’espulssione silenziosa” (Levi G., Handicap e sofferenza mentale nella dispersione scolastica, in, La Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento Punta ala (Gr), op. cit,. p. 36)  del bambino handicappato.

[93] Menesini E., Bullismo che fare?, prevenzione e strategie d’intervento nella scuola, Edizioni Giunti, p. 15.

[94] Striano, M., Cognizione e metacognizione nell’apprendimento-insegnamento, in Cunti A., op. cit., p. 170.

[95] Brint S.,  op. cit., p. 295.

[96] Boscolo P., La motivazione ad apprendere fra ricerca psicologica e senso comune, articolo psicologico tratto dal sito Internet:

www.edscuola.it/archivio/antologia/scuolacitta/boscolo_2pdf,, p. 87.

[97] I processi di socializzazione concorrono alla formazione della persona, poiché "è difficile parlare della nostra identità senza riferirci alle sue radici relazionali e sociali" (Melucci A., Op. cit., p. 36). Non possiamo in modo rigido separare gli aspetti individuali da quelli socio-relazionali poiché l'identità è un unicum: "si presenta come un processo di apprendimento, che porta all'autonomizzazione di un soggetto" (Melucci A., op. cit., p. 36). Identità significa pertanto, interazione fra auto‑identificazione (definizione che diamo di noi stessi) e etero‑identificazione (riconoscimento che gli altri ci danno). La costruzione dell'identità è molto complessa: “la dimensione dell'adolescenza é diventata il paradigma dell'identità imperfetta, in continua costruzione e mutazione (Rebughini P., Violenza e spazio urbano, op. cit., p. 131).

[98] In termini generali, la motivazione all’apprendimento si può definire come un insieme di bisogni, tendenze, valori, aspettative, preferenze che intervengono nell’attivare, dirigere e sostenere il processo di costruzione di conoscenze e abilità. La motivazione scolastica è un processo complesso che interagisce con convinzioni relative al sé, alle proprie capacità, al compito e alla situazione di apprendimento, alla spiegazione dell’insuccesso e della riuscita scolastica. Si tratta, inoltre, di un processo che può essere innescato e rinforzato estrinsecamente (l’attività di studio e apprendimento è finalizzata ad una ricompensa esterna) o intrinsecamente (l’attività di studio è un’esperienza in se stessa gratificante).

[99] Boscolo P., op. cit., p. 85.

[100] Maslow propose un ordine dei bisogni secondo il quale alcuni bisogni vanno soddisfatti prima che nascano quelli del livello successivo: 1) Bisogni fisiologici :  fame, sete, sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo, sono i bisogni fondamentali ,connessi con la sopravvivenza . “) Bisogni di sicurezza : devono garantire all'individuo protezione e tranquillità; Bisogno di appartenenza consiste nella necessità di sentirsi parte di un gruppo, di essere amato e di amare e di cooperare con altri .  E' molto sentito dall'adolescenza; Bisogno di stima :riguarda il bisogno di essere rispettato, apprezzato ed approvato, di sentirti competente e produttivo; Bisogno di auto realizzazione :inteso come l'esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo .A questi cinque livelli si aggiunge il "Bisogno di trascendenza" inteso come tendenza ad andare oltre se stessi, per sentirsi parte di una realtà più vasta, cosmica o divina, che prof. Boschi ha diviso in Bisogni di conoscere e capire o bisogni intelllettuali e Bisogni estetici o di creare arte. (Lezione del prof. Boschi, Unità Didattica 3 del modulo di Psicologia del 1° anno dal titolo: Apprendimento e competenze emotivo-affettive).

[101] Riva A., La motivazione, Editrice la Scuola, Brescia, 1964, p. 74.

[102] L’età può essere considerata un fattore intrinseco in quanto riferita ai processi biologici 8età anagrafica) ed estrinseco, in quanto legata allo sviluppo mentale del singolo.

[103] Anna Freud spiega che gli istinti, ora, e non solo quelli sessuali aumentano di intensità e quantità: l'aggressività diventa turbolenza; la fame voracità; la cattiveria sfocia in comportamenti di crudeltà o antisocialità; la mancanza di pulizia si trasforma in disordine e sporcizia; la modestia e la simpatia danno luogo a tendenze esibizionistiche.

