SCUOLA
DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO
SECONDARIO
DELLA TOSCANA
IV CICLO
II°
ANNO
DISAGIO
SOCIALE, ABBANDONO E DISPERSIONE SCOLASTICA
Indirizzo
Specializzando
Lingue
straniere
Massimiliano Badiali
ANNO ACCADEMICO 2003-2004
Premessa: Ssis, disagio sociale, abbandono e dispersione scolastica
p.
III
PARTE
PRIMA:
DISAGIO
SOCIALE, ABBANDONO E DISPERSIONE SCOLASTICA
1.
Introduzione
p.
1
2.
Retrospettiva
storica e normativa giuridica sulla dispersione scolastica p.
3
3.
Abbandono
scolastico e marginalità sociale
p. 7
4.
Disagi
psicologici e disturbi dell’apprendimento
p. 12
5.
Comprensione empatica e motivazione degli alunni a rischio
p. 16
6.
Una comunicazione efficace: strategie
e attività didattiche contro la
dispersione
scolastica
p. 21
PARTE
SECONDA: DIDATTICA IN CLASSE
Premessa: Ssis, disagio sociale,
abbandono e dispersione scolastica
Con il presente lavoro mi propongo di analizzare il fenomeno
della dispersione scolastica nella scuola media inferiore e superiore.
La dispersione scolastica rappresenta da sempre un fattore di rischio
nello svolgimento della funzione scolastica ed è senza dubbio uno dei
temi di maggiore interesse del dibattito sempre vivo sulla scuola
dell'obbligo. Una svolta decisiva nella scelta
dell'argomento da svolgere, è stata offerta dalla U.D. 3 del secondo
anno del modulo di pedagogia. Nell'U.D. 3[1]
la prof.ssa Maura Striano ha raccontato la sua esperienza personale di
ricerca come pedagogista sociale nel campo della dispersione scolastica
nella provincia di Napoli. Il progetto, finanziato dai fondi europei, si
poneva come obiettivo il recupero degli alunni con difficoltà
cognitive, sociali e motivazionali come prevenzione alla dispersione e
all’abbandono scolastico. Tale intervento ha previsto un primo momento
di ricerca del pedagogista, basato sull’analisi del territorio e dei
fattori a rischio d’ordine socio-culturale, cui è seguito un
intervento diretto dello stesso in classe in stretta collaborazione con
i docenti per l’attuazione di ipotesi operative e di percorsi
didattici personalizzati ed ideografici finalizzati
all’”emancipazione”[2],
al sostegno e all’aiuto degli alunni a rischio. La mancanza di stimoli
presente nel milieu socio-economico di provenienza di questi
ragazzi, aveva prodotto in loro grosse lacune nel background
cognitivo, difficoltà e carenze nella capacità socio-relazionale e una
conseguente bassa autostima. Di conseguenza è ovvio che essi
possedessero una scarsa capacità metacognitiva. Il tema della
dispersione scolastica è stato affrontato anche nell’U.D. 4[3]
del secondo anno del modulo organizzativo-normativo-sanitario, dal prof.
Gino Piacentini, che, parlando del cambiamento della scuola dai decreti
delegati ad oggi, ha sottolineato che la lotta alla dispersione
scolastica sta assumendo una centralità sempre maggiore nel dibattito
sociopsico-pedagogico degli ultimi anni, riscontrabile anche nella
molteplicità dei decreti presenti nelle normative legislative vigenti.
L’insuccesso scolastico è considerato nella nostra società una
dispersione delle risorse, poiché chi non studia rischia uno stato
sociale di marginalità e di devianza. Il compito della scuola è mutato
nel tempo e si è passati “dall’idea dell’orientamento
prevalentemente legata all’inserimento nel mondo del lavoro o delle
professioni ad una concezione più vasta e complessa che afferma il
carattere pluridimensionale, processuale e dinamico dell’attività di
orientamento”[4]
: quello di accompagnare i giovani verso una prima consapevolezza
all'essere cittadino, ed aiutarli a comprendere quali siano i percorsi
necessari per giungere alla partecipazione e alla diretta assunzione di
responsabilità nella vita organizzativa della società. La classe,
specchio della società del “Terzo millennio o società
dell’apprendimento diffuso (learning society)”[5],
assume cosi l'aspetto di una comunità “colorata" nella quale
prima il fanciullo e poi il giovane sperimenta la relazione con gli
altri e in tal modo percepisce gli elementi di contatto e di
differenziazione. Differenziazioni di genere, di temperamento, di
carattere, di facoltà intellettive e motorie[6],
ed inoltre di provenienza geografica, rappresentano le vari pennellate
della tavolozza rappresentata dalla classe; tali scambi aiutano le nuove
generazioni ad avere facile confidenza con il confronto e la relazioni
tra modi di vedere e di pensare molto diversi tra loro. Oggi si affaccia
– ha sostenuto il prof. Piacentini- anche la dispersione dei cittadini
extracomunitari, che necessita dell'attuazione di un sistema educativo
interculturale, e cioè di un sistema nel quale le culture
"altre" non siano viste come estranee ma componenti il
patrimonio della comunità nel suo insieme. Da una parte la rigida
organizzazione di sempre, centralizzata, senza ruoli definiti e
diversificati, con modalità operative stereotipate e quasi mai
efficaci, e dall'altra “la complessità di un tessuto sociale sempre
più disgregato e polimorfico” come ha espresso la prof.ssa Coniglio
nell’U.D. 1[7]
del modulo di sociologia e antropologia del 2° anno, hanno contribuito
a scavare un divario crescente tra quello che la scuola offre e quelle
che sono le aspettative generali nei suoi confronti, cioè di garantire
le funzioni di mantenimento e di integrazione del sistema sociale.
L'incomunicabilità
con tutto ciò che è ad essa esterna rappresenta oggi il tratto
distintivo di una realtà "babelica" di linguaggi che la
scuola tende a riflettere specularmente anche al suo interno. Ogni
scuola infatti oltre ad essere "monade senza finestre",
separata e autarchica, che vede infatti un continuo moltiplicarsi di
ambiti progettuali e di intervento, che quasi sempre vivono nella piena
autoreferenzialità[8].
La scuola nella
"società. dell'incertezza[9]”
deve promuovere la costruzione dell’identità del singolo discente[10],
come ha affermato la prof.ssa Gianna Maschiti, nella U.D. 1[11]
del modulo socio‑antropologico del primo anno Ssis. L’alunno
della scuola secondaria (e talvolta primaria[12]),
come ha spiegato la prof.ssa Pinto nelle U.D. 1 e 2[13]
del modulo di Psicologia del secondo anno, vive un momento di crisi
psicologica per i problemi di identità legati al momento
adolescenziale. Oltre ad essi, l’alunno di oggi si trova ad affrontare
nuovi fenomeni sociali come il passaggio dalla famiglia normativa o
tradizionale alla famiglia affettiva o allargata[14],
che prevede la convivenza di figli provenienti da matrimoni e da coniugi
diversi. La scuola si trova ad operare in contesti sociali e culturali
sempre più complessi ed eterogenei, dove gli interessi e le
motivazioni, le aspirazioni o i livelli di apprendimento raggiunti dai
singoli studenti sono spesso tanto differenti da frammentare la classe,
che risulta un gruppo sempre più disomogeneo e conflittuale. Diventa,
perciò, molto complesso interpretare le cause che determinano
l’abbandono, la dispersione, la ripetenza, in quanto esso può essere
collegato a tanti fattori come l’adolescenza, dinamismi psichici
individuali e i difficili rapporti familiari e o con la scuola e con gli
insegnanti o l’ambiente socio-economico. |
PARTE PRIMA:
DISAGIO SOCIALE, ABBANDONO E DISPERSIONE
SCOLASTICA
1. Introduzione
Il tema del disagio sociale,
nella sua relazione con i fenomeni dell'abbandono e della dispersione
scolastica rappresenta un’appassionante argomento d'indagine
interdisciplinare. La dispersione scolastica costituisce uno dei più gravi e
preoccupanti fenomeni nel mondo della scuola, specialmente in alcuni territori
delle Regioni del nostro meridione ove il tasso di dispersione scolastica[15]
è molto elevato. Con il termine dispersione scolastica si indica di solito
“una serie di fenomeni diversi e spesso riconducibili a situazioni di
inefficienza del sistema informativo, che determinano interruzioni e
rallentamenti nell'iter scolastico prima del conseguimento del titolo finale
da parte degli allievi”[16],
aumentando per essi la probabilità di confluire in situazioni
di rischio educativo[17].
Il termine dispersione è venuto a sostituire quello di selezione, come
afferma Gatullo[18],
dando al fenomeno una connotazione più morbida e meno conflittuale e
avvallando l’impressione che la responsabilità sia da attribuire agli
studenti anziché alla scuola. Non è del tutto inutile sottolineare che i
vocaboli “dispersione e disperso” sono voci che non si rifanno al latino disperdere (allontanare da una sede fissa), ma a dispergere
(spargere qua e là) e sono da interpretare come disordinata
disseminazione della fondamentale risorsa costituita dalla popolazione
giovanile nel nostro paese.
La dispersione è un
fenomeno complesso, che trova i suoi elementi costitutivi nella mancata
iscrizione, nella ripetenza, nel ritardo, nel ristagno, nell'abbandono[19],
nell'insuccesso e nella marginalità scolastica[20]
tutti eventi che assumono estrema importanza sia a livello personale sia in
termini economico-sociali. Il seguente schema[21]
presenta le cause del fenomeno:
Devono
essere distinte tre forme diverse di dispersione: l’autoselezione, che
implica l’abbandono della scuola da parte dello studente; la selezione vera
e propria del discente attraverso la bocciatura; l’emarginazione culturale
(o promozione apparente), che non implica l’acquisizione da parte degli
alunni “delle competenze minime che permetterebbero loro di inserirsi con
successo nelle sempre più complesse realtà lavorative della società
attuale”[22].
La dispersione scolastica
abbraccia tematiche di ordine sociale, culturale, economico e si riflette sul
contesto educativo e scolastico. Occorre assumere, perciò, la complessità
come dato strutturale e prendere comunque consapevolezza che la
dispersione scolastica non è riconducibile solo alle caratteristiche
personali del soggetto educativo, ma anche e soprattutto- ad un sistema di
dispersioni di cui la scuola e gli altri soggetti istituzionali devono farsi
carico. “Un approccio sistemico, che tenga conto di questa complessità
rimanda necessariamente a piani di intervento che riguardano le diverse sfere
e i contesti citati e quindi si muove in un'ottica di interistituzionalità”[23]:
necessita, quindi, di un approccio “multidimensionale”, essendo spesso
determinato da una serie di eventi ad eziologia differenziata “in cui le
diverse componenti interagiscono fra loro, combinando variamente fattori
sociali, economici, cognitivi, affettivi e motivazionali”[24].
La dispersione scolastica è, perciò, inserita in uno scenario segnato dalla
complessità:
-
complessità della società contemporanea e quindi di tutti i fenomeni
sociali;
-
complessità specifica della situazione giovanile;
-
complessità e variabilità delle interazioni scuola-famiglia-società;
-
complessità della ricerca e della valutazione dei processi educativi.
Possiamo suddividere in due gruppi i
fattori abitualmente correlati alla dispersione scolastica: i fattori
socio-economico-culturali, detti anche “fattori esogeni, ed i fattori
interni al mondo scolastico, detti anche fattori endogeni”[25].
Al primo gruppo possono essere ricondotti: la condizione lavorativa (o la sua
assenza) degli adulti della famiglia, il loro grado di istruzione, il tipo di
reddito, la necessità di lavoro minorile nell'economia familiare, nonché la
carenza di strumenti nell'ambito domestico e sociale[26],
come l'assenza di spazi per studiare, di sussidi e di supporti librari extra
scolastici, di strutture pubbliche di lettura e di incontro. Sul piano
psicologico certe gravi mancanze affettive, come il distacco dai genitori e la
sottomissione a sistemi disciplinari repressivi e punitivi, rientrano nella
formazione di condizioni di disagio riguardo alle relazioni con gli altri e
possono determinare timidezza, solitudine, scarsa assertività, che sono le
tracce di una deprivazione di competenza sociale che si riconosce negli
individui sopraindicati. Il disagio sociale nelle sue condizioni più gravi di
malessere ed estrema indigenza è all'origine di complicazioni psicologiche
rispetto alle quali la contromisura è rappresentata dall'empatia e cioè
quell'atteggiamento che induce a porsi dalla parte dell'altro per capirne le
ragioni e i motivi di disagio.
Al gruppo dei fattori endogeni
sono da ascrivere l'inadeguatezza o l'insufficienza delle strutture
scolastiche, i ritardi nelle nomine degli insegnanti, gli avvicendamenti degli
stessi, la scarsa funzionalità dell'integrazione scolastica[27].
La scuola italiana sulla carta ha emanato ed emana provvedimenti tesi a
risolvere la dispersione, che è un fenomeno sociale che mina alla base le
finalità formative della scuola nell'azione di istruzione delle giovani
generazioni. Sono presenti, inoltre, recenti proposte legislative che hanno
come soggetto gli emigranti - in specie quelli stranieri - tra i quali si
incontra uno dei più elevati livelli di abbandono scolastico, equiparabili a
quelli rilevati per le fasce più deboli della società. Gli studi sociologici
evidenziano che le condizioni economiche dei genitori e la stabilità delle
loro attività lavorative influenzano in maniera determinante il corso degli
studi dei giovani. La classe operaia e gli immigrati stranieri “incontrano,
nella stessa educazione dei figli, maggiori difficoltà legate al loro mezzi
espressivi volti a sviluppare sistemi di apprendimento relazionali che
tecnicamente differiscono da quelli analitici tipici delle classi elevate e più
idonei a sviluppare intelligenze adatte ai normali sistemi di apprendimento
scolastico”[28].
Le contromisure pedagogiche applicabili alla realtà italiana sono, a mio
avviso, rappresentati da un insegnamento diversificato, caratterizzato da una
pluralità di metodi, che tengano conto dei differenti sistemi di
apprendimento e che tenda ad un'integrazione tra i diversi stili cognitivi,
nella consapevolezza della presenza in classe di allievi riflessivi e di altri
attivi, e della pari dignità delle loro diverse nature. L'azione
dell'insegnante in questo contesto non appare più come quella di chi tende a
realizzare uno studente "standardizzato", con livelli e modelli di
apprendimento unificati, ma una visione individualizzata e ideografica nella
quale ciascuno fa uso del proprio bagaglio culturale originario e rappresenta
un caso a sé che deve essere svolto e sviluppato autonomamente.
La
scuola italiana, nonostante, come vedremo, il contributo di alcuni interventi
ministeriali, non ha ancora portato a maturazione il convincimento che il
problema della dispersione non sta nell'intervento di recupero quando il
disagio si è ormai conclamato, ma in una prevenzione che limiti la
manifestazione del problema. La scuola in sostanza deve, a mio avviso,
progettare per il raggiungimento del successo formativo, inteso come piena
realizzazione da parte di tutti al diritto allo studio, diritto spesso
disatteso nel nostro paese. Occorre quindi ridare centralità e dignità ai
soggetti dell'apprendimento: gli alunni.
I ritardi e gli abbandoni dipendono,
infatti, molto spesso dai risultati scolastici, come vediamo nello schema[29]
seguente:
Come diceva Don Milani
"la scuola è come l'ospedale, è fatta per gli ammalati e non per i
dottori".
2. Retrospettiva storica e normativa giuridica sulla dispersione
scolastica
La relazione tra il disagio sociale e
i fenomeni di abbandono e dispersione scolastica richiede, per il suo
carattere politico ‑ legislativo, una retrospettiva storica volta a
precisare l'evoluzione della scuola sin dalle sue origini. In ambito italiano
si è posta attenzione alle vicende legislative che hanno nel tempo cambiato
questa istituzione, favorendo od ostacolando l'accesso ai più vasti strati
della popolazione. L'esigenza di ampliare la base scolarizzata e combattere
l'analfabetismo si presentò già agli albori delle nazioni moderne.
Tra la fine del Settecento e la metà
dell'Ottocento in tutta Europa si avvertiva l'esigenza di istituire l'obbligo
della frequenza scolastica per tutti i cittadini, almeno a livello di scuola
popolare ‑ principio affermato in Italia, in contemporanea con gli altri
stati europei ‑ dalla legge Casati del 1859, promulgata per il Regno di
Sardegna ed estesa dopo il 1860 a tutta Italia, che “trascurò tuttavia i
problemi economici e sociali che si sarebbero dovuti affrontare e risolvere
per renderla effettivamente operante”[30]: infatti la dimenticanza
più eclatante fu l’aver omesso “di stabilire il tipo di sanzione da
comminare all’evasore scolastico(..)”[31].