[104] Cacciaguerra F., La pubertà: scoperte e conflitti, in "Scuola e didattica”, 1990/91, n. 2, pp. 13.

[105] Levi G., op. cit., p. 38.

[106] Boscolo P., op. cit., p. 85.

[107] Brint S.,  op. cit., p. 295.

[108] Cocchi R., Il disadattamento scolastico, in: Strutture e dinamiche neuropsicopatologiche in età evolutiva. Montefeltro, Urbino 1985, pp.53-69 .

[109] Nell'ambito scolastico ed extrascolastico il gruppo costituisce l'elemento fondamentale della socializzazione, ove il giovane si costruisce l'immagine di sé. La banda ‑ per la Rebughini- può essere interpretata come "un sostituto materno, un involucro protettivo in cui non solo le responsabilità sono diluite e quindi ci si può lasciare andare ad atteggiamenti infantili e regressivi, all’espressione pulsionale come urinare e sputare dove capita, lanciare grida improvvise”, distruggere oggetti e perfino attaccare un individuo indifeso (Rebughini P., Violenza e spazio urbano, Guerini, Milano, 2001., p. 133)..  Questo fenomeno è denominato bullismo e si configura "come un insieme di atteggiamenti che mirano deliberatamente, e sistematicamente a ferire l'altro" (Mariani U.- Schiralli R., Costruire il benessere personale in classe, Erickson, Trento,  p. 33) attraverso azioni fisiche come pestaggi, forme verbali di derisione, insulti e affermazioni razziste. Rientrano inoltre in questo atteggiamento anche forme indirette, come l'esclusione dal gruppo, la diffusione sistematica di pettegolezzi. I bulli non riescono a sostenere relazioni paritarie: il loro desiderio di prevalere, intimidire e spaventare, mosso da un intrinseco bisogno di significato, è finalizzato all'affermazione di sé nei confronti degli altri. Avviene talvolta che la vittima di tale aggressioni si rifiuti di voler venire a scuola.

[110] Corradini L., Una lettura pedagogica della dispersione scolastica, in La Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento Punta ala (Gr),  op. cit., p. 50.

[111] Riva A., op. cit., p. 75.

[112] Cunti A., Il fenomeno della dispersione scolastica: una lettura pedagogica, in Cunti, A. (a cura di), La dispersione scolastica, Pensa Multimedia Editore, Lecce, 1999, p. 22.

[113] Ciambella L., Le dinamiche affettive e relazionali, nell’apprendimento-insegnamento, in Cunti, A., op. cit., p. 135.

[114] Buber M., Il principio dialogico e altri saggi, Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo, 1993, p. 12

[115] Ivi, p. 15.

[116] Fratini C., Le dinamiche affettive relazionali nei processi di insegnamento-apprendimento, in Nel conflitto delle emozioni, a cura di F. Cambi, Armando, Roma, 1998., p. 163.

[117] Ibidem.

[118] Franta H,  Atteggiamenti dell’educatore, Libreria Ateneo Salesiano,  Roma, 1988, p. 185.

[119] Rossi B., Pedagogia degli affetti, Roma-Bari, Laterza, 2002., p. 10.

[120] Si veda Bloom B.S., Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, Roma, Armando, 1979.

[121] Bowlby J., Attaccamento e perdita. L’attaccamento alla madre. Boringhieri, Torino, 1976. Secondo le proposte teoriche di questo autore il legame di attaccamento alla madre può essere considerato il prototipo di tutte le relazioni affettive e sociali di un individuo

[122] Galanti M. A., Affetti ed empatia nella relazione educativa,  Liguori Editore,  Napoli., p. 86.

[123] Fratini C., Le dinamiche affettive relazionali nei processi di insegnamento-apprendimento, in op. cit., p. 163.

[124] Fratini C., La relazione allievo insegnante: un modello di comprensione psicanalitico, in Nel conflitto delle emozioni, op. cit., p. 179.

[125] Spranger E., La vita educa, Brescia, La scuola, 1965, p. 98.

[126] Ibidem.

[127] Sarsini D., La professionalità docente: oltre i modelli riduttivi, verso un incrocio di competenze, in Nel conflitto delle emozioni, op. cit., pp. 194-195.

[128] Ivi, p. 193.

[129] Franta H, op. cit., p. 56.

[130] Rossi B., op. cit., p. 87.

[131] L’insegnante deve  essere sempre pronto a ricevere i segnali trasmessi, a volte in modo confuso, dagli allievi. Per ascolto si intende la disponibilità per ciò che viene detto e fatto al fine di trasmettere agli alunni la convinzione del loro valore in quanto soggetti, le risposte alle loro domande e la decodificazione dei contenuti latenti nei messaggi

[132] Galanti M. A., op. cit., p. 118.

[133] Secondo Gardner la competenza empatica è educabile, poiché essa fa parte dell’ intelligenza intrapersonale: è “un’intelligenza che conosce livelli di espressione e di esercizio” (Rossi B., op. cit., p. 59).

[134] Rogers C. R., Libertà nell’apprendimento, trad.it, Firenze, Giunti-Barbera, 1973, p. 142.

[135] Galanti M. A., op. cit., p. 125.

[136] Fratini C., Le dinamiche affettive relazionali nei processi di insegnamento-apprendimento, in op. cit., p. 163.

[137] Galanti M. A., op. cit., p. 120.

[138] Ivi., p. 128.

[139] Galanti M. A., op. cit., p. 92.

[140] Corbi E., op. cit., p. 49.

[141] Vygotskij L.S., Apprendimento e sviluppo nell’età scolare, in Vygotskij, Luria, Leontjev, Psicologia e Pedagogia, Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 37.

[142] Batini F..-Mongelli A., Una dama è una dama, una fioraia è una fioraia, in La scuola che voglio, op. cit., p. 28.

[143] Spesso tra alunni si è soliti con estremo “gregarismo” seguire le dinamiche di gruppo. Si pensi agli “scioperi”, le cui motivazioni spesso oscure ai partecipanti. Spesso il sentito dire, l’esempio di un compagno che marina la scuola o che non la frequenta può influire negativamente sul gruppo.

[144] Quando nel gruppo prevalgono i bisogni di sicurezza si attua la ricerca di un singolo che possieda agli occhi della maggioranza le caratteristiche del leader e che sappia infondere negli altri la stabilità necessaria, le cui idee e comportamenti diventano la “cultura” del gruppo. Si determina, così, un equilibrio che è destinato a rompersi nel momento in cui il leader non si dimostrerà all’altezza della situazione o darà prova dell’incapacità di soddisfare le aspettative del gruppo. Sul piano emotivo si verifica allora una forte componente di ansia e frustrazione e si registra una diversa mobilitazione e organizzazione delle spinte emotive. Per superare la delusione provocata dal fallimento del leader, può nascere un’alleanza tra due membri che ricrea una leadership duale a cui viene delegato il compito di partorire un’idea messianica che dovrà svolgere il ruolo salvifico di risolvere tutti i problemi del gruppo. Se invece prevale l’aggressività a causa di un forte senso di insoddisfazione, le spinte emotive del gruppo possono essere dirette verso un nemico esterno immaginario o verso gli obiettivi razionali del gruppo che vengono indirettamente boicottati o esplicitamente rifiutati. Queste diverse dinamiche emotive, immediate e automatiche, rappresentano delle modalità difensive che il gruppo pone per contenere l’ansia e l’aggressività e soddisfare i bisogni di coesione e sicurezza.

[145] Argyle M., op. cit., p. 118.

[146] Taifel  H.-Forgas J.P., La categorizzazione sociale: cognizioni valori e gruppi, in V. Ugazio, La costruzione della conoscenza, L'approccio europeo alla cognizione del sociale, Angeli, Milano, 1988, p. 143.

[147] Taifel  H.-Forgas J.P., op. cit, p. 160.

[148] Turner J.C.,. Verso una ridefinizione cognitivista del gruppo sociale, in Ugazio V., La costruzione della conoscenza, op.cit., 172.