Nella legge Coppino del 1876 si giungeva a concedere l’esonero
dall’obbligo scolastico “a quei bambini che sono tenuti a lavorare nei
campi in occasione della semina e del raccolto per contribuire al fabbisogno
economico[32]
della famiglia”[33]. L'inizio del XX secolo
vide il trasferimento delle scuole elementari dal controllo dei comuni a
quello statale (1911), e di conseguenza l'aumento dei finanziamenti per
l'istruzione, ed inoltre l'istituzione dell'esame di stato obbligatorio. Tutto
ciò migliorò l'efficienza della scuola. La riforma introdotta da Benedetto
Croce presentava un modello di scuola altamente selettivo che escludeva la
base sociale italiana per lo più analfabeta. I limiti del tipo di scuola
esistente in quegli anni furono individuati da Gramsci che proponeva una tesi
piuttosto moderna: in sostanza immaginava una "buona scuola formativa
aperta a tutti fino a un certo grado, accessibile ai migliori di ogni ceto
sociale per gli altri gradi”[34].
Come scrive Simonetta Ulivieri “verso l’estensione e la generalizzazione
dell’istruzione a tutti, la borghesia ebbe un atteggiamento doppio, da un
lato incentivandola e supportandola, perché direttamente collegata allo
sviluppo produttivo e all’accumulo di ricchezza, dall’altra temendola e
ostacolandola come elemento fondante di una nuova uguaglianza e dunque di
redistribuzione delle leve del potere e del benessere”[35].
I limiti della scuola crociana non furono corretti dalla riforma Gentile,
attuata a partire dal 1924, anzi essi furono esasperati. Gentile ebbe da
Benito Mussolini un anno di pieni poteri per compiere la riforma della scuola
che egli modellò dandole un profilo verticistico “a canne d'organo, modello
che è stato messo in discussione soltanto alla fine degli anni sessanta con
la liberalizzazione degli accessi universitari”[36].
Egli estese, tuttavia, l'obbligo scolastico ai quattordici anni, accogliendo
le direttive dell'accordo di Washington che aveva previsto di elevare, in
tutto il mondo civile, il livello di studio. Negli anni del fascismo i livelli
di democrazia e di libertà per gli insegnanti si andarono progressivamente
restringendo; per quanto concerne quella larga parte dei cittadini
rappresentata dai ceti popolari le cose sotto il profilo dell'istruzione non
migliorarono affatto. Nel quinquennio 1931‑36 i salari italiani erano i
più bassi d'Europa, e circa 350.000 famiglie contadine erano state espulse
dei campi nel medesimo quadriennio, un milione di ragazzi sotto i quindici
anni evadevano l'obbligo scolastico, e anche tra le classi medie la
disoccupazione era in preoccupante crescita. Sul finire degli anni Trenta
l'interesse del fascismo mutò radicalmente: si accantonò la legge Gentile, e
si perseguì l'obiettivo di una scuola non più borghese, ma del popolo e
dello stato fascista. Questo sforzo dette come esito la Carta della scuola
approvata nel 1939, altrimenti detta legge Bottai. Alla parte propriamente di
propaganda seguiva la riforma vera e propria, nella quale ci si incamminava
verso un riordino della scuola media. Nel dopoguerra la giovane democrazia
italiana si scontrò con i problemi della scuola; il dibattito in area
marxista si orientava, seguendo l’opinione di Lombardo Radice verso
l'insegnamento nelle medie delle materie scientifiche a discapito del latino.
Intorno agli anni ’50, “venticinque milioni di italiani erano privi di un
qualsiasi titolo di studio e costituivano il 60% della popolazione”[37].
Soltanto nel 1962, con la legge n.
1859 del 31 dicembre, si istituiva la scuola media unica, che sostituiva
qualsiasi altro tipo di scuola secondaria inferiore[38]
e cancellava le istanze elitarie e razziste[39]:
infatti, in ottemperanza all'art. 34 della Costituzione, era gratuita e
obbligatoria per tutti i ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Si eliminava finalmente
la discriminazione sociale degli allievi., anche in considerazione del fatto
che “il criterio ispiratore di tale scuola non è la selezione, bensì
l'orientamento”[40].
Nella situazione di tumultuoso sviluppo della scolarizzazione, si affacciarono
per la prima volta i grandi problemi della dispersione scolastica, della
selezione[41] e degli abbandoni. Quel
fenomeno conosciuto come "scolarizzazione di massa" provocò la
protesta di quei docenti che consideravano la scuola media come un ginnasio
inferiore[42].
Dopo la riforma della scuola media unica, la secondaria inferiore non
era più la scuola di chi può continuare gli studi, ma era scuola di tutti,
secondo i principi di democrazia e uguaglianza sanciti nella Costituzione.:
secondo l’art. 34 c.21[43]
della Costituzione della Repubblica Italiana,
“l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e
gratuita”. Solo con l’istituzione della scuola media unica, la
lotta alla dispersione diventava implicitamente progetto istituzionale e
scolastico. Contro l’abbandono dell’obbligo
scolastico si pronunciava anche l’art. 731 del Codice Penale[44].
Negli anni Settanta, dopo la contestazione
studentesca che si oppose “al maestrocentrismo(…), alla logica selettiva
“[45]
e autoritaria, furono varate nuove leggi per la scuola. Nel 1974 furono
emanati i decreti delegati: il primo riguardava gli organi collegiali; il
secondo atteneva allo stato giuridico degli insegnanti; il quarto dettava le
norme per la sperimentazione e la ricerca educativa.
Negli
anni Novanta l’Italia si trovava “sempre più spinta verso un’improvvisa
razionalizzazione della scuola”[46],
anche se nella pubblica istruzione pesava “l’incapacità di far fronte al
problema dell’evasione dall’obbligo, che ancora negli anni ’90 superava
mediamente il 10% e a quello della dispersione nella scuola superiore, che
andava oltre il 30%. Solo in
questi anni aveva inizio una politica tesa a diffondere la cultura
anti-dispersione, poiché il nemico numero uno del nostro sistema scolastico
era l’alto coefficiente della mortalità scolastica sia materiale (tasso di
ripetente e abbandoni) sia intellettuale (modesta qualità
dell’alfabetizzazione scolastica). Con la Circolare Ministeriale (CM) n. 254
del luglio 1989, si proponeva,
“nelle aree-pilota, l’attivazione di un osservatorio permanente
integrato”[47]
sulla dispersione, che era ribadito nella CM n. 257 del 9 agosto 1994. Con la
CM n. 339 del 16 dicembre 1992 si parlava di continuità educativa fra ordini
di scuole e di scuola di base. Importante era anche la legge n. 144 del 17
maggio 1998 art. 68, che obbligava gli studenti che avevano terminato
l’obbligo scolastico all’obbligo di frequenza di attività formative fino
al 18° anno di età. Con il
Decreto Ministeriale n. 323 del 9 agosto 1999[48]
(conosciuto come Riforma Berlinguer) si era previsto l’innalzamento dell'obbligo
scolastico da otto a dieci anni”[49].
Secondo Franco Frabboni, “il male oscuro della scuola ha reso
necessario l’intervento chirurgico della riforma della scuola (complessiva,
organica, unitaria)”[50]:
la scuola superiore quinquennale doveva, infatti, esser divisa in un biennio
dedicato agli insegnamenti comuni e in un triennio di insegnamenti di
indirizzo, che avrebbero preso corpo già nel biennio[51].
Convinzione della riforma era che si sarebbe fatta salva l'esigenza di
proteggere la coerenza verticale dei curricola e la funzione di
orientamento, in quanto sarebbe stata garantita la possibilità di compiere
ulteriori scelte di indirizzo in itinere.
Osservando l’allegato in materia di curricola della scuola di base
del marzo 1999, notiamo che le fasce deboli, quelle maggiormente interessate
dal fenomeno dell'abbandono scolastico sono osservate con occhio
particolarmente attento, rivolto in questo caso ad una nuova necessità della
scuola italiana, fattasi ormai inevitabile, ossia il confronto con i cittadini
italiani provenienti da culture "altre", collocati nella maggior
parte tra gli strati più bassi della popolazione. La riforma del 1999 voleva
far diventare la scuola strutturalmente
orientativa, offrendo a ciascun alunno la possibilità di sviluppare la sua
formazione integrale, attraverso il raggiungimento di un’educazione alla
cittadinanza, e di acquisire ed assumersi responsabilità civili e sociali. A
testimonianza del nuovo interesse per la dispersione e l’abbandono
scolastico è l’Annuario ISTAT 1999 che conteneva “ i risultati di
rilevazioni operate tramite i Provveditorati agli studi, in modo da accertare
i tassi di ripetenze e di abbandono a livello di unità scolastica (…)[52].
I dati EURISPES (Istituto Europeo di studi economici, politici e sociali) nel
settembre del 1999, nel quadro di uno studio di comparazione fra le varie
regioni d’Italia, evidenziavano un aumento della percentuale dei giovani che
frequentavano la scuola secondaria superiore (30%) e di quelli che
conseguivano il diploma (66,7 %). Consideravano, comunque, allarmante il fatto
che i livelli di scolarità degli italiani comprendesse ancora un 33% di
cittadini senza titolo alcuno[53] o con la licenza
elementare e il 54,6% con la sola licenza media[54].
Anche il Senato della Repubblica effettuava un’indagine parlamentare sulla
dispersione scolastica e la relazione conclusiva era presentata nella seduta
della Camera dei Deputati del 10 gennaio 2000 dall’On. Nando Dalla Chiesa,
che ha presieduto l’apposito Comitato istituito nel dicembre 1998 (Camera
dei Deputati - Commissione VII Cultura, Scienza e Istruzione), dove si è
evidenziato lo scarto fra il livello di scolarizzazione dei nostri giovani
rispetto a quello degli altri paesi avanzati, che permane nonostante nel
dopoguerra anche in Italia la scolarità si sia molto espansa e la selettività
ridotta[55].
Il fenomeno della dispersione nel complesso è in contrazione, ma permane
rilevante sia in aree depresse del Sud, sia in qualche area del Nord dove i
giovani trovano più facilmente lavoro, nel complesso il 45% giunge a
completare la scuola secondaria superiore, agli inizi della quale la
dispersione è assai rilevante soprattutto per i maschi e in certi tipi di
scuola, e si lega soprattutto al livello economico-culturale delle famiglie.
La seconda indagine sulla dispersione scolastica si è svolta al Liceo
Scientifico "A. Righi” con lo scopo preciso di colmare le lacune che
ancora oggi si registrano nelle analisi sui diversi aspetti degli insuccessi
scolastici[56].
Il Ministero della Pubblica Istruzione, così, negli ultimi anni dedica
particolare attenzione al fenomeno della dispersione, con l’emanazione di
provvedimenti legislativi e normativi, ispirati all’autonomia scolastica[57],
che prevede l’avviamento di interventi su scala nazionale, chiamando le
scuole a una partecipazione attiva e progettuale in termini di prevenzione,
oltre che di lotta ai fenomeni di abbandono.
Le politiche sociali italiane
si sono aperte ad un sistema di maggiore integrazione di enti (Comune, Asl,
Provveditorato agli studi, Ministero di Grazia e Giustizia) e di consultazione
e concertazione con l'associazionismo, il privato sociale e il volontariato.
In questi ultimi anni i Provveditorati agli Studi hanno svolto un ruolo
importante nella lotta alla dispersione scolastica, promuovendo indagini sul
fenomeno, attivando specifiche iniziative di formazione per docenti e capi
d'istituto, assumendo un ruolo di coordinamento tra le istituzioni
scolastiche. La costituzione degli Osservatori sulla dispersione scolastica,
provinciali e di area, ha rappresentato la volontà di affrontare il problema
in un'ottica sistemica, interistituzionale, capace di contrastare le diverse
componenti (socioeconomiche, psicologiche, relazionali, didattico-educative,
sanitario-assistenziali) che determinano la complessità, e al tempo stesso la
diffusione del fenomeno. In particolare i Progetti Educativi d’Istituto
(PEI) e i Piani dell’Offerta Formativa (POF) sono stati considerati
significativi, poiché la “documentazione prodotta costituisce la
rappresentazione visibile dello stato attuale della progettazione scolastica,
educativa (…)”[58]
e, come vedremo, laboratori di strategie didattiche per il recupero e
la prevenzione degli studenti a rischio.
Il Governo italiano attuale sta
prendendo tuttora delle misure più virtuali che reali, per arginare il
fenomeno crescente della dispersione, che ora coinvolge sempre più non solo
cittadini italiani, ma anche extracomunitari[59]. Anche il Presidente
della Repubblica Ciampi, nel messaggio inaugurale del 2004 ha fatto un
riferimento alla scuola e a due questioni di fondo: la dispersione scolastica
e l’integrazione degli alunni stranieri.
La lettura dei dati delle relazioni e
delle inchieste sulla dispersione scolastica, ripropone il divario tra il Nord
e il Sud del nostro paese. Al Sud i giovani lasciano la scuola per
problematiche legate prevalentemente al disagio sociale (inefficacia dei
percorsi educativi e formativi, povertà delle risorse culturali, mancanza di
prospettive di lavoro); al Nord, la causa principale è in generale, lo
sviluppo abnorme dei servizi, all'interno dei quali il servizio scolastico si
trasforma in un servizio tra i tanti, considerato
lungo, difficile, poco appetibile rispetto ai percorsi professionalizzanti,
che permettono di entrare facilmente e rapidamente nel mondo adulto
dell'autosufficienza economica. Nel sud Italia la dispersione in certe zone è
un fenomeno dilagante: a Catania, ad esempio, prima di combattere la
dispersione scolastica, è necessario che certi quartieri, “allucinanti e
squallidi (…) alla mercé di boss e spacciatori, capibastone e procacciatori
di voti”[60]
siano provvisti di garanzie, di ordine pubblico e di scuole che ancora mancano
come: scuole materne, adeguate strutture scolastiche ecc.. In un’indagine
sociologica Tullio De Mauro ritiene che le cause della dispersione e
dell’abbandono scolastici per gli studenti dell’Italia meridionale siano
da attribuirsi anche agli svantaggi scolastici derivanti “dalla dominanza
dialettofona”[61], “dall’inesistenza
totale di servizi di pubblica lettura”[62],
dalla mancanza di informazione e di carta stampata”.
La
dispersione va combattuta soprattutto sul territorio: sono moltissime oggi le
iniziative di associazioni o gruppi che soprattutto nel Sud Italia si
impegnano: in uno dei quartieri più problematici di Napoli[63] il quartiere Barra[64], sono stati i genitori ad
andare a scuola. Infatti, in queste realtà la collaborazione delle famiglie
è essenziale, affinché i ragazzi acquisiscano una "cultura della
cultura". Il coinvolgimento dell'ambiente domestico è una strategia che
è stata adottata anche a Palermo[65].
Anche a Lecce la dispersione scolastica è un fenomeno particolarmente grave,
dal momento che ogni anno almeno mille e duecento ragazzi lasciano il biennio
di scuola secondaria. Nella nostra Toscana, a Pisa è stata condotta una
ricerca[66]
che ha coinvolto studenti degli ultimi quattro anni della scuola dell'obbligo
ed il titolo di studio dei loro genitori. I risultati hanno rivelato che
spesso il rendimento scolastico dei ragazzi è condizionato dal livello
culturale dei loro genitori.
3.
Abbandono scolastico e marginalità sociale
La presenza crescente nel nostro paese di aree degradate in cui attecchisce un tessuto malavitoso,
la mancanza o l'inadeguatezza di un supporto per la condizione giovanile di
tipo istituzionale volto ad orientare o a fare
da filtro ai comportamenti sociali, la mancanza di relazioni significative
nel rapporto genitori‑figli sono
le maggiori cause del disagio giovanile[67].
Come rilevato attraverso una ricerca sul rapporto tra degrado urbano e devianza
giovanile su quartieri di aree
metropolitane[68],
concorrono maggiormente all'emarginazione
dei giovani l'inadeguatezza o la mancanza della
famiglia, che non svolge il suo ruolo di agenzia degli affetti e della
razionalità e la carenza dell'ambito scolastico
come agenzia educativa. La scuola è molto
spesso organismo di stato: in uno stato borghese - come sostiene il sociologo
Althusser‑ la scuola, attraverso gli apprendimenti,
riflette l'ideologia dominante cioè “la
riproduzione delle condizioni determinate dalla logica della produzione
economica"[69] :
per questo è proprio l'istituzione scolastica che spesso ‑
come affermano, i sociologi
Bourdieu e Passeron‑
stabilisce nell'apprendimento "una forte
selezione tra gli studenti appartenenti alle classi medio-alte e quelli delle
classi popolari”[70]. L'organizzazione
capitalistica del lavoro, oltre a definire quell'insieme
di regole organizzative
tese a migliorare l'efficacia e l'efficienza produttiva, ha inciso in modo
significativo sui processi di socializzazione dell'individuo,
sulla formazione dell'identità personale, non
che sul sistema scolastico: se prima la famiglia costituiva l'istituzione
principale per la formazione culturale e lavorativa dell’individuo,
ora la scuola,. il gruppo dei pari, il sistema di comunicazione di massa compiono alcune funzioni
svolte in origine dal gruppo primario.