[149] Durante la mia esperienza di insegnamento ho osservato spesso nelle classi soggetti aggressivi con atteggiamenti provocatori nei confronti dell’insegnante. Far fronte a questo tipo di comportamenti non è facile perché istintivamente si tende a rispondere con la stessa aggressività; invece ho constatato che l’atteggiamento migliore è quello di non rispondere alle provocazioni tenendo presente che la ribellione nasconde quasi sempre una palese richiesta di aiuto per una situazione di disagio.

[150] Schröder H., Comunicazione, informazione, istruzione, Roma, Armando editore, 1975, p. 51.

[151] Cunti A., Il fenomeno della dispersione scolastica: una lettura pedagogica, op. cit., p. 24.

[152] D. Wunderlich-Maas M., Pragmatik und sprachliches Verbhalten, Frankfurt, Athenaum, 1972 in H. Franta, Atteggiamenti dell’educatore, Roma, Las, 1988, p. 10.

[153] Smiraglia S.- Strollo M. R.,, op. cit., p. 244.

[154] Ciambella C., op. cit., p. 139.

[155] Striano, M., op. cit., p. 169.

[156] Smiraglia S.- Strollo M. R.,, op. cit., p. 244.

[157] Le forme di insegnamento tradizionale si manifestano in tre varianti: la sollecitazione, la lezione e il colloquio. La sollecitazione serve a informare l’allievo sulle intenzioni del docente e può essere effettuata attraverso forme più leggere (richiesta o domanda) o coercitive (ordine o imposizione). La lezione è il momento centrale, in cui il docente presenta il contenuto della propria disciplina agli studenti di una classe. Secondo la teoria dell'informazione,  la forma del messaggio (quantità delle informazioni e velocità della loro trasmissione) costituisce uno strumento sufficiente per la trasmissione efficace del contenuto, ma nella realtà non solo non tutto quello che viene detto dal docente è assorbito dal discente, ma “la quantità di informazioni assorbita è per lo più di gran lunga inferiore rispetto a quella offerta”28. Il docente spesso spiega il contenuto della lezione frontale con un linguaggio complesso e con la logica del proprio livello cognitivo, impedendo all’alunno di comprendere e apprendere.

[158] Ivi, p. 12.

[159] Smiraglia S.- Strollo M. R, in  La dispersione scolastica, op. cit., p. 223.

[160] Ibidem.

[161] Benvenuto G., I profili della dispersione: interviste qualitative agli studenti che hanno lasciato o cambiato il loro percorso di studi, in in Indagine sulla dispersione scolastica, op. cit., p. 172.

[162] Strategia, peraltro, usata anche nell’area trasversale della Ssis.

[163] Schröder H, op. cit., p. 56.

[164] Cf. Bion W.R., Esperienze nei gruppi, Roma, Armando, 1971.

[165] Conosco la scuola molto bene e le problematiche dei discenti, poiché in essa ho svolto il Tirocinio d’Insegnamento del I° Anno con la Prof. Nara Dioni  e poiché mia madre Lelia Burroni, ora in riposo, vi ha insegnato 25 anni Storia dell’Arte e Disegno.

[166] Batini F.., Struttura, metodologia e motivazioni del progetto: tra ricerca-azione e azione partecipata  , in La scuola che voglio, op. cit.,  p. 93.

[167] Batini F. Materiali e attività,  in La scuola che voglio, op. cit., p. 135.

[168] Melacarne C.,  Il punto di vista di un operatore. Cantare il disagio, in La scuola che voglio, op. cit., pp. 122-128.

[169] Si veda, per quanto riguarda i disturbi dell’apprendimento, il percorso didattico per lo sviluppo di abilità di lettura nella scuola dell’obbligo della pedagogista Maria Luisa Iavarone (Iavarone M.L, Dispersione scolastica e disturbi di apprendimento: un percorso didattico per lo sviluppo di abilità di lettura, in Cunti, A. (a cura di), La dispersione scolastica,  op. cit., pp. 201-217).

[170] Unità Didattica 3 del modulo di Pedagogia generale del 2° anno dal titolo: La Pedagogia sociale.

[171] Bottani N., La ricreazione è finita, Bologna, il Mulino, 1986, p. 86.

[172] Sulla cultura didattica e sull’educazione interculturale interessante risulta il percorso didattico proposto da Roberta Piazza che si pone il fine di abbattere gli stereotipi e di consentire “all’alunno di assumere consapevolezza dei pregiudizi vincolati dai libri di testo o dai massmedia” (Piazza R..,  La scuola e la gestione delle differenze: un percorso di educazione interculturale nella scuola dell’obbligo,  in Cunti, A. (a cura di), La dispersione scolastica, op. cit., p. 186).

[173] Brint S., op.cit., pp. 306-307.

[174] Dominici G., Manuale dell'orientamento e della didattica modulare, Laterza, Bari, 1998, p. 78.

[175] Ho insegnato Lingua Inglese al Centro Territoriale dell’Educazione Permanente del Valdarno presso l’Istituto Comprensivo Petrarca-Magiotti di Montevarchi (Ar) nell a.s. .2002-2003 in 5 corsi promossi dall’Unione Europea per un totale di 180 ore e nell’anno 2001-2002 Lingua Inglese in 3 corsi di 135 ore (Servizio Centro Territoriale Permanente).

[176] Nell’a.s corrente insegno Lingua Inglese, a progetto, nella sezione unica della Scuola Materna di Montalto dell’Istituto Comprensivo di Bucine; nell’anno 2002-2003 ho insegnato Lingua Inglese a progetto nella sezione unica della Scuola Materna di Montalto dell’Istituto Comprensivo di Bucine; nell’anno 2001-2002 ho insegnato Lingua Inglese a progetto in 2 sezioni di 5 anni della Scuola Materna di Bibbiena dell’Istituto Comprensivo Dovizi e nella sezione unica della Scuola materna di Montalto dell’Istituto Comprensivo di Bucine; nell’anno 2000-2001 ho insegnato Lingua Inglese a progetto in 2 sezioni di 5 anni della Scuola Materna di Bibbiena dell’Istituto Comprensivo Dovizi. (Servizio Scuola Materna).  

[177] Ho insegnato nell’a.s. 2002-2003 nel Tecnico Commerciale Mecenate IGEA Lingua e Civiltà Francese nella classe 4ªA e Lingua e Civiltà Inglese nelle classi 1ªA-2ªA) per 1 mese; nell’a.s. 2001-2002 ho insegnato al Tecnico Commerciale Mecenate IGEA Lingua e Civiltà Francese nelle classi 1ªA-2ªA-4ªA-5ªA e Lingua e Civiltà inglese nella classe 3ªA e sono stato Commissario interno di Francese alla Maturità commissione  ARTD00010; nell’a.s. 2000-2001 ho insegnato Lingua e Civiltà Francese per 2 mesi all’Istituto Tecnico Commerciale Buonarroti di Arezzo nella classe 1ªC e per 8 mesi nel Tecnico Commerciale Mecenate IGEA nelle classi 4ªA-5ªA e sono stato Commissario interno In sostituzione di Lingua e Civiltà Inglese alla Maturità commissione ARTP03001(Servizio Scuola Superiore).

[178] Nell’a.s corrente insegno Lingua Inglese, con incarico annuale, nella classi 1ªC-2ªC-2D-3ªC-4ªC-5C della Scuola Elementare di Pergine Valdarno-Montalto dell’Istituto Comprensivo U. Foscolo di Bucine e con incarico del Preside nelle classi 3ªA-4ªA-5A della Scuola Elementare di Mercatale in Valdarno dell’Istituto Comprensivo Petrarca Magiotti di Montevarchi; nell’anno scolastico 2002-2003 ho insegnato Lingua Italiana e Inglese nelle classi 1ªC-2ªC-2D-3ªC-4ªC-5ªC  dellla Scuola Elementare di Pergine Valdarno-Montalto  dell’Istituto Comprensivo Bucine, Lingua Inglese con incarico del Preside nelle classi 3ªA-4ªA-5ªA-5ªB della Scuola Elementare di Mercatale in Valdarno dell’Istituto Comprensivo Petrarca Magiotti e Lingua Inglese con incarico del Preside nelle classi 3ªA-3ªB della Scuola Elementare di Levane dell’Istituto Comprensivo F. Mochi e ha svolto gli esami di Licenza Elementare nelle 2 quinte a Mercatale Valdarno e nella quinta a Pergine Valdarno;  ho insegnato Lingua Inglese nell’anno scolastico 2001-2002 con incarico annuale, nella classi 1ªC-2ªC-2D-3ªC-4ªC-5ªC della Scuola Elementare di Pergine Valdarno-Montalto dell’Istituto Comprensivo di Bucine; nell’anno scolastico 1998-1999 ho insegnato Sostegno al IV° Circolo di Arezzo (Servizio Scuola Elementare).  