“Quando, per qualsiasi fattore, esogeno o endogeno al ragazzo e/o
all’istituzione scolastica, si sviluppa una condizione di malessere non
episodico, si può parlare di disagio scolastico, da cui spesso, deriva come
esito principale, la dispersione”[71].
E’ sul disagio che si dovrebbe intervenire, poiché in esso ancora “spazi
di manovra e di azione”[72].
Il disagio scolastico è purtroppo una condizione che, a vari livelli di
intensità, investe tutte le componenti educative e sociali; da un lato lo
studente che assorbe in maggior misura l'effetto negativo della condizione,
dall'altro l'insegnante che comunque vive in prima persona le difficoltà ed i
problemi interni al sistema; la famiglia che riflette nel suo equilibrio la
qualità dell'andamento scolastico; l'ambiente, che rimanda la lettura del suo
livello culturale alla sommatoria delle varie situazioni e problemi sociali,
compresa la scuola; l'amministrazione pubblica che ancora non riesce ad
incidere sostanzialmente sulla qualità della scuola. I circuiti
attribuzionali sulla dispersione “sono espressione delle diverse
responsabilità socialmente associate ai ruoli di alunno, genitore, insegnante
e amico”[73].
Pertanto il disagio scolastico esprime la sintesi di una catena che abbraccia
l'intero sistema politico-sociale di un Paese. Esistono,
dunque, intime connessioni fra tipi di società e contenuti dell'educazione.
Come ha evidenziato Durkheim
i valori e le norme morali non hanno alcun fondamento assoluto, ma variano a
seconda delle caratteristiche delle società a cui appartengono.
Nella società contemporanea
la scuola, in quanto organismo sociale, risente della crisi ideologica e valoriale del nostro tempo. E' una scuola nella società dell'incertezza.
Lo scetticismo di cui si nutre il nostro tempo ha portato al crollo
dei valori tradizionali (verità, virtù, onestà, solidarietà). La società
vive una crisi nei valori che "genera anche una crisi nell'educazione”[74].
La scuola contemporanea, infatti, “appare un
cantiere aperto ricco di contraddizioni”[75],
poiché è presente “uno scollamento tra l’apparato simbolico esistente
all’interno della scuola e la pluralità dei messaggi che i ragazzi ricevono
fuori di essa”[76] e la dispersione
scolastica segnala il “momento di crisi del sistema scolastico con mancata
osmosi tra l’ambiente scuola e l’ambiente sociale (..)”[77].
Per questa mancanza di riferimenti etico‑morali,
a cui si aggiungono problemi familiari e carenze affettive od emarginazione
sociale, gli adolescenti, durante la formazione della loro personalità, si
sentono "inadeguati” e sentono un intimo e
intrinseco bisogno di significato. Nessuno sa aiutarli a capire chi sono:
molto spesso neppure i loro insegnanti!
La
dispersione dipende, come emerge negli studi sociologi, dalla mancanza di
reali condizioni di uguaglianza, e pertanto di pari opportunità nel mondo
della scuola, tra allievi provenienti da classi sociali diverse. La lettura
sociologica dei fenomeni di selezione scolastica legati ai processi formativi
ha così contribuito ad evidenziare il profondo intreccio che esiste tra la
dispersione scolastica e la stratificazione sociale, attraverso la relazione
intercorrente tra “ il tasso di proseguimento agli studi e la distribuzione
nei vari settori di istruzione e
classe sociale di appartenenza, con l’origine geografica e culturale, con il
titolo di studio e l’occupazione dei genitori, con la collocazione urbana e
rurale”[78],
senza trascurare che è nei rapporti quotidiani della classe che si realizza
di fatto la selezione.
E’ oggi, inoltre,
opportuno allargare la riflessione alle minoranze etniche[79]
e ai ceti deboli, poiché per certi aspetti le dinamiche di approccio e di
riflessione attorno all'istruzione vedono questi gruppi accomunati, e spesso
le definizioni coincidono. E' in un'ottica di questo genere che possiamo
affermare che i processi di integrazione non riguardano esclusivamente i
componenti delle comunità straniere che vivono e lavorano nel nostro
territorio, ma interessano anche coloro che emigrano da Sud verso Nord, coloro
che dalla campagna o dalla montagna si spostano in città, coloro che per le
caratteristiche ambientali nelle quali vivono trovano particolari difficoltà
ad integrarsi e ad avviare un processo regolare di apprendimento nell'ambito
scolastico. Tra questi vi sono coloro che vivono in condizioni di malessere
sociale, ma anche chi, pur in condizioni di sufficiente benessere, non può
permettersi di sostenere le ingenti spese necessarie per il sostentamento agli
studi. A questi si debbono aggiungere quegli individui che sotto il profilo
psicologico appaiono maggiormente deprivati di competenze sociali poiché
anch'essi entrano a far parte del gruppo rappresentato dalla classe ed
occupano, all'interno di essa, un'area marginale che spesso presagisce
fenomeni d'esclusione e di emarginazione, fenomeni che, in molti casi;
diventano sempre più gravi in relazione alla classe sociale e all'ambito nel
quale si sono sviluppati. Il disagio in questo caso come si può ben capire ha
come terreno d'espressione il campo psicologico e si manifesta tramite
espressioni quali la solitudine, la timidezza, la non assertività o anche con
la presenza di veri e propri problemi sessuali[80], ma anche tramite
l'aggressività o l'irrequietezza. Se si accetta un quadro generale di questo
genere, che appare già a prima vista piuttosto vasto e variegato, possiamo
intravedere come l'azione dell'insegnante non possa non tenere conto delle
diversità presenti nella classe, e come egli sia chiamato ad un'intensa
azione pedagogica e psicologica volte ad avvicinare mondi assai lontani tra di
loro: questa in fondo è la grande scommessa che va anche al di là degli
insostituibili bisogni di educazione e cultura dei quali tutti i giovani sono
grandemente bisognosi.
Per questo è
rilevante il saggio di Steven Brint, in specie per la sua capacità di
individuare e delineare il ruolo della scuola nelle società moderne. Alla
luce dei fatti, in buona parte dei paesi del mondo i risultati scolastici
rappresentano la prerogativa principale per il conseguimento di una migliore o
peggiore carriera professionale ed indirettamente, ma consapevolmente una
maggiore o minore ricchezza e rilevanza sociale. Il terreno dell'indagine
dell'autore è rappresentato da un'attività di confronto tra la scuola
statunitense e i modelli europei ed asiatici. L'osservazione che apre la
questione è quella secondo cui la scuola rappresenta ovunque il principale
strumento di selezione sociale, poiché è lo strumento primario nei processi
di orientamento al lavoro in tutto il mondo industrializzato, per questo anche
se non tutti i ragazzi studiano a dovere, tutti sono giudicati in funzione
della loro resa scolastica, ed è questo che ne definisce in prospettiva la
collocazione sociale. Pertanto, come sostiene l'autore, “1a scuola è
importante sia per la mobilità sociale sia per la riproduzione delle
diseguaglianze"[81].
Infatti, come è noto, ad un maggiore titolo di studio risponde un maggiore
reddito individuate, aspetto che si accresce con l'aumento dell'età del
lavoratore, L'autore ricorda come nella società statunitense sussista il
mito, espresso da Abraham Lincol dei self‑made
Man e cioè dell'uomo che si è fatto da solo, ma che poi nella realtà
questa figura abbia avuto un'importanza piuttosto marginale. Il crescente
valore della cultura nella società moderna ha dato vita al “credenzialismo”. Con questo temine gli scienziati sociali
designano il monopolio dell'accesso a quelle che sono le professioni più
prestigiose e pagate in misura maggiore da parte di coloro che detengono una
laurea e questo criterio è stato valido anche per le ex nazioni socialiste.
L’organizzazione “credenzialista” della società statunitense ha reso
necessaria la laurea per l'occupazione della totalità dei ruoli di lavoro più
prestigiosi e remunerativi, rivelandosi indispensabile anche per l'ambito
commerciale; per gli altri ambiti, per i quali sino ad allora non era
richiesta, si è affermata la necessità della laurea breve. Il
"credenzialismo" era visto sin dall'inizio da coloro che ne
approvavano i principi come un ascensore nel quale ciascuno poteva entrare
allo stesso piano e poteva uscire laddove i meriti scolastici lo avrebbero
condotto[82].
Gli
studi di W. Lioyd Warner, sociologo, misero in luce come l'intensa
competizione intellettuale non favorisse minimamente i giovani provenienti
dalle classi lavoratrici, anzi al contrario li ostacolasse. L'immagine che si
venne profilando non fu pertanto quella di un ascensore, ma piuttosto quella
di un nastro trasportatore che conduce gli individui non molto lontano dal
punto dal quale sono partiti: pertanto la scuola era considerata come un
efficace riproduttore delle diseguaglianze già presenti nella società, poiché
le reiterava da una generazione all'altra, rafforzando i vantaggi e gli
svantaggi che caratterizzavano i ragazzi provenienti dai diversi ambiti
sociali. Queste due differenti visioni della scuola hanno dato vita
rispettivamente al modello meritocratico, e alla teoria della riproduzione
sociale; il primo si volge alla formazione di una élite di uomini e donne di
talento provenienti da tutte le classi sociali volte a governare la nazione,
il secondo individua in questa operazione una sostanziale ingiustizia, dicono
infatti Samuel Bowles ed Herbert Gintis che " per riprodurre la forza
lavoro, la scuola è destinata a legittimate la disparità, a livellare lo
sviluppo personale a forme compatibili con la sottomissione all'autorità e a
concorrere alla rassegnazione della gioventù al proprio destino"[83].
L'esempio adottato è quello di una ipotetica ragazza ispanico‑americana
che studia in una scuola statunitense, e alla quale, se pur molto dotata, ben
presto i problemi linguistici producono un ostacolo difficilmente superabile;
le reazioni conseguenti, nel caso che la famiglia patema non disponga di
particolari mezzi economici, che !'ambiente dei ragazzi che frequenta sia poco
interessato allo studio, e che i genitori provino imbarazzo nel confrontarsi
con gli insegnanti, saranno quelle di un rapido affievolimento della sua
“meritorietà” iniziale. Le ricerche sul campo hanno tuttavia dato
risultati più confortanti, infatti è stato messo in luce come invece una
certa quantità di mobilità sociale esista e sia piuttosto consistente, in
parte dovuta ad un alto rendimento scolastico, che deve però essere unita ai
vantaggi dati dalla classe sociale di appartenenza.. Si compiono numerosi
spostamenti nel passaggio da una generazione all'altra, che di norma
interessano, sia che avvengano in senso ascendente o al contrario
rappresentino una forma di regresso, classi contigue tra loro. Sembra cosi che
tanto il modello meritocratico che quello della riproduzione sociale si
dimostrino nella loro integrità, inadeguati a rappresentare l'effettivo
flusso degli spostamenti compiuto dalle persone nella scala professionale e
sociale.
Tuttavia tornando
al nostro obiettivo principale, ossia l'identificazione del rapporto esistente
tra il disagio sociale e l'abbandono ed ancor più la dispersione scolastica,
è opportuno osservare il diagramma studiato da Pisati[84],
riguardante l'Italia. In esso si può costatare come l'acquisizione di un
diploma di scuola media superiore, pertanto non l'obbligo di studio in quanto
tale, ma il minimo titolo necessario ad accedere ai lavori meglio remunerati e
più rappresentativi della società, sia stato negli ultimi ottant'anni
fortemente legato alle condizioni della famiglia di provenienza (cfr.
grafico). Le curve degli anni venti‑sessanta, pur con una generale
crescita, sono simili a quelle che riguardano gli ultimi quarant'anni. Da
questo grafico si rileva soprattutto la particolare attenzione rivolta dalle
classe medio-alte all'acquisizione di un titolo di studio, ed al contrario
l'apparente disinteresse dei ceti agrari ed operai, ad ottenerlo. Secondo
Tullio De Mauro nell’Italia meridionale l’attenzione allo studio da parte
dei ceti bassi è inferiore, “poiché la scuola nel Sud non è in grado di
fronteggiare i problemi e di supplire a quelle che sono carenze private,
carenze della società civile e della sua cultura”[85].
Il sociologo conclude che nel Sud Italia:
“La marginalità socioculturale e linguistica dei
padri ricade sul capo dei figli. E i figli, sospinti fuori della scolarità
formale o, entro essa, ai margini di sostanziali acquisizioni critiche e
intellettuali, preparano una rinnovata e degenerante marginalità per sé e
per i gruppi sociali e gli ambienti di appartenenza”[86].
Al contrario, la
società scandinava ha raggiunto ottimi risultati nella ricerca delle pari
opportunità, e, come sostiene Jonsson, la maggior possibilità, di cui godono
gli operai e le loro famiglie, è essenzialmente attribuibile ad un
livellamento delle condizioni di vita dovute all'attenuazione delle differenze
di reddito e all'azione del Welfare state"[87], ed inoltre al fatto che
sono venute meno le condizioni estremamente faticose del lavoro manuale, cosi
da concedere ai genitori, impiegati in questi settori, più tempo per
l’educazione e l'incoraggiamento dei figli. In Italia la situazione è
differente: dobbiamo ricordare che in Italia ancora vi è un 5% di ragazzi che
non concludono la scuola dell'obbligo (dati 1995‑96) cosi come il 24% si
ferma prima di acquisire un diploma superiore. Dalla stessa ricerca si evince,
per quanto riguarda la dispersione scolastica, che un 12% abbandona subito
dopo il conseguimento della terza media, mentre oltre il 18% dei diplomati non
si iscrive all'università. Infine, ad un livello superiore, del 40% di coloro
che si iscrivono all'università solo poco più dell'11% consegue
effettivamente la laurea. Alla luce di questi dati, confrontati con quelli del
diagramma relativo alle professioni esercitate dai padri in funzione
dell'acquisizione del diploma di scuola media superiore, si può dedurre che i
figli delle classi meno agiate presentano obiettive difficoltà nel conseguire
titoli di studi adeguati, cosi da stimolare un preciso interrogativo, e cioè
quali siano le cause di tale divario, e se vi siano o meno delle contromisure
pedagogiche efficaci nell'azione didattica, utili per quegli elementi
provenienti dalle classi sociali particolarmente disagiate. Preso atto con
Bernstein che l’istruzione scolastica si basa su un codice linguistico
elaborato tipico della classe media, anziché sul codice linguistico ristretto
diffuso nella classe operaia", bisogna anche aggiungere che i tempi sono
cambiati e che i mezzi di comunicazione di massa hanno reso più uniforme la
cultura e la consapevolezza soprattutto linguistica di ogni genere di
persona,. E’ da considerarsi ancor oggi pienamente adeguato il modello
proposto dal sociologo Bourdieur relativo all'abitus
che ogni appartenente ad una classe sociale riveste e che viene passato alle
nuove generazioni. L'abitus rappresenta
quel complesso di credenze e aspirazioni che si apprendono in ambito familiare
e dalle persone che compongono più generalmente la cerchia ambientale. Se
allo studio viene attribuito un valore positivo sia dalle classi medie che da
quelle alte, più difficile appare la situazione tra la classi a basso
reddito. L’osservazione si sposta infatti sulle difficoltà enormi vissute
da alcune famiglie a basso reddito e sulla loro totale impossibilità nel
progettare e tanto meno organizzare un processo di studi regolare per i propri
figli. Un po' diverso è il ragionamento riguardante le famiglie operaie che
vivono una condizione di sostanziale stabilità; in tali circostanze
l’abitus di classe dei ragazzi può variare: si va dalla totale conformità,
adottato da una minima parte e accompagnata da un generale senso di
inadeguatezza rispetto alta scuola e ai suoi strumenti, al rifiuto e alla
derisione della scuola; altri ancora si chiudono dietro il muro dei silenzio,
nei quale celano un fortissimo senso di risentimento. Cosi, come ha affermato
Steven Brint:
“La costruzione dell'identità di uno studente è
tutt'altro che facile per i figli della classe operaia, per quanto siano
dotati, se non sono stati esposti ad attività intellettuali o aspettative
elevate fra le mura domestiche. Nel processo di costruzione dell'identità di
“bravo studente”, l’alunno deve superare alcuni ostacoli come affrontare
e superare sfide difficili; accettare etichette che potrebbero sembrare
inadeguate o essere sgradite (intelligente, ambizioso); sconfiggere i dubbi;
gestire lo scetticismo o persino l'ostilità di amici e familiari. Gli
scrittori Richard Hoggart e Richard Rodriguez hanno fornito ritratti
esaurienti di ragazzi di origine operaie che riescono a scuola, assorbono i
saperi come una spugna, accumulano borse di studio, ma nonostante tutto non
sviluppano alcun senso di comprensione intima delle opere che hanno studiato
in maniera cosi ossessiva. Molti sono tentati di rinunciare ed effettivamente
finiscono per abbandonare”[88].
Possiamo pertanto cercare
di giungere ad una conclusione che coinvolga anche le minoranze etniche
tenendo conto di quelle che sono le esperienze dei paesi nei quali i flussi
migratori sono presenti da lungo tempo, per poter poi cercate le strade più
opportune alla riduzione delle differenze Possiamo cosi dire che la classe
sociale, la razza e l'etnia e il genere sono i maggiori criteri di
differenziazione sociale. Queste divisioni sociali non contribuiscono però
nella stessa misura a determinare il successo e l'insuccesso scolastico.
L'appartenenza di classe[89]
influisce notevolmente sulle prestazioni scolastiche quasi ovunque, in questo
presenta nessi sistematici con la distribuzione sociale delle risorse
culturali e dei livelli motivazionali. Le minoranze altamente subordinate
incontrano vincoli nell'occupazione e nella segregazione residenziale e sono
stigmatizzate dalla cultura dominante. Questi gruppi danno luogo in maniera
sistematica a prestazioni scolastiche scadenti. I gruppi razziali ed etnici
che invece si assimilano velocemente di solito sono costituiti da immigrati
volontari, che possiedono competenze commerciali e urbane e spesso hanno
tradizioni religiose che danno molta importanza alla parola scritta.
Il disagio scolastico è studiato, come sostiene Luciano Corradini, da
più di un secolo sia dalla sociologia che dalla psicologia e a fasi alterne
“le responsabilità degli insuccessi sono state attribuite all’individuo o
alla società, alle determinanti biologiche o a quelle sociali della
personalità. In particolare si è sviluppata una lunga disputa, su basi
empiriche non meno che su basi ideologiche, tra chi privilegiava i fattori
innati e chi privilegiava i fattori acquisiti, in rapporto al problema
dell’insuccesso scolastico (..)”[90]
. Non bisogna accreditare come risolutiva nessuna di queste ipotesi, poiché
l’apprendimento è un’operazione che presuppone una serie di precondizioni
sociologiche e al contempo psicologiche, necessarie a determinare la
motivazione scolastica.
4. Disagi
psicologici e disturbi dell’apprendimento
La lotta contro l’esclusione e la marginalità richiede, perciò,
anche la conoscenza dei motivi psicologici dell’abbandono scolastico; è
necessario, quindi, indagare anche sugli aspetti cognitivi, emotivi e
affettivi del disagio degli alunni e tentare di delineare forme d’intervento
per il recupero e la prevenzione delle loro difficoltà di apprendimento e di
inserimento sociale. Come sottolinea Paolo Orefice, spesso la dispersione
scolastica nasce da “un disagio del ragazzo, una sua sofferenza che non si
vede, che è dentro di lui e che noi siamo portati a qualificare secondo
giudizi avventati, perché non ci siamo messi in questa ottica psicologica”[91].
I fenomeni della dispersione e dell’abbandono scolastico non sono
riconducibili ad una sola causa, ma ad una pluralità di variabili intrinseche
o psicologiche (disturbi dell’apprendimento, disagio e insuccesso
scolastici, oppure handicap[92]
o sofferenza mentale) e estrinseche o sociologiche (condizioni
socio-economiche e familiari).
Tra i fattori intrinseci è necessario considerare “le differenze
interindividuali, nella descrizione di possibili percorsi di tipo adattivo o
disadattivo”[93].
In base al potenziale individuale di apprendimento, che è “il
prodotto composito e integrato di elementi biologici, contestuali e culturali,
che si esprimono nella relazione tra la dimensione intrapersonale e
quella interpersonale, tra il mondo interno e il mondo esterno del soggetto”[94],
alcuni pedagogisti e psicologici americani hanno coniato il termine di stile
cognitivo, che si riferisce alla modalità con cui ciascun fanciullo tende a
selezionare e a elaborare le nuove informazioni, partendo da stimoli esterni:.
“Gli
psicologi cognitivi sono certi che i bambini adottano differenti stili e
strategie di apprendimento, ma non concordano su quali definire migliori.
Certi studenti sono predisposti ad apprendere tramite osservazioni riflessive
e altri tramite sperimentazioni attive. Alcuni hanno bisogno di tradurre le
lezioni nei termini delle loro esperienze concrete, altri strumenti, pongono
domande, fanno commenti. Quelli più riflessivi possono trovarsi a disagio in
un ambiente troppo movimentato e riescono ad apprendere meglio nella
tranquillità della lettura o ascoltando la lezione dell'insegnante [Boocok
1972, 129‑133], Il maestro esperto combina diversi metodi di
insegnamento per mettere a loro agio sia gli studenti attivi che quelli
riflessivi"'[95].
Nei percorsi di adattamento e disadattamento psicologico, “Quinton e
Rutter (1988) hanno evidenziato il ruolo chiave evidenziato dalla scuola nel
delineare percorsi di tipo adattivo”, che consiste nella motivare l’alunno
nel rendimento scolastico. Il comportamento motivazionale adattativo è
caratterizzato da una motivazione intrinseca di “autodeterminazione
controllo”[96],
che crea una perseveranza elevata ed efficace di fronte alla difficoltà e
perseveranza di fronte agli ostacoli e sul piano emotivo sentimenti di
fierezza e soddisfazione in rapporto con la quantità di sforzo. Il
comportamento motivazionale non adattativo, invece, si traduce in una
condotta di evitamento di fronte ai problemi da risolvere e nella fuga davanti
alle difficoltà scolastiche, che richiedono impegno e motivazione e spesso in
isolamento psichico dipendente da mancanza di socializzazione[97].
Se la motivazione[98]
ad apprendere “è una spinta grazie alla quale l’allievo adotta
comportamenti positivi, quali mostrarsi desideroso di acquisire nuove
conoscenze e impegnarsi a persistere nello studio”[99],
la demotivazione è uno stato di mancanza o di assenza “distribuita” tra
allievo, insegnante e famiglia. Secondo
Abraham Maslow, la motivazione nasce dai bisogni individuali[100].
L’apprendimento nasce, per lo psicologo, dal “desiderio di conoscere e
capire”, che è uno dei bisogni umani più elevati, nella gerarchia dal più
pressante al meno urgente:
I fattori socio‑ambientali
(estrinseci) e individuali (intrinseci) si riflettono, perciò, nel disagio
scolastico: quando un ragazzo ricerca sicurezza e protezione (bisogni di
sicurezza) nella scuola e nella famiglia e non trova aiuto, il suo
atteggiamento emotivo si manifesta nella frattura della comunicazione (scarsa
partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di
disturbo, cattivo rapporto con i compagni, ma anche assoluta carenza di
spirito critico): questi atteggiamenti non permettono al soggetto di vivere
adeguatamente le attività di classe e di apprendere con successo. Alcuni
ragazzi giacciono annoiati tra sedie e banco durante le ore di lezione e
mostrano una forte insofferenza nell’affrontare i doveri di studenti,
rivelando una forte difficoltà
di apprendimento di carattere prevalentemente motivazionale. Come evidenzia la
Riva, “la motivazione profonda dell’adolescenza è la scoperta della vita
nella sua realtà dinamica e nel rapporto da stabilire fra la propria
soggettività e la realtà esterna”[101].
Negli studi di psicologia dell’età evolutiva, si ritiene che anche il
fattore[102]
dell’età influisca sul disagio scolastico: dai 12 ai 18 anni l’individuo
attraversa una fase di accrescimento che comporta una vera e propria mutazione
di stato in cui si verifica il difficile passaggio dalla condizione di
"bambino" a quella di "adulto". L’adolescente, infatti,
impressionato dalle improvvise e rapide trasformazioni del proprio corpo ed
imbarazzato dai nuovi stimoli e dalle nuove pulsioni che ne derivano, finisce
per andare incontro ad una vera e propria "crisi di identità"[103],
non sapendo più esattamente né chi è né come deve comportarsi. Questo
momento di sviluppo- come evidenzia Cacciaguerra- “è una burrasca violenta perché lo stato di ansia confina
con il panico e nella loro solitudine interiore il ragazzo e la ragazza sono
presi da confusione, incubi, irrequietezza.”[104].
L'adolescenza è dominata anche da oscillazioni e contraddizioni tra la voglia
di crescere e la paura di abbandonare l'infanzia. Imparare vuol dire anche
rinunciare all'irresponsabilità e alla dipendenza dall’adulto:
l'adolescente sente spesso il suo impegno e il suo successo nell'apprendere
come minaccia alla propria libera espressione. Se l’insegnante è abile
nell’integrare le attività espressive, immaginative e ideative innate
nell’alunno con la curiosità scientifica prodotta dagli stimoli esterni,
allora riesce a far nascere in lui una partecipazione autoconsapevole che
produce una crescita cognitiva in ogni disciplina. In questa dinamica di
crescita, si creano in certi adolescenti difficoltà psicologiche o sofferenze
mentali come la fobia della scuola: questi studenti hanno paura del contesto
di esame, di interrogazioni vissute come inquisizione e come strettamente
legate al proprio concetto di autostima che la scuola impone loro[105].
L'apprendimento contiene in sé anche significati particolarmente temibili e
minacciosi per l'identità dell'adolescente. Il processo dell'imparare implica
infatti esperienze di incertezza, confusione e incomprensione, ed espone
naturalmente a rischi di fallimento, di frustrazione e di fatica. Per i
ragazzi è spesso cosa difficile e fonte di ansia tollerare lo stato di non
conoscenza, la sensazione di caos, di non comprensione e controllo del nuovo
da acquisire. L'oscurità dei contenuti da apprendere, la difficoltà a
trovare un senso che organizzi le nozioni e l'impotenza a controllare quelli
che appaiono frammenti di conoscenze confusi e oscuri sembrano proprio una
metafora dello stato di incertezza e impotenza così tipica dell'adolescenza.
L'apprendimento, insomma, può essere per l'adolescente un'esperienza che
ripropone e condensa le emozioni, i conflitti, e le ansie più intensi,
attuali e temuti. In effetti se il successo scolastico implica senso di
potenza, crescita, controllo, l'insuccesso o il timore di insuccesso implicano
senso di impotenza, che può divenire impotenza appresa, generando
atteggiamenti depressivi, come sostiene Seligman, diffusi a tutta la sfera di
vita sociale dell’alunno, sfiducia in sé, paura del giudizio, inadeguatezza
a controllare il mondo esterno. Le emozioni connesse all'apprendimento
condizionano fortemente le vicende scolastiche e i contenuti appresi, anche in
virtù della memoria episodica, a cui si legano. Tali vicende scolastiche
portano spesso lo studente su una posizione difensiva rispetto ai rischi
temuti e su una “resistenza passiva”[106],
o su una posizione di fuga dal compito, di abbandono preventivo o ancora, su
una posizione "aggressiva" di attacco al " nemico" che può
svelarne le debolezze.
La maggiore o
minore capacità di affrontare positivamente gli impegni e le difficoltà
scolastiche non può essere spiegata facendo riferimento soltanto a
caratteristiche individuali, senza tener conto che il bambino e
l’adolescente affrontano questo compito evolutivo in un contesto scolastico
influenzato però sia dall’ambito sociale che familiare. I fattori
estrinseci che influenzano l’apprendimento sono
prevalentemente di natura socio-culturale, socio-economico e familiare e
istituzionali.
I fattori socio-culturali sono riconducibili ad una certa disparità di
livello delle prestazioni intellettive date da soggetti appartenenti a
contesti culturali diversi, poiché ogni individuo assimila la cultura del
gruppo d'origine e di conseguenza, se deve ampliare il suo contesto
d’appartenenza, può incontrare delle difficoltà cognitive
nell’assimilazione e nell’accomodamento di nuovi schemi. Tale fenomeno si
nota particolarmente nella scolarizzazione dei figli degli immigrati
provenienti da nazioni extra-europee ed entrati in massa in Italia in tempi
recenti. Quindi
le differenze culturali influiscono sul sistema di
apprendimento:
“I teorici culturali radicano nelle circostanze
della vita le stesse differenze che teorici cognitivi radicano nella
personalità e nel funzionamento del cervello. Quindi l'espressione differenze
culturali indica i modi di esperire l'ambiente che sono condizionati dai
comportamenti del gruppo di riferimento di un individuo. Alcuni ricercatori
sostengono che, sia l'estrazione di classe, sia il fattore etnico, diano luogo
a una differenza culturale nei modi di apprendimento"[107].
Secondo una di queste teorie lo
stile di apprendimento analitico è caratteristico, in ambito statunitense,
dei figli di famiglie bianche o asiatiche caratterizzate da alti redditi,
mentre quello relazionale caratterizza i figli delle famiglie
afro‑americane e latino‑americane a basso reddito. Lo stile
analitico, in definitiva indica la capacità di astrarre le cose, sottraendole
dal loro contesto e di poterle poi riunire in funzione di quelle che sono le
loro caratteristiche comuni. E' uno stile di apprendimento questo che facilita
l'acquisizione di una cultura generale.
I fattori di tipo socio-economico e
familiare sono costituiti da lunghe assenze dei genitori, da disaccordo tra
loro, da errori educativi pre-scolastici, da richieste o aspettative
eccessive, da parte dei familiari, in ordine al successo scolastico del figlio[108].
I fattori istituzionali inerenti alla
strutture e alle dinamiche scolastiche possono agire sia per via somatica (con
aumento della faticabilita` fisica) che per via psicologico-relazionale (per
il disturbato rapporto con
l'insegnante o con i compagni) e sono: lontananza dalla sede scolastica,
classe numerosa, aule insufficienti o inadatte, doppi o tripli turni,
pluriclassi, caroselli degli insegnanti, personalità disarmonica
dell'insegnante, emarginazione o violenza ricevuta dal gruppo dei pari[109].
Il disadattamento psicologico dell’allievo può manifestarsi come
difficoltà psicologica con l’istituzione scuola, che è la prima
organizzazione sociale complessa in cui il bambino-adolescente sperimenta un
ruolo specifico e “un’occasione di identificazione positiva, utile per
l’elaborazione di un’identità personale da giocarsi nella società”[110],
in cui deve rispettare regole, assumersi degli impegni e portarli a
termine, sottoponendosi a valutazioni. Negli individui che hanno vissuto
esperienze di disagi e insuccesso scolastico si trovano competenze
psico-sociali carenti, che sono il requisito fondamentale per
l’apprendimento e la riuscita scolastica nell’adolescente e funzionali
anche per l’inserimento e la riuscita professionale. La percezione di
fallimento personale e sociale, legata ad un percorso formativo problematico,
diminuisce, quindi, la convinzione di auto-efficacia, rispetto anche ad
esperienze diverse, in primo luogo quella lavorativa, riducendo la motivazione
ad attivarsi nei confronti di questo obiettivo e lasciando spazio ad
atteggiamenti e comportamenti di attesa e di indifferenza paralizzante nei
confronti del proprio futuro professionale. L'insuccesso scolastico e il
disagio che ne consegue non restano quasi mai confinati all'interno dei
processi scolastici. In effetti, essi rappresentano importanti fattori di
rischio per lo sviluppo psicosociale complessivo dell'individuo che lo
sperimenta, come emerge dalla constatazione che quei soggetti che hanno subito
una storia di difficoltà scolastiche (bocciature, ripetenze, abbandoni),
hanno maggiori probabilità di incorrere, in età successive, in comportamenti
a rischio (come droghe, attività
antisociali, ecc o più semplicemente in gravi disagi relazionali).
Con tali
presupposti la trattazione si sposta sull'interazione tra lo studente a
rischio di abbandono scolastico e il docente che è chiamato ancora una volta
ad agire con competenza ed efficacia in un clima sereno ed armonico. Al
riguardo ci siamo interessati agli studi relativi alle competenze
sociali, termine con il quale si designa la capacità di un individuo ad
essere socialmente competente, e cioè capace di sollecitare effetti
desiderati su altri soggetti che a lui sono prossimi, come ad esempio l'essere
"ben voluti" in ambito professionale e saper accrescere le proprie
capacità di apprendimento, di riequilibrio o di lavoro. Dobbiamo infatti
tenere conto del fatto che gli adolescenti rifiutati, generalmente in quanto
aggressivi o irrequieti, isolati
o con tendenze asociali, risultano essere i più deprivati di competenze
comunicative. I giovani rappresentano uno dei gruppi più vasti con gravi
carenze psicologiche e limitate competenze sociali. Tali deficit nel
mondo adulto sono rintracciabili in individui depressi o nevrotici, anche se
non esistono evidenze specifiche che possano definire il fenomeno come un
fattore predittivo.
Per
quanto concerne la sfera affettiva, le emozioni negative sia primarie che
secondarie (ansia, tristezza, depressione e rabbia) sembrano avere effetti
negativi sulla motivazione, contrariamente a quelle positive. Per questo, si
rivela di fondamentale importanza l’empatia
dell’insegnante, che “deve tener conto degli interessi e favorire la
scoperta, da parte del ragazzo, delle motivazioni profonde e
dell’adeguatezza di determinate realtà ai propri bisogni personali”[111]
sul piano psicologico e pedagogico.