[179] Nell’a.s corrente insegno, con nomina del Preside, Lingua Inglese nelle classi 1ªC-2ªC-3ªC della Scuola Media di Pergine Valdarno dell’Istituto Comprensivo di Bucine (Ar); nell’anno scolastico 1999-2000 ho insegnato Lingua Inglese nelle classi 1ªA-2ªA-2ªB-3ªA della Scuola Media Don Lorenzo Milani dell’Istituto Comprensivo Pian di Scò (Ar) essendo commissario agli esami di Licenza Media e Lingua Inglese presso la Scuola Media Marcelli dell’Istituto Comprensivo di Forino (Ar) nella classe 1ªC. (Servizio Scuola Media).

[180] Cambi F., op. cit., p. 50

[181] Lumbelli L., Psicologia dell’educazione: la comunicazione. Il Mulino, Bologna, 1982.

[182] Con due di loro il rapporto esiste ancora. Lavorano entrambi da due anni in una fabbrica di acconciatura di pelli.

[183] Devo, però, ammettere che nella scuola erano presenti alunni motivati, che avevano incontrato difficoltà con insegnanti nella scuola pubblica.

[184] Una didattica della visione consiste nel progettare ogni visione di un film suddivisa in tre momenti:

Prima della visione, in cui l’insegnante deve accendere la curiosità del ragazzo, focalizzando l’attenzione sull’argomento

Visione del film

Dopo la visione: l’alunno potrà qui confrontare la risposta data dal film con la propria e con quella dei compagni.

[185] Si veda Allegato1, p. 33. Il questionario fornisce il quadro complessivo della classe e da esso emerge anche la presenza di ragazzi a rischio. Uso lo stesso questionario di entrata nelle classi del secondo ciclo della scuola elementare, mentre nel primo ciclo uso test non strutturati che richiedono ai bambini di disegnare se stessi, la propria famiglia e la propria classe..

[186] Alla fine dell’anno io e il prof. Esposito somministreremo un questionario di riflessione sull’attività didattica da noi svolta: si veda Allegato 2, p. 34 .

[187] Nelle lezioni di Lingua Francese è stata approfondita la funzione didattica del teatro in classe; nel I° Anno Ssis noi studenti di Francese abbiamo, basandoci sul testo Salutations di Eugène Ionesco, recitato la pièce, scritto il copione sulla base della nostra drammatizzazione e inventato a partire dal testo le griglie dei personaggi rappresentati, un carnet di esercizi di scrittura creativa con attività di jeux de role e di movimento, di lingua, di grammatica e di lessico.

[188] Nel mio insegnamento di Lingua Inglese ho proposto alla classe di delineare l’insegnante ideale: “Your  ideal teacher” (Il prof. Ideale). Ho chiesto agli alunni di spiegare quali fossero i problemi con i loro docenti, li ho incoraggiati a delineare le qualità del loro insegnante ideale, invitandoli a recitare la parte di quest’ultimo e a tenere, in questa veste, una lezione al resto della classe per una decina di minuti. Il loro ruolo di studente è stato, invece, ricoperto da un compagno di classe (in genere il più antipatico ai suoi occhi), vero e proprio alter ego nella dinamica ragazzo-insegnante ideale. Dopo ogni rappresentazione, gli alunni hanno dovuto commentare insieme lo sketch.

[189] Jung. C. G., L’uomo e i suoi simboli, Milano, Oscar Mondadori, 1985.

[190] Si veda Allegato 3, p 34.

[191] Il lavoro di gruppo è una risorsa psico-pedagogica, che sviluppa nel singolo allievo la disponibilità, il mettersi in gioco e le criticità nel fare teatro e scuola.