5. Comprensione empatica e motivazione degli alunni a rischio
“La qualità pedagogica
dell’azione educativa che si compie a scuola- come sottolinea la pedagogista
Antonia Cunti- concerne a monte il creare quelle condizioni di interazione, di
scambio e di sostegno competente che possono arginare le condizioni che
determinano fenomeni attinenti alla dispersione”[112]. Nello strutturare un
rapporto di apprendimento è, allora, necessaria e insostituibile una
mediazione dell'insegnante che consiste nello sviluppare un percorso specifico
di competenze volto a organizzare pensieri, idee e acquisizioni nuove in un
quadro organico dotato di significato e nessi interni, garantendo al discente,
soprattutto, in virtù dell’esperienza personale del docente, la possibilità
di conoscere, capire e superare le ansie e le difficoltà del nuovo, facendo
luce ciò che è oscuro, ordinando ciò che è confuso e infine guidando
l'allievo ad un’accettazione costruttiva delle proprie difficoltà, perché
possa pensarle e rappresentarle a se stesso, acquisendo una piena padronanza
(sviluppando cioè un problem solving ideografico). Pur riconoscendo
che la determinazione e l’espansione della personalità si fondano sul
potere di autocostruzione che è proprio di ogni individuo, anche
l’insegnante svolge una rilevante funzione nei processi di differenziazione
e strutturazione dell’io dell’alunno, con “ i sentimenti e le passioni,
gli affetti e le emozioni che costituiscono gli elementi originari
dell’io”[113].
Buber sostiene, infatti, che attraverso “la complementarità e il contenere
(Gegenseitigkeit und Umfassung)” [114]
si crea tra insegnante e alunno un dialogo profondo da cui emerge un
sentimento di profonda fiducia e “l’impegno di essere e di continuare ad
essere l’uno per l’altro”[115]. L’apprendimento non
è “mero condizionamento e assimilazione passiva di contenuti
preconfezionati”[116],
ma per la forte componente di attivazione emotivo-cognitiva “rappresenta una
sfida e un’avventura che implica un atto di fiducia che consiste nel
coraggio di tuffarsi nell’incerto e nell’ignoto”[117].
Alcune forme di disagio sociale, il successo o l’insuccesso scolastico,
stati d’ansia e disorganizzazione, problemi di autostima e insicurezza,
dipendono dalle prime esperienze di apprendimento e devono assolutamente
essere prese in considerazione dal docente. I processi di apprendimento hanno,
inoltre, luogo prevalentemente nell’ambito di un contesto relazionale,
pertanto la qualità delle interazioni comunicative influenza la peculiarità
delle esperienze di apprendimento stesso. Dal momento che l’individuo forma
la propria identità attraverso un processo unitario “sinergico e
interfunzionale”[118],
fondato sull’interazione fra le singole dimensioni della personalità,
“un’affettività piena, autentica, sicura finisce con l’esercitare
inevitabilmente una positiva influenza sulle altre dimensioni della personalità:
da quella intellettuale a quella corporea, sociale (..)”[119].
Bloom[120], infatti, ritiene che
esista uno stretto rapporto che lega affettività e motivazione e
apprendimento, poiché le variabili affettive esercitano un’azione rilevante
nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione che avvengono
nell’ambiente scolastico.
Secondo alcune teorie
psicoanalitiche la modalità che ognuno di noi ripropone per relazionarsi agli
altri e con la realtà, sembra rinviare ai rapporti primari dei primi anni di
vita, ovvero ad affetti e comportamenti strutturati durante l’infanzia
nell’ambito familiare e soprattutto al rapporto con la madre[121],
che rappresenta la sicurezza e la disponibilità e al padre, che incarna
l’interiorizzazione del dovere. In ogni relazione interpersonale
significativa, quindi, si ripropongono inconsapevolmente modelli relazionali
vissuti nell’infanzia con i genitori (transfert),
che hanno la caratteristica di riattivare la relazione diadica e triadica.
Nessuna esperienza, quindi, viene perduta, ma rimane nella mente: si creano
modelli operativi interni pronti ad essere riattivati quando si presenta una
situazione analoga alla precedente. Il contatto con l’insegnante può far
rivivere allo studente molti contesti emozionali che ha precedentemente
sperimentato nelle relazioni familiari (come la gratificazione, la
frustrazione, l’impulso distruttivo, l’impulso depressivo ecc.). Sono,
infatti, gli atteggiamenti relazionali dell’insegnante verso l’allievo
”che vengono da quest’ultimo interiorizzati e che si possono armonizzare
con le parti interne preesistenti oppure creare conflitto con esse”[122].
Per Kohut l’equilibrio affettivo dell’alunno è legato ad “un doppio
rapporto con gli oggetti-Sé”[123]:
quelli interiorizzati in forma stabile (o del Sé coeso) e quelli incarnati da
figure esterne (genitori e docenti), entrambi indispensabili per “i bisogni
narcisistici fondamentali di rispecchiamento, idealizzazione e gemellarità”[124].
Il
docente che intende realmente aiutare l’alunno in modo da attuare la
pienezza del suo potenziale educativo è mosso da autentico amore pedagogico
ed è pertanto un insegnante empatico, ricco di “amore esigente e
altruista”[125],
poiché vuole “aiutare la persona amata ad elevarsi per il suo bene”[126].
L’autentico interesse del docente per il discente è un’esperienza
emozionale “dove la condivisione del percorso formativo si fonda su un
rapporto di autentica reciprocità senza la quale l’evento educativo sarebbe
davvero condizionamento e coercizione”[127].
Essere insegnante affettivo significa valorizzare la soggettività e
l’alterità dei propri alunni, “poiché non c’è umanità senza il
riconoscimento completo e incondizionato del valore dell’altro nei suoi
irripetibili e peculiari caratteri (..)”[128].
L’insegnante deve porsi in maniera equidistante nei confronti degli
autoritarismi (che si esprimono nella dominanza degli educatori, che limitano
e costringono il comportamento degli educandi) e dei permissivismi e scegliere
di essere guida autorevole e quindi di percorrere l’itinerario del dialogo,
dello scambio e della reciprocità comunicativa. Il docente deve porsi come
guida autorevole e verrà riconosciuto dagli alunni “come persona che
possiede competenze oggettive e normative, e quando, per la sua parziale o
relativa accettata superiorità, interviene attraverso funzioni orientative e
regolative”[129].
Se autorità autorevole, l’insegnante non genera paure, ma promuove fiducia
e si rende protagonista di una relazione “stimolante e rassicurante,
inibente il gregarismo e sollecitante il protagonismo”[130],
che facilita l’autonomizzazione dell’alunno. La relazione educativa
produrrà quindi la promozione più ampia del Sé: il docente affettivo dovrà
non solo non essere antiautoritario, ma anche “socio-politico”, cioè
aperto all’ambiente circostante e informato delle principali questioni della
società, che promuovono lo sviluppo dell’uomo e del cittadino. Egli saprà
consigliare e aiutare l’alunno “a rischio” nell’autodeterminazione
della sua personalità.
L’identità
scolastica si rafforza attraverso la formulazione e l’accettazione delle
regole della classe, del gruppo, della scuola: gli incarichi e i ruoli
organizzativi per tutti gli allievi, a rotazione, infatti, favoriscono il
senso di autonomia e responsabilizzazione e contribuiscono a ridurre il
fenomeno dell’assenteismo e dell’abbandono scolastico. Affinché si crei
una sintonizzazione affettiva, il docente deve utilizzare la tecnica dell’ascolto
attivo[131],
poiché è “presenza umana in azione”; il suo ruolo è quello di
interpretare comportamenti, reazioni e improvvisi cambiamenti di umore e di
aiutare il discente a prendere coscienza di quello che gli sta avvenendo,
mettendolo in condizione di riflettere, capire e parlare. La capacità di
ascolto attivo offre anche la possibilità di osservare in modo approfondito e
costituisce un’efficace modalità di sostegno affettivo, per cui rappresenta
di per sé un valido agente terapeutico di prevenzione. Nella difficoltà che
esiste costantemente a comunicare all'interno di un gruppo non volontario e
sottoposto ad una notevole forma di disciplina, qual è una qualsiasi classe
scolastica, un problema che insorge assai di frequente è la verifica
dell'omogeneità tra il linguaggio verbale, fatto di domande e di risposte,
con quello non verbale, altrettanto se non addirittura assai più importante
del primo, poiché composto da espressioni del volto, posture, sguardi,
gestualità, e tono della voce, la cui decifrazione, non è sempre facile o
possibile. In questo contesto di obiettiva difficoltà, l'empatia
rappresenta lo strumento per eccellenza particolarmente efficace a
disposizione dell'insegnante, poiché incarna la capacità di condividere
l'emozione provata dall'altro e di comprendere il suo punto di vista: “la
capacità di comprendere il modo di essere-nel-mondo di un altro dal di
dentro, riuscendo ad immedesimarsi nella sua condizione e a penetrare la sua
dimensione di interiorità”[132]. L’empatia[133]
è la capacità di intuire e leggere fra le righe, di captare le spie
emozionali, di cogliere anche i segnali non verbali indicatori di uno stato
d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per l'interlocutore,
senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato:
diventa così possibile comprendere atteggiamenti e comportamenti
apparentemente assurdi, e rispondere soddisfacendo i bisogni specifici di un
soggetto. Un ambiente educativo capace di agire in questo senso integra e
sostiene la struttura della persona, anche di quella che incontra difficoltà,
creando un clima di fiducia. Per Rogers la comprensione empatica ha una
posizione centrale all’interno della relazione educativa che significa
innanzitutto “difendere e incrementare il potenziale di umanità
dell'alunno”[134].
Nell’ambito del rapporto didattico, sintonizzazione affettiva
significa porre l’accento sul fatto che non tutti gli allievi hanno le
stesse esigenze, i medesimi bisogni e tempi di apprendimento. Un insegnante
deve avere una particolare sensibilità per gli allievi più emotivi o con
difficoltà di apprendimento, con disagi scolastici e con disturbi
dell’apprendimento. Inoltre è dimostrato che, quando aumenta l'attenzione
dedicata agli allievi problematici, migliora il clima di classe. Se più
classi migliorano il loro clima di apprendimento migliora il clima complessivo
della scuola e perciò ne consegue una riduzione dei tassi di abbandono e di
bocciatura, del disadattamento e del disorientamento scolastico. Il modello
didattico maggiormente diffuso nella nostra scuola è quello centrato
sull'insegnante, prevalentemente verbale, astratto, deduttivo, rivolto in modo
indifferenziato all'intera classe, costituito perlopiù da sequenze didattiche
eccessivamente rapide. Tale metodo di comunicare, se da un lato sfugge alla
reale comprensione della maggior parte degli allievi, dall' altro non sembra
gratificante per lo stesso insegnante che stenta a sottrarsi all’ansia
creata da programmi ministeriali spesso troppo vasti e teoricamente
inconsistenti.
Contrariamente l’atteggiamento di disponibilità
empatica implica il rifiuto, da parte dell’insegnante, di leggere del mondo
in modo egocentrico e “accettare di porsi in una condizione di nudità
emotiva”[135]
di apertura e disponibilità a mettersi in discussione (“di introspezione e
di autotrasformazione”[136]).
E’ per questo centrale il profilo dell’insegnante come individuo : infatti
solo quel docente che possiede una forte immagine di Sé non teme il
momentaneo lasciarsi andare per vivere “momenti di indistinzione tra sé e
l’altro”[137]
e riporta “in vita le proprie parti perdute”[138]
per riviviverle empaticamente con l’alunno. La dimensione affettiva
dell’insegnante non è semplice comunicazione e trasmissione di contenuti e
nozioni, ma significa comprendere l’alunno “grazie all’empatia, cioè
alla capacità di provare i sentimenti dell’altro attraverso l’autoanalisi
e la ricerca, nella propria esperienza di qualcosa di analogo (…)”[139].
L'insegnante per affrontare i giovanili a rischio deve adottare le
strategie di uno psicologo nel rivolgersi al singolo alunno e del sociologo
nella dinamica gruppo‑classe.
Secondo la legge fondamentale dello sviluppo delle funzioni psico-intellettive
superiori di Vygotskij, le variabili sociologiche e psicologiche sono
inseparabili, “poiché l’attività psichica
comprende in sé, avendolo appunto interiorizzato, il processo primitivo di
apprendimento sociale”[140]:
“Tutte le funzioni psico-intellettuali superiori
appaiono due volte nel corso dello sviluppo del bambino: la prima volta nelle
attività collettive, nelle attività sociali, cioè come funzioni
interpsichiche; la seconda volta nelle attività individuali, come proprietà
interne del pensiero del bambino, cioè come funzioni intrapsichiche”[141].
Il docente deve,
perciò, “far leva, per la realizzazione degli obiettivi educativi, sul
processo socio-culturale che è alla base delle funzioni intrapsichiche,
affinché queste possano di nuovo e consapevolmente aprirsi al mondo
intersoggettivo delle interazioni sociali e culturali attraverso il linguaggio
e
“Si
tratta- come scrive Federico Batini- dell’approccio
interazionista-comunicativo ai processi educativi, che ha prodotto, in termini
di risultati di ricerche, l’individuazione della correlazione fra successo e
interazioni in classe (..)”[142]:
a tale proposito sono state realizzate ricerche che individuano come campo
metodologico la realizzazione dei processi educativi, oltre il metodo di
conduzione della classe (autoritario, permissivo), sia gli scambi interattivi
intercorrenti fra insegnanti e alunni (Brofenbrenner, 1979) sia l’analisi
del linguaggio utilizzato dal docente. Se, da una parte, il docente deve,
perciò, saper valorizzare l'alunno a scuola come soggetto attivo, proponendo
progetti educativi in cui il discente possa fare, muoversi e decidere
sviluppando le sue modalità espressive e creative, dall’altra è
fondamentale che il suo intervento sia esteso alla comunità, dal momento che
i comportamenti “a rischio” giovanili e perciò anche la dispersione e
l’abbandono scolastico possono inserirsi in un contesto di gruppo[143].
L’allievo è un soggetto che interagisce con i suoi
simili, per cui la sua comunicazione diventa significativa solo se messa in
relazione all’ambiente in cui si verifica e alle persone presenti.
L’insegnante deve saper decifrare e gestire, non solo le dinamiche
individuali, ma anche quelle di gruppo e soprattutto integrarle. Per
instaurare una relazione emotiva con i propri alunni, il docente non deve mai
perdere di vista le caratteristiche del gruppo-classe nel quale lavora e le
dinamiche complesse, a volte contraddittorie, che si vengono a determinare,
poichè ogni classe si configura come un gruppo di apprendimento strutturato
in due livelli: il livello formale, razionale, caratterizzato dal
raggiungimento di finalità didattiche, ed il livello informale, emotivo, con
prevalenti finalità relazionali e di socializzazione. Non sempre esiste un
equilibrio fra queste due configurazioni e allora le due parti che possono
entrare in un conflitto disgregante, costituendo un serio ostacolo per
l’apprendimento[144].
Soltanto un'impostazione pedagogica attenta alle
dinamiche del singolo discente e del gruppo‑classe, che favorisca la
responsabilità individuale e sociale, può contribuire ad arginare il
fenomeno.
Il
clima di classe è importante, poiché, se positivo, aiuta a produrre un buon
stile di buon apprendimento. Gli elementi che evidenziano un buon clima di
classe sono la giustizia, l’uguaglianza di opportunità e di valutazione, il
rispetto reciproco, la responsabilità del compito, la coerenza, l’assenza
di messaggi contraddittori, il clima costruttivo e il pensiero positivo.
Questi elementi rappresentano i prerequisiti del buon apprendimento scolastico
e anche dell' acquisizione di quel senso d' identità sociale che rendono l'
individuo capace non soltanto di sperimentare vere esperienze di democrazia.
L'empatia è
sicuramente importante anche nei rapporti interni al gruppo degli alunni di
una classe, poiché accresce le
competenze sociali e quelle relazionali. E’ grazie a questo fattore che si
generano leadership e reti sociali più o meno chiuse e coese all’interno
del gruppo-classe. I leader dimostrano particolare attenzione verso gli altri,
improntando legami di carattere autoritario o autorevole, che si fondano
comunque sulla delega di fiducia degli altri componenti del gruppo e questo
aspetto risulta essere il più apprezzato dal gruppo. "Gaipa e Wood
[1981] hanno dimostrato che degli adolescenti disturbati e senza amici
possedevano delle concezioni false sull'amicizia: analogamente ai bambini
credevano che l'amicizia, consistesse nel ricevere delle ricompense; le
nozioni di lealtà, impegno e attenzione agli altri risultavano a loro
totalmente estranee"[145].
Proseguendo con queste osservazioni si sono potute rilevare anche altre cose,
come ad esempio che l'intelligenza nella sua essenza generale è strettamente
correlata all'intelligenza sociale, alla comprensione sociale, ed anche in
estrema sintesi alle competenze sociali. Nei casi in cui l'allievo appartenga
a minoranze etniche i meccanismi generati della categorizzazione sociale
influiscono per parte loro a peggiorare il quadro generale, infatti " i
pregiudizi induttivi e deduttivi che si verificano nella categorizzare gli
oggetti tendono ad accentuarsi nel caso dei bersagli sociali"[146].
Gli stereotipi si applicano però soprattutto ai gruppi. Un caso studiato è
quello relativo all'antisemitismo. Norman Colto esprime in un suo lavoro la
persistenza del mito dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Come scrive
Billing:
"la ferocia emotiva dell'antisemitismo più
spinto induce a dimenticare come l'antisemitismo possa offrire
un'interpretazione cognitiva generale del mondo. Il dogma dell'antisemitismo
moderno afferma che gli ebrei controllano sia il comunismo che il capitalismo,
e che il loro intento è quello di dominare il mondo con un regime che
distruggerà la civiltà occidentale. Tali fatti vengono spiegati mediante
tale credenza perversa”[147].
Gli europei hanno usato questo
principio della giustificazione in numerose
circostanze anche nel corso del Novecento, quando si sono interessati della
conquista dei popoli africani ed asiatici, motivandola con la volontà di
portare loro i diritti umani e la civiltà. Il gruppo sociale, che si dà come
esistente quando "due o più individui percepiscono se stessi come membri
di una categoria e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un'altra
persona" funziona a volte
come una fonte d'identità sociale, che può generare riflessioni sull'identità
e agire sugli atteggiamenti;
“Un
esempio dell'appartenenza ad una categoria il caso dell'allievo che, giunto
alla fine degli studi, è chiamato a esercitare l'attività di insegnante.
Questa decisione comincia a fargli vedere le cose sotto un'altra luce, implica
cioè dei cambiamenti di credenze. L'identità sociale, in alcune circostanze
entra anche in conflitto con il concetto di sé e il senso di appartenenza al
gruppo supera l'idea di sé. Tale concetto intende l'identità sociale come 1a
conoscenza che l'individuo possiede di far parte di determinati gruppi sociali
e i significati emotivi e valoriali associati all'appartenenza ai gruppi”[148].
In conclusione il docente nei fatti è chiamato a vincere ostacoli
psicologici, in primis i propri, connessi ad aspetti come una
comunicazione non verbale interpretabile come ostile, ai difetti di assertività
legati ad una scusa fiducia in se stessi dei ragazzi e all'atteggiamento
solitario di alcuni di loro e da aspetti di singolari vissuti, che pongono in
primo piano una difficile strada per l’individuazione personale, che non
deve sfociare nella disidentità dal gruppo sociale di appartenenza.
6. Una
comunicazione efficace: strategie e attività didattiche contro la dispersione
scolastica
Le difficoltà
comunicative nel gruppo-classe non devono scoraggiare ma, anzi, motivare
maggiormente l’insegnante a mantenere un atteggiamento di apertura e
ricezione verso i messaggi verbali e non verbali degli allievi. L’insegnante
deve impostare con lo studente una relazionalità autentica e ricca di
tensioni affettive: solo la sua umanità esperta può determinare nel cuore e
nella mente dell’allievo un’irripetibile creazione di emozioni da
trasformarsi in significati, nozioni e conoscenze. Un aspetto rilevante è,
perciò, rappresentato dalla comunicazione. A volte tra alunni e insegnante si
instaurano modalità relazionali inadeguate e strategie difensive che
impediscono o rendono difficoltosi il dialogo. Gli alunni possono mettere in
atto atteggiamenti di difesa come l’evasione, la seduzione e la ribellione:
la prima modalità riguarda l’alunno insicuro e timido, che tende a sfuggire
a qualunque tipo di relazione comunicativa e affettiva e quindi è un
potenziale soggetto a rischio di dispersione; la seconda è quella del
seduttore che nasconde la propria aggressività e il proprio bisogno di
dominare, cercando di conquistare l’insegnante con false promesse; la terza
modalità è la ribellione nei confronti dell’autorità che diventa una
sfida permanente contro tutto e tutti[149]. Più spesso sono gli
insegnanti, soprattutto della secondaria, in cui
“l’organizzazione del processo comunicativo risiede rigorosamente
nel docente”[150],
che credono in “una formazione scolastica tutta incentrata sui contenuti e
su un’idea intellettualistica della cultura che considera le dimensioni
socio-affettive e relazionali come ostacolanti od incoraggianti lo sviluppo di
quella cognitiva, quasi mai pensando questi diversi ambiti come qualità
diverse di attribuzione di significato che si richiamano vicendevolmente”[151]
e quindi tendono a eludere la relazione con gli alunni con un atteggiamento
autoritario, non tenendo di conto del fatto che la comunicazione, come
sottolineano Wunderlich e Mass non è solo scambio di contenuti verbali, ma è
“soprattutto creazione di relazioni reciproche che determina ciò che può
essere chiamato la piattaforma della comprensione (Verständingungsebene),
dalla quale intenzioni e contenuti ricevono il loro significato concreto nei
contesti operativi”[152].
Questo significa che la comunicazione didattica deve muovere dal
riconoscimento reciproco, da parte del docente e del discente, della
soggettività e dalla comunanza di obiettivi tra i soggetti coinvolti. Infatti
l’analisi dei casi della dispersione scolastica ha evidenziato una
problematica da parte degli alunni “di tipo comunicativo, che chiama in
causa lo star bene in classe con i compagni e con i docenti”[153].
Il contesto comunicativo-relazionale, perciò, “influenza la qualità e la
quantità delle esperienze di apprendimento stesso”[154]
dell’alunno, che attraverso una comunicazione autentica con l’insegnante,
matura in crescendo autostima e autoefficacia, percezione della propria
competenza e di quella dell’altro (mind reading)[155].
E’ risultata fondamentale per un’adeguata predisposizione cognitiva, la
modifica del comportamento docente, in direzione del rafforzamento della
capacità di ascolto, di rispecchiamento, di empatia in senso rogersiano,
dell’attivazione di relazioni positive attraverso modalità interattive
idonee alla crescita comune”[156].
I fattori comunicativi derivanti dal docente che possono influire sul discente
sono molteplici: nella classe l’insegnante utilizza il codice linguistico[157],
ma anche i comportamenti non verbali come mimica, sguardi, gesti, postura del
corpo e tono della voce. A questo proposito occorre tenere presente che
attraverso la comunicazione non verbale vengono inviati messaggi positivi o
negativi nei quali si coglie un atteggiamento di interesse o disinteresse
dell’interlocutore. Gli alunni apprezzano l’interesse, gli atteggiamenti
di conferma e rassicurazione come le richieste di chiarimento da parte
dell’insegnante e le espressioni di incoraggiamento. “La sfera centrale
del sistema docente comprende quei fattori condizionanti della comunicazione
interumana che sono da attribuirsi al docente stesso”[158]:
è il cosiddetto “stile” cioè l’atteggiamento della persona che
insegna, che comprende il complesso funzionale della motivazione e il
complesso funzionale della valutazione. Il processo di comunicazione risulta
facilitato se l’insegnante dimostra coerenza tra ciò che dice e come si
comporta, comprende i ruoli interpersonali reciproci, si mette nei panni
dell’interlocutore e cerca di dare sempre l’informazione di ritorno
(feedback) quando si rende conto che il messaggio non è stato ben trasmesso o
ben ricevuto: un comportamento deciso, paziente e coerente genera sicurezza
negli allievi. Gli insegnanti efficaci usano le loro conoscenze, le personali
competenze e la loro pratica per trasformare le aule in ambienti, che
stimolano le occasioni di apprendimento in classe. Il gruppo classe “per
essere tale, ha bisogno di canali di scambio, di comunicazione, di
interrelazioni al suo interno, così come all’esterno: di istituzioni
interne che ne regolano la vita e di scambi di varia natura con l’insieme
della comunità scolastica”[159].
Questo non si realizza in modo semplice, ma è “frutto di una continua
ricerca di comunicazione”[160],
poiché il gruppo classe può presentarsi (anzi spesso si presenta) come un
contesto molto problematico, in quanto a scuola i ragazzi portano i loro
problemi che si ripercuotono sull’apprendimento e quindi sul rendimento. In
classe l’insegnante deve utilizzare tutti i livelli di comunicazione che
agiscano su soggetti che determinano la propria identità e che costruiscono
la propria autonomia sia psicologica, la loro identità sociale (come la
scelta di una professione) e la propria “filosofia di vita” (come avere le
proprie opinioni in materia religiosa e politica ecc..). Per questo
l’insegnante dovrebbe usare le strategie didattiche più opportune per
ridurre il tasso di rischio di dispersione, che consistono nella maieutica
pedagogica: risvegliare,
sollevare dubbi, sollecitare a ricercare, indirizzare puntano a sviluppare
nell’allievo autostima, fiducia, sicurezza, interesse sociale e capacità di
cooperazione e metacognizione.
L’impiego di strategie alternative
ha dato nel complesso esiti positivi, anche se il dato che emerge
costantemente “è il difficile intreccio tra insegnamento teorico e attività
pratiche e operative”[161].
Un esempio è fornito dal colloquio didattico svolto nella forma cooperativa,
ove il flusso d’informazione parte dall’alunno e le domande sono rivolte
ai compagni della classe. Una forma molto importante di comunicazione
cooperativa è costituita dal lavoro di gruppo[162],
ove i processi di scambio di informazione si sviluppano tra gli allievi, che
fungono “secondo la loro autonoma determinazione da mittenti e destinatari
del flusso informativo”[163].
In un gruppo- secondo gli studi di Bion[164]-
coesistono e agiscono contemporaneamente due configurazioni: il gruppo di
lavoro, razionale e manifesto, che viene creato quando si mettono insieme
soggetti con lo scopo di svolgere un compito e che quindi hanno un fine
preciso, un obiettivo da raggiungere (come il gruppo classe, ma anche il
gruppo dei docenti) e il gruppo di base, emotivo e inconsapevole, nel quale
prevalgono le emozioni, gli affetti, il vissuto e i bisogni emotivi inconsci
che, a causa della loro intrinseca ambivalenza, entrano in conflitto con gli
obiettivi espliciti del gruppo di lavoro. Fra i due gruppi, se quello
emotivo-affettivo prevale può anche costituire un serio ostacolo al processo
di apprendimento individuale. Sebbene non sia assolutamente possibile
controllare tutte le variabili che intercorrono tra le persone è necessario
sapere che queste due configurazioni agiscano insieme, che sono inscindibili,
che l’apprendimento ne è condizionato e che il raggiungimento di un
equilibrio tra i due gruppi è fondamentale per rendere.
Le strategie
e le attività didattiche svolte come azione formativa contro la dispersione
sono deducibili dalla documentazione di esperienze reali di progetti svolti in
scuole. Nell’a.s. 2001-2002 è stato svolto un progetto denominato “La
scuola che voglio” presso l’Istituto Professionale IPSIA
Margaritone-Vasari[165]
di Arezzo, che è una delle scuole con più alto tasso di dispersione del
Centro Italia. Nella fase A sono stati introdotti degli esperti esterni, con
la funzione di conoscere e far conoscere gli alunni fra loro; la B prevedeva
le due aree denominate “Rilevazione”(che prevedeva il lavoro in cinque
gruppi per le impostazioni delle attività e delle metodologie da utilizzare)
ed “Elaborazione” (che costituiva il lavoro vero di materiali distribuiti
agli alunni da parte degli esperti esterni); la fase C di monitoraggio era
finalizzata “alla verifica costante e in forma continuativa, dell’impatto
prodotto dall’azione di ricerca e azione formativa”[166].
Per abbattere il muro di incomunicabilità fra alunni e insegnanti,
sono state utilizzate metodologie didattiche innovative, come l’uso della
creatività per arrivare alla realizzazione di un video, con interviste a
figure significative della realtà scolastica e
opinioni espresse da parte degli studenti sul professore modello e
sulla scuola che volevano (da cui è derivato il titolo del progetto). E’
stato usato anche il role playing, che ha comportato l’assunzione di
nuovi ruoli e identità da parte degli studenti e degli operatori; lo
psicodramma è stato utilizzato per “esprimere contenuti di esperienze
affettive, emozioni, vissuti, per migliorare lo sviluppo della persona nei
suoi diversi aspetti”[167].
Altre attività proposte sono state: far disegnare ai ragazzi la piantina
della scuola che ritenevano giusta e appropriata per loro; il ricorso al
questionario che conteneva domande sulla scuola che gli alunni desideravano
frequentare. Gli incontri, secondo la testimonianza di un operatore[168],
hanno visto una crescente disponibilità dei ragazzi a partecipare alle
attività, anche se la durata di un anno scolastico si è rivelata
insufficiente per le esigenze psico-sociali degli alunni e per i disturbi di
apprendimento presenti in alcuni di essi[169].
Nei progetti di prevenzione alla dispersione, sarebbe auspicabile, come
ha sostenuto la prof.ssa Maura Striano[170],
anzi si dovrebbe assicurare la presenza di tutors per promuovere una
sorta “di indipendenza assistita”[171]
degli alunni a rischio. La soluzione connessa ad un insegnamento ideografico
trova come principale ed enorme ostacolo il costo per le società, poiché
richiederebbe un'organizzazione fatta di piccoli gruppi di lavoro piuttosto
che di classi composte da enormi qualità di studenti nelle quali prevale il
'programma" sul rapporto con ogni singolo allievo. Si deve valutare
l'aula scolastica e quali siano le risorse
disponibili, ossia il numero di assistenti, quello degli alunni, la
durata delle lezioni e i modelli di interazione. A queste dobbiamo aggiungere
la cultura didattica[172]
che rappresenta un altro
aspetto fondamentale nell'andamento della vita all'interno della classe. Con
questo temine si riassumono i fenomeni di interazione tra insegnante ed
allievi. Come evidenzia Brint:
"Gli studi comparati rendono conto di come
possano variare le culture didattiche. In alcune di esse per esempio, gli
errori sono fonte di vergogna; in altre, gli errori sono lodati come unica via
di apprendimento In certe culture didattiche, gli insegnanti tendono a
sfruttare gli elementi della vita quotidiana, come insegnare geometria
ritagliando stoffe o insegnare a misurare osservando la lunghezza dei diversi
veicoli, In altre, i problemi sono presentati in astratto e non sono
rapportati direttamente alle faccende della vita di tutti i giorni [ …. ] In
certe culture didattiche l'accento è posto sul nozionismo, in altre,
sull'integrazione creativa, Certe culture coltivano una dialettica, o
interazione, fra pezzetti di conoscenza
e progetti integrati”[173].
Gli studi di Harold Stevenson e
Jarires Stigler [1992] hanno messo in luce le differenze tra la didattica
statunitense e quella cinese e giapponese Nelle scuole orientali è presente
la divisione dei gruppi entro la classe: mentre negli Stati Uniti si adotta un
criterio, legato al merito, i maestri cinesi e giapponesi organizzano gruppi
misti quanto a livello di capacità. Nello han
(gruppetto) giapponese, i più veloci devono aiutare quelli che hanno più
problemi, divenendo a tutti gli effetti assistenti degli insegnanti. Gli
insegnanti in questo contesto si curano dell'andamento generale della classe
che spesso è composta da un grande numero di allievi, da 38 a 50, e tuttavia
la qualità dell'insegnamento non sembra trarne particolare svantaggio.
In Italia la volontà di riforma del
rapporto tra allievo e insegnante si è espressa attraverso molti studi e
ricerche, ed ha trovato applicazione anche in ambito legislativo. Il disegno
di legge per il riordino dei cicli dell'istruzione poneva nell'organizzazione
modulare dei curricoli, dei percorsi formativi e della didattica, il fulcro su
cui poggiano le leve dei rinnovamento della scuola e della formazione
professionale. La flessibilità dell'azione formativa richiede tuttavia una
pianificazione, accumulazione e valorizzazione delle risorse. L'organizzazione
modulare ha il vantaggio di permettere al progetto educativo e ai contenuti di
essere sempre "pertinenti", 'efficaci" e "efficienti”.
Dominici nel suo studio sull'orientamento alla didattica modulare propone
delle strategie molto attente e strutturate, consigliate a chi voglia attuare
una didattica formativa con livelli di coinvolgimento affettivo e un
apprendimento cognitivo il più approfondito possibile. Tale strategia vede
all'inizio una fase diagnostica che produce un segmento formativo il più
possibile rispondente all'esigenza di compensare ciò che manca a ciascuno
secondo il proprio stile di apprendimento, che attivi una "circolarità
virtuosa" tra sfera cognitiva e sfera affettiva. Andrebbero poi
potenziate tutte le funzioni della didattica, vale a dire la motivazione, la
trasmissione, il consolidamento, l'apprendimento dei saperi, In ultimo
andrebbero differenziate le funzioni valutative: una prima raccolta di dati,
una seconda fase che serva per integrare l'elemento formativo laddove ce ne
sia bisogno, infine una terza valutazione complessivo‑finale e
orientativa. La fase dell'accoglienza dell'alunno è molto importante. Essa
prevede una raccolta di dati che possono andare dai test alle domande
semistrutturate, ai riassunti, ai laboratori e a tutte quelle forme che
permettano di offrire dati sia dell'aspetto cognitivo che di quello
affettivo‑emozionale.
“Va
favorita la percezione tra i saperi che la nuova scuola vuole promuovere e
quelli posseduti dall'alunno; bisogna ridurre l'incertezza per favorire le
scelte e occorre connettere l'ambito affettivo e quello cognitivo, nonché
quello relazionale, per favorire la continuità formativa è utile anche per
facilitare il processo formativo individuale teso all'innalzamento della
qualità dell'istruzione e dei suoi esiti, per evitare gli abbandoni”[174].
Emerge comunque, che l’azione efficace contro la dispersione scolastica non può essere uniforme nelle varie situazioni, ma dovrebbe sempre venire articolatamente programmata a livello locale (grazie a un’autonomia scolastica territorialmente integrata), utilizzando le nuove opportunità di continuità scolastica offerta della riforma dei cicli. In questi due punti l’accordo è pressoché totale. Occorrerebbe quindi operare contemporaneamente su molti fronti: scuola, famiglia, società e istituzioni pubbliche e private del territorio. Comunque alla scuola è riconosciuta importanza prevalente, soprattutto nella prospettiva che riesca ad essere più accogliente e più articolata e flessibile. Che riesca, perciò, a elaborare contenuti e metodi, che pur rispondendo a normative nazionali elastiche, vengano incontro alla cultura giovanile che oggi invece vi è quasi del tutto ignorata se non contrastata. L'esigenza generale che comunque emerge più chiaramente dalle esperienze attuate e in corso nel nostro paese è quella di rendere la lotta alla dispersione impegno comune di tutti, e soprattutto di evitare che essa comporti un abbassamento di rendimento dei più dotati, dai quali è spesso richiesto un impegno in attività di recupero atto anche a stimolare adeguatamente le loro capacità.
PARTE SECONDA: DIDATTICA IN CLASSE
Nella mia esperienza
quinquennale di docenza, ho avuto la possibilità di insegnare ad alunni da
tre a diciotto anni (e agli adulti[175]),
dalla scuola materna[176]
a quella superiore[177],
e di osservare il loro atteggiamento, il loro interesse e la loro motivazione
nei confronti dello studio e della cultura. La demotivazione scolastica
spesso, a mio avviso, porta gli alunni a forme di disorientamento e disagio scolastico, che si manifestano a partire dal secondo
ciclo delle elementari[178].
Esistono forme di disagio scolastico persino nel primo ciclo della scuola
elementare: nella prima e nelle seconde elementari in cui insegno, ad esempio,
sono presenti quattro alunni che frequentano molto saltuariamente la scuola e
uno di essi si presentava non più di una volta al mese. Per questo motivo
sono stato costretto, insieme alle colleghe, a informare le autorità
competenti. Ho appurato che in questo caso il disagio scolastico è riflesso
di svantaggi socio-culturali del milieu di provenienza: la famiglia
esercita, infatti, un ruolo primario nella motivazione scolastica. Ho notato
che un basso livello di istruzione dei
genitori e dell’ambiente sociale di provenienza, dato da condizioni
socioeconomiche disagiate, situazione di disoccupazione, crea, purtroppo,
scarsi stimoli linguistici e culturali.
Il disagio scolastico tende a manifestarsi,
a mio avviso, sempre più come
difficoltà nel rapporto personale fra lo studente e l’istituzione scuola
nella scuola secondaria.
Nella mia esperienza biennale di insegnamento alle scuole secondarie superiore
in quella biennale alle scuole medie[179],
ho notato un’impostazione molto autoritaria da parte degli insegnanti verso
gli alunni. Certi colleghi della scuola media, a mio avviso, non hanno
compreso di appartenere alla scuola di base e di avere il compito di educare
alunni che affrontano il delicato passaggio dalla pubertà all’adolescenza:
in quella fase di transizione che Piaget chiama « fase ipotetico
deduttiva in cui il pensiero si fa adulto, fissa il valore del simbolo e viene
astratto, definendo i rapporti formali che regolano l’attività del pensiero
e lo rendono capace di elaborare ipotesi
e di procedere per via deduttiva »[180].
Il disagio giovanile è una tematica a me molto cara, poiché, ricordandomi il
difficile cammino personale di conquista e determinazione dell'identità, mi
sento chiamato come docente ad aiutare, attraverso il dialogo, i miei alunni
in fase di formazione di personalità. Nell’anno scolastico 1999-2000 alla
Scuola Media Marcelli di Foiano della Chiana,, mi sono trovato a dover gestire
gruppi-classe molto problematici composti da alunni demotivati e a rischio di
dispersione. La classe composta da 18 alunni presentava un nucleo di cinque
ragazzi albanesi, incapaci di controllare una certa irrequietezza e di
possedere autocontrollo, ed inoltre più
grandi di due o tre in più rispetto agli altri membri della classe, che
frequentavano in modo saltuario e che, se presenti in classe, manifestavano
atteggiamenti verbali offensivi, che sconfinavano spesso in atteggiamenti di
bullismo. Mi trovavo al bivio, poiché dovevo rimotivare gli alunni a rischio
e svolgere il programma per gli altri molto motivati. Per arginare la
situazione ho cercato tramite il dialogo di spingere gli alunni in difficoltà
alla riflessione sul loro comportamento. Ho mostrato attenzione continua per i
loro discorsi e i loro interventi, così da spingerli alla riflessione, a
farli sentire valorizzati e di conseguenza stimolati ad acquisire sicurezza e
fiducia in se stessi. Ho costatato l’efficacia del cosiddetto ‘intervento
a riflesso’[181]
ovvero del comportamento verbale che consiste nel riprendere qualche aspetto
del discorso altrui per dimostrare umana comprensione e affettività. In verità
io avevo semplicemente capito che i comportamenti negativi di questi alunni
non erano manifestazione di semplice maleducazione, ma nascondevano delle vere
e proprie situazioni di disagio. Mi sono conquistato pian piano la loro
fiducia. Mi consideravano un “professore buono” (mentre i miei colleghi mi
ritenevano un inesperto, dal polso molle e poco autoritario), poiché parlavo
con loro in privato, evitando di rimproverarli in classe. Il rimprovero
rivolto in pubblico ad uno di loro avrebbe peggiorato la situazione, poiché
avrebbe concorso ad inasprire il pregiudizio degli altri alunni che avrebbero
considerato il compagno “a rischio” una persona negativa e da escludere.
Nel colloquio privato, durante la ricreazione o durante un momento di
tranquillità, parlavo con gli alunni a rischio, esprimendo la mia intenzione
di aiutarli e non semplicemente di giudicarli. Di qui è nato un sentimento di
fiducia crescente, dal quale mi sono mosso per costruire un rapporto con loro[182].
Per un reale intervento di recupero motivazionale dei ragazzi, ho predisposto
la realizzazione collettiva di un prodotto audiovisivo dal titolo La scuola
degli studenti (Students’ school). Gli alunni, lavorando in quattro gruppi in ognuno dei quali
erano inseriti uno o due alunni a rischio, hanno deciso la trama sommaria di
una storia, hanno inventato dei personaggi con dei semplici dialoghi. Ho
aiutato ciascun gruppo a tradurre in inglese la sua storia inventata. Poi gli
studenti hanno discusso per riunire le storie in un unico racconto, che doveva
essere poi scritto al computer. Sono seguite le prove e per ultimo sono state
girate le scene del filmato audiovisivo. Tutto il progetto, comprese le prove
e le riprese e la presentazione del video alla scuola e ai genitori, è stato
svolto in 30 ore durante i mesi di novembre, dicembre 1998 e gennaio 1999. Il
filmino è stato un successo: è stato presentato alle famiglie e ai colleghi.
Il video ha stimolato ed ampliato le capacità percettive, mnemoniche e
cognitive degli alunni, influenzandone la sfera emotiva e sollecitandone la
creatività e l'espressività. Posso affermare, in base all’esperienza
osservata, che molteplici sono state le intelligenze che il linguaggio
audiovisivo ha coinvolto e che in situazione formativa hanno potuto favorire
l'apprendimento dei discenti: i sistemi simbolici iconici e sonori, propri del
linguaggio audiovisivo cinetico, hanno determinato una percezione sinestetica,
che ha ampliato la gamma delle sensorialità normalmente coinvolte. La
realizzazione del video ha favorito, oltre allo sviluppo delle capacità di
memorizzazione, discriminazione, organizzazione, orientamento spaziale, la
correzione di quei comportamenti relazionali violenti e una sempre maggiore
partecipazione degli alunni “a rischio”, che hanno iniziato a venire a
scuola durante le mie ore, poiché avevano trovato un compito da svolgere: chi
preparava gli scenari, chi girava il video, chi sceglieva i costumi, chi
truccava.
Un altro caso di abbandono
scolastico stava per verificarsi nella 3ª A della scuola Media di Pian di Scò
(Ar) nell’anno scolastico 1999-2000. La classe, composta da 24 alunni, si
era alleata contro uno dei compagni che rappresentava il capro espiatorio al
quale venivano attribuite tutte le cause dei conflitti interni del gruppo. La
situazione era anche complicata dal fatto che l’alunno era extracomunitario
e quindi la sua diversità contribuiva ad aumentare il suo isolamento da parte
del gruppo. Inoltre i genitori degli altri alunni, invece di scoraggiare
l’atteggiamento di intolleranza dei figli, lo condividevano e in alcuni casi
lo incoraggiavano. L’alunno iniziava a non frequentare più la scuola. Io e
una collega di Lettere andammo a parlargli e a rassicurarlo che noi insegnanti
avremmo trovato un modo perché egli non fosse più escluso né deriso. Per
arginare la situazione, tramite il dialogo, cercai di spingere gli alunni alla
riflessione sul loro comportamento, a “mettersi nei panni” del soggetto
emarginato. La strategia che ritenni più adeguata per un’educazione ai
sentimenti è stata il lavoro di gruppo, che mi ha permesso di non intervenire
in modo autoritario negli equilibri del gruppo, ma, piuttosto, di far sì che
gli allievi sviluppassero le loro capacità critiche, creative e comunicative
e riuscissero ad utilizzarle lungo il loro cammino, risolvendo in modo
autonomo di volta in volta i problemi della vita di classe. Il gruppo lavorava
su un obiettivo comune da raggiungere l’esecuzione di cartelloni, schemi,
dialoghi ecc. in lingua, che diventavano la motivazione per lavorare insieme,
collaborando e impegnandosi.
Anche
alla scuola elementare sono presenti alunni con disagi scolastici: un bambino
“a rischio” era presente nella mia 3ª elementare nell’anno scolastico
2000-2001 (ora diventata 5ª). Ho pensato di usare la tecnica del diario
dialogato: un diario personale su cui i ragazzi potevano scrivere ciò che
volevano. Questa libertà di scrittura poteva portare con sé il rischio di
far ripetere agli alunni errori di scrittura. Ho notato, al contrario, che
questa tecnica di scrittura ha mobilitato risorse cognitive e non ha impedito,
perciò, che gli alunni sviluppassero competenze ortografiche. Gli alunni,
incluso il bambino a rischio, sentivano l’esigenza con il passare del tempo
di farsi correggere il diario. Con questa
liberà concessa agli studenti, insieme ad un rapporto affettivo, sono
riuscito ad “arginare“ quasi del tutto l'atteggiamento del mio alunno.
Questo forse è stato forse possibile in quanto il ruolo del maestro per un
bambino può in parte sovrapporsi psicologicamente a quello genitoriale e
integrare certe mancanze affettive derivanti dall'assenza di esso.
La forma di disagio scolastico più complessa da
affrontare è stata per me quella degli alunni in una condizione
socio-economica di benessere eccessivo, collegata al consumismo: all’ITC
Mecenate, dove ho insegnato due anni Inglese e Francese, più della metà dei
miei discenti, oltre ad atteggiamenti da bulli, usavano stupefacenti e alcool.
Frequentavano a loro piacimento la scuola, che essendo parificata[183]
e per cui a pagamento, assicurava loro la promozione automatica senza studio
come un “diplomificio”. Trovandomi in questo contesto scolastico, ho
cercato di attivare un dialogo, parlando apertamente, chiedendo loro, perché
assumessero tali sostanze. Il problema peggiore era che non sapevano neppure
loro il motivo per cui le usassero: taluni dicevano per “sballarsi”
davanti ad una realtà noiosa. Nella 4ª, ove nell’anno scolastico 2001-2002
insegnavo francese, data l'impossibilità di tenere soltanto delle lezioni
frontali, ho organizzato un modulo di lettura e di drammatizzazione sul testo
di Beckett, En attendant Godot. La
lettura, la discussione, la riscrittura e la recita hanno interessato alcuni
alunni “a rischio”, che hanno iniziato a frequentare con maggiore assiduità.
Questo progetto di prevenzione alla dispersione non mi ha soddisfatto, poiché
una volta finito, l’atteggiamento dei discenti non è cambiato e la
saltuarietà della frequenza è ripresa. Ritengo, pertanto, che più gli
alunni crescono, più le strategie e le attività didattiche di prevenzione
alla dispersione diventano complesse e inefficaci.
Un altro percorso didattico
proposto nello stesso anno nella 3ª ITC della stessa scuola, che presentava
analoghi problemi alla 4ª , è stato: « L’einsegnant
ami ou maître ». Gli alunni, osservando e interpretando le sequenze
visive di film[184]
visti in classe concernenti la scuola, hanno dovuto sviluppare la propria
dimensione intrapersonale, e poi attraverso l’attività di gruppo, che ha
permesso loro lo scambio interpersonale, la propria dimensione sociale. La
finalità ultima da conseguire per i discenti è stata quella di crearsi un
pensiero euristico e ideativo, che permettesse
di discutere nel gruppo e con il gruppo del loro insegnante ideale, e degli
aspetti negativi e positivi dei loro docenti.
2. Unità Didattica contro il disagio scolastico:
creatività e role playing
Ho svolto il tirocinio attivo presso l’Istituto Comprensivo “Ugo
Foscolo” di Bucine (Arezzo). L’unità didattica è stato sviluppata in
collaborazione con il tutor d’aula prof. Raffaele Esposito.
I
punti focali che ho preso in considerazione per progettare il percorso
didattico sono:
-
la conoscenza delle condizioni di partenza degli
alunni (prerequisiti);
-
la scelta dei contenuti adeguata al livello cognitivo
degli alunni;
-
la programmazione di stimoli tendenti a suscitare
l’interesse verso l’argomento;
-
gli obiettivi operativi in quanto "comportamenti
oggettivi", quindi osservabili, descrivibili e
misurabili, che gli alunni debbono raggiungere a testimonianza delle
conoscenze, competenze e abilità acquisite;
-
l'organizzazione della didattica, dei tempi, delle
tecniche e le metodologie d'insegnamento/ apprendimento;
-
le risorse di cui dispone la scuola.
La
scelta dei contenuti e della metodologia si è basata in primo luogo sul
livello cognitivo degli alunni (13/14 anni) e sulle loro conoscenze pregresse.
Ho svolto il tirocinio attivo nella 3ª
Media di Pergine Valdarno, a cui insegno tuttora Inglese. La classe è
composta da 23 alunni ed è eterogenea, in quanto i 2/3 degli alunni sono
fortemente motivati, mentre l’altra parte comprende studenti
“a rischio” di dispersione. All’inizio del mio tirocinio
mi sono reso conto della complessità delle dinamiche nel gruppo-classe tra
gli alunni diligenti e quelli demotivati e disorientati, che si manifestava
persino nella disposizione dei posti, peraltro scelti da loro: a sinistra i
“bravi”, a destra gli “svogliati” con difficoltà di apprendimento .
Mi trovavo davanti a un’esperienza complessa. Parlando con il tutor anche
delle nuove tecniche didattiche propostemi alla Ssis, data la sua estrema
disponibilità mentale ed elasticità intellettiva, abbiamo cercato di
domandarci quale attività potevamo proporre ad una classe dai dinamismi così
complessi. Abbiamo pensato alla somministrazione di un questionario[185]
anonimo a risposta aperta, che, oltre che ad informazioni psico-sociologiche,
richiedesse agli alunni quali attività piacessero loro e quale fossero i
campi di maggiore interesse in cui essi sentivano di poter esprimere la loro
creatività[186]..
La fantasia e la creatività, generalmente sacrificate allo sviluppo del
pensiero logico, vanno, invece, coltivate e hanno bisogno di situazioni che ne
facilitino e ne consentano l’espressione. Penso,
infatti, che, soprattutto nella scuola dell'obbligo, la creatività sia uno
strumento importante che l'adolescente ha per conoscere se stesso e procedere
nel processo di individuazione di personalità; allo stesso tempo è anche una
porta speciale che permette agli altri di conoscerlo e di entrare nel suo
mondo e dalla conoscenza non può nascere che dialogo e fiducia in se stessi e
negli altri. Dall’analisi delle risposte è emerso che gli alunni
proponevano moltissime attività come musica, cartelloni e teatro. Io ho
proposto al tutor di svolgere un’attività di teatro,
poichè la ritengo, concordando con il mio supervisore Ssis[187]
prof. Eliana Terzuoli, la forma più adatta a risolvere i rapporti nel
gruppo-classe. Io e il tutor abbiamo chiarito il compito del teatro, facendo
un contratto formativo con gli alunni, che hanno aderito con entusiasmo,
pensando che fosse un escamotage per non far lezione.
La drammatizzazione, il role-playing o
teatro-terapia era per me l’unica strategia possibile per recuperare
l’affezione alla vita scolastica di alcuni alunni e riorganizzare l’interazione tra i membri del gruppo-classe.
La costruzione di storie e di sceneggiature attraverso la condivisione di
racconti di vita, fabulazioni e aneddoti ha confermato l’alta capacità del
teatro di consentire un netto miglioramento della qualità delle relazioni
umane.
Abbiamo scelto di sviluppare un percorso dal titolo “L’école
que tu voudrais” (“La scuola che vorresti”)[188].
La narrazione o l’invenzione di storie è stato, perciò, il mezzo
attraverso cui abbiamo offerto ai ragazzi una possibilità di esplorare il
loro mondo interiore, di confrontarsi con gli altri e di integrare l’altro
attraverso un percorso che a partire da storie e spunti individuali ha
condotto all’elaborazione di una storia collettiva costruita intorno a temi
pregnanti come la cultura, la scuola e gli insegnanti.
Il primo passo è
stato il dialogo fra gli alunni, che hanno discusso a lungo, spesso
scontrandosi, poiché esistevano due punti di vista opposti. Si sono creati
due gruppi: quello di coloro volevano la scuola così com’è e quello di chi
la desiderava completamente diversa. Ognuno ha scritto la sua storia in
italiano. Per dare una svolta
alla dinamica contrastava fra i due schieramenti, ho escogitato una tecnica
che li spiazzasse: la storia inventata da un gruppo è stata consegnata
all’altro. Gli alunni, perciò, hanno dovuto, anche se controvoglia o a
malincuore, tradurre in francese la storia inventata dal gruppo opposto o
“nemico” con l’aiuto di noi insegnanti, per poi rappresentarla in scena.
Nel corso di questo lavoro, i discenti si sono resi conto di dover
interpretare il punto di vista altrui e si sono accorti che nel teatro bisogna
saper interpretare anche delle idee che non sono nostre. Rappresentare le idee
altrui è una strategia efficace perché obbliga il discente a interpretare le
idee che nascono da un punto di vista diverso e a relativizzare le proprie. I
personaggi diventavano vivi nel momento in cui acquistavano voce e corpo,
prendendoli a prestito da uno dei compagni di classe. Nel lavoro di
rappresentazione dell’idea è affiorata pian piano l’empatia: innanzi
tutto nei confronti dei compagni, poi anche nei confronti di noi insegnanti..
In questo lavoro teatrale in cui l’empatia ha giocato un ruolo fondamentale,
si è inserito anche il gioco di rispecchiamento che ha previsto il
coinvolgimento di tutta la classe. La scuola è diventata, così, il teatro in
cui i ragazzi sempre più consapevolmente hanno imparato a mettere in gioco le
loro azioni ed emozioni. Io e il mio collega-tutor abbiamo avuto modo di
provare come noia, disaffezione, abbandono scolastico sono spariti con il
teatro, che ha introdotto nella scuola, come hanno espresso gli alunni stessi,
la creatività:
“Esprimere
la mia creatività è stato un atto liberatorio” (R.F.)
“Sentirsi
liberi vuol dire essere capiti” (M. D.M).
Concordo con
Jung[189]
che affermava che il role playing o psicodramma agisce
nell'inconscio e aiuta a destrutturare gli atteggiamenti di pregiudizio, di
violenza e di ribellione all’autorità, poiché l'adolescente costruisce la
propria identità nel dialogo e nella relazione con l'altro. L’attività
teatrale è, a mio avviso, in grado di determinare una sorta di ‘spazio
neutro’, dove il comune esercizio del gioco di finzione permette una
conoscenza reciproca molto particolare. E’ una conoscenza che mette in
relazione non solo i diversi modi di leggere il quotidiano, ma anche
l’immaginario che ognuno si porta dentro e che proprio nel gioco teatrale può
assumere forme sempre diverse. In questo modo si aprono nuovi terreni
d’incontro nei quali conoscersi e ri-conoscersi o, come molto più spesso
accade, scoprirsi e ri-scoprirsi andando forse più in profondità o, più
semplicemente, avventurandosi su strade spesso imprevedibili perché costruite
grazie all’incontro tra le capacità inventive del singolo e quelle del
gruppo. E dunque, proprio perché si muove su percorsi di questo tipo, il
teatro attiva strategie relazionali ricche di potenzialità didattiche
attraverso le quali dare un prezioso contributo, in vista di un’auspicabile
ecologia della convivenza nel gruppo-classe..
3.
Schema dell’unità didattica e descrizione dei procedimenti didattici
Unità didattica del Tirocinio Attivo |
|
Titolo |
« L’école que tu voudrais » |
Scuola |
Istituto Comprensivo Bucine “Ugo Foscolo” |
Classe/Pubblico |
3ª Media sez. C della Scuola “A. Manzoni” di
Pergine Valdarno 23 alunni: 14 ragazzi e 9 ragazze |
Livello linguistico |
Pre-intermedio Gli alunni presentavano talune difficoltà
fonetiche e di dialogo. Commettevano molti errori nella produzione
scritta. |
Prerequisiti |
Sintassi, lessico e grammatica utili e necessari
alla scrittura di storie. |
Obiettivi generali |
L’attività di role playing deve: -
saper motivare allievi scarsamente interessati alla vita scolastica,
con difficoltà espressive e di comunicazione -
abituare gli studenti a saper sviluppare la collaborazione attraverso
il lavoro di gruppo e a potenziare i rapporti di socializzazione nel
gruppo-classe; -
rendere gli studenti protagonisti del percorso didattico (ideazione,
progettazione, realizzazione, verifica). |
Obiettivi
cognitivi |
Gli alunni devono saper : -
creare un racconto; -
saper scrivere dei dialoghi ; -
conoscere e riconoscere le caratteristiche del teatro, per scrivere
una pièce. |
Obiettivi linguistici |
Il lavoro svolto in lingua straniera si
è posto come obiettivo lo sviluppo delle seguenti competenze :
comprensione, assimilazione, produzione orale e scritta. Il
discente è stato comunque costretto a lavorare sul la storia da
inventare, sviluppando la competenza della produzione scritta.
Nell’attività di gruppo e di drammatizzazione l'alunno ha arricchito
il lessico e migliorato la pronuncia. |
Metodo |
Approccio comunicativo centrato sull’allievo |
Luogo |
Classe, Aula di Artistica e Aula Informatica |
Tempo |
13 ore I tempi scelti erano 2 ore del sabato mattina e 1
ora del giovedì pomeriggio (fuori orario scolastico) |
Periodo dell’ a. s. |
Da Ottobre a Novembre 2003 |
Materiali |
Trucco e abiti, parrucche e oggetti per la scena. |
Strumenti |
Quaderno e penna La penna e il quaderno sono serviti a
scrivere, durante il lavoro di gruppo, il testo delle storie da
recitare. |
Strategie |
Pluralità di metodi : -
Lavoro in gruppo (per trasportare l’interazione verbale in un
contesto sociale). -
Lavoro individuale (ripasso parti da recitare) -
jeux de rôle -
role playing -
scrittura creativa. |
Valutazione |
Il tutor ha considerato l’impegno di ogni singolo
alunno utilizzando una griglia di valutazione[190].
|
Iª lezione
Fase 1.
Il tutor e l’insegnante-tirocinante presentano il titolo e il significato
del percorso “L’école que tu voudrais”.
Fase 2..
Poi invitano gli alunni a sgomberare
l’aula addossando i banchi alle pareti e a formare un semicerchio di sedie,
sulle quali prendono posto i ragazzi. L’obiettivo non dichiarato è quello di creare il clima teatrale
giusto. Chiedono poi agli allievi di costruire l’immaginaria platea
semicircolare di un teatro, movendosi uno per volta.
Fase 3..
Il tutor chiede di esprimere in lingua (e per chi non ci riesce in italiano)
ad ogni alunno gli aggettivi che connotano la scuola che gli piacerebbe.
L’insegnante-tirocinante li scrive sulla lavagna. Ne segue una discussione.
I° giorno |
Tempo complessivo: 2 ore |
Fase I |
Tempo : 30 minuti. |
Fase 2 |
Tempo : 50 minuti. |
Fase 3 |
Tempo : 40 minuti. |
2ª lezione
Fase 1.
Il tutor chiede agli allievi di
costruire un cerchio. Gli alunni devono ripetere le frasi o gli aggettivi,
scritti nella lezione precedente, che l’insegnante-tirocinante pronuncia,
usando esercizi di dizione,
respirazione diaframmatica e di impostazione della voce.
Fase 2.
L’insegnante propone ripetizioni di espressione a
velocità normale, lenta e accelerata cadenzati da movimenti del corpo. Il
metodo serve a rilassare gli alunni e ad aprire le loro menti in preparazione
allo sviluppo della creatività e allo sblocco delle proprie potenzialità
espressive.
II° giorno |
Tempo complessivo: 1 ora |
Fase I |
Tempo : 30 minuti. |
Fase 2 |
Tempo : 30 minuti. |
3ª lezione
Fase 1.
Il tutore e l’insegnante-tirocinante propongono un dialogo sulla scuola che
gli alunni vorrebbero. Si profila una netta separazione fra chi sostiene che
la scuola è perfetta così com’è e chi vorrebbe cambiarla del tutto.
Fase 2.
Gli insegnanti dicono agli alunni di riflettere e di scegliere di entrare a
far parte del gruppo di cui condividono l’idea. La classe si divide in 2
gruppi[191].
Fase 3 Gli
alunni di ogni gruppo devono inventare una storia che rappresenti, attraverso
personaggi, luoghi e scene la loro idea di scuola.In ogni gruppo devono poi
essere scelti gli attori, gli scenografi e i costumisti.
III° giorno |
Tempo complessivo: 2 ore |
Fase I |
Tempo :40 minuti. |
Fase 2 |
Tempo : 15 minuti. |
Fase 3 |
Tempo : 60 minuti. |
4ª lezione
Fase 1.
Gli alunni inventano
una storia che rappresenta la scuola che vorrebbero, usando da un minimo di 70
ad un massimo di 120 parole. Ogni gruppo deve riconsegnare la storia terminata
per la volta successiva.
IV° giorno |
Tempo complessivo: 1 ora |
Fase I |
Tempo :60 minuti. |
5ª lezione
Fase 1.
Colpo di scena: il tutor e l’insegnante-tirocinante fanno leggere in
italiano le storie dal portavoce del gruppo e correggono gli errori
linguistici.
Fase 2. . Il tutor e l’insegnante-tirocinante consegnano la storia
di un gruppo all’altro e viceversa. Consegnano ad ogni gruppo un dizionario
e chiedono agli alunni di tradurre il testo in francese, controllando in itinere
la traduzione della storia.
V° giorno |
Tempo complessivo: 2 ore |
Fase I |
Tempo :15 minuti. |
Fase I |
Tempo :105 minuti. |
6ª lezione
Fase 1.
Gli insegnanti aiutano gli alunni, controllando in itinere
la scrittura della storia. Infine ritirano i lavori, che correggono a casa.
VI° giorno |
Tempo complessivo: 1 ora |
Fase I |
Tempo :60 minuti. |
7ª lezione
Fase 1. Sono riconsegnati i lavori corretti. Gli alunni ripetono le
proprie parti e gli insegnanti passando di gruppo in gruppo correggono loro
eventuali errori fonetici. A casa ogni alunno deve
ripassare la propria parte.
VII° giorno |
Tempo complessivo: 2 ore |
Fase I |
Tempo :120 minuti. |
8ª lezione
Fase 1.
Ogni gruppo deve allestire la recita del testo dell’altro gruppo, l'allestimento
e la messa in scena e in spazio. Le soggettività dell’interpretazione del
testo devono diventare coralità d'intenti nel gruppo. A casa ogni alunno deve
ripassare la propria parte.
VIII° giorno |
Tempo complessivo: 1 ora |
Fase I |
Tempo :120 minuti. |
9ª lezione
Fase
I. Ogni gruppo prepara l'allestimento e la messa in scena e in spazio
e distribuisce
le fotocopie della traduzione all’altro gruppo, che poi n’è l’ideatore.
Fase 2.
Ogni gruppo recita la storia inventata dall’altro gruppo.
Fase 3. Ogni alunno deve completare una scheda di valutazione
su ogni compagno del proprio gruppo e dell’altro gruppo, evidenziando
come gli è parsa la sua recitazione e la sua interpretazione.
IX° giorno |
Tempo complessivo: 2 ore |
Fase I |
Tempo :20 minuti. |
Fase 2 |
Tempo : 40 minuti. |
Fase 3 |
Tempo : 60 minuti. |
ALLEGATO
1: QUESTIONARIO MOTIVAZIONALE DI ENTRATA
(3ª
MEDIA PERGINE VALDARNO)
1)
Cosa pensano i tuoi genitori dello studio?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
2)
Qual’è il tuo rapporto con tua madre?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
3)
Qual è il tuo rapporto con tuo padre?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
4)
Cosa pensano gli amici che frequenti fuori della scuola dello studio?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
5)
Ti piace studiare?
__________________________________________________________________________________________
6)
Qual è la tua materia preferita?
___________________________________________________________________________________________
7)
Qual è la materia che detesti?
___________________________________________________________________________________________
8)
Hai paura di fallire nello studio?
___________________________________________________________________________________________
9)
Hai mai marinato la scuola senza che i tuoi genitori lo sapessero?
___________________________________________________________________________________________
10)
Come ti trovi in classe?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
11)
Cosa manca nella scuola che frequenti?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
12)
Come dovrebbe essere il tuo professore ideale?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
13)
Come dovrebbe essere organizzata la scuola che vorresti frequentare? ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
14)
Ti piace la lingua straniera?
___________________________________________________________________________________________
15)
Quali attività vorresti svolgere in lingua straniera?
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
ALLEGATO
2: QUESTIONARIO MOTIVAZIONALE DI USCITA
(3ª
MEDIA PERGINE VALDARNO)
1) Come giudichi l'andamento di questo ultimo anno di scuola media?
______________________________________________________________________________________
2) Iniziando l'anno scolastico ti aspettavi un
andamento diverso (superiore o inferiore)
____________________________________________________________________________________
3) Tra
le possibili caratteristiche della scuola, scegli e numera in ordine di
importanza quelle che ritieni più aderenti alla tua esperienza, indicane
massimo tre (eccessivo carico di studio, scarso carico di studio, difficili
rapporti coi compagni, buoni rapporti coi compagni, eccessiva severità degli
insegnanti/di alcuni insegnanti, buoni rapporti con gli insegnanti, difficoltà
a capire cosa dovevi fare per avere buoni risultati, difficoltà a seguire il
lavoro scolastico, spiegazioni troppo difficili, noia, difficoltà dello
studio a casa, interesse per le materie, altro……….
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________4)
E’ cambiato il tuo modo di studiare?
SI’ ٱ
NO ٱ
Se sì, in che cosa principalmente?
__________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________
5) Immagina che l’attività scolastica sia come una
partita di calcio in cui sei un giocatore; quale ruolo assegneresti ai tuoi
insegnanti?
ٱarbitro
ٱallenatore ٱgiocatore
ٱspettatore
ALLEGATO
3: SCHEDA DI VALUTAZIONE DELL’INSEGNANTE
(3ª
MEDIA PERGINE VALDARNO)
L’alunno/a……………………………………………………………
Ha
partecipato al lavoro di gruppo:
a) proponendo soluzioni
si
no
qualche volta
b) aderendo alle proposte
si
no
qualche volta
c) subendo le proposte
si
no
qualche volta
d) imponendo le proprie idee
si
no
qualche volta
Ha
partecipato alle discussioni in classe:
a) per tutto il tempo
si
no
qualche volta
b) esponendo la propria opinione spontaneamente
si
no
qualche volta
c) esponendo la propria opinione solo se richiesta
si
no
qualche volta
d) accettando il parere altrui
si
no
qualche volta
e) alzando la mano per avere la parola
si
no
qualche volta
f)
parlando se è il suo turno
si
no
qualche volta
g) ascoltando quando gli altri parlano
si
no
qualche volta
h) mantenendo l’attenzione si
no
qualche volta
i) modificando il proprio punto di vista
si
no
qualche volta
Ha
svolto i compiti assegnatigli/le individualmente:
a) mettendosi subito al lavoro
si
no
qualche volta
b) chiedendo aiuto all’insegnante
si
no
qualche volta
c) chiedendo aiuto ai compagni
si
no
qualche volta
d) lavorando da solo/a
si
no
qualche volta
ALLEGATO
4: SCHEDA DI VALUTAZIONE DEI COMPAGNI
(3ª
MEDIA PERGINE VALDARNO)
Il/La
compagno/a……………………………………………………………
Lavoro
di gruppo (vota
solo chi appartiene allo stesso gruppo) |
Prestazione
nella rappresentazione |
||
Abilità
di interpretazione |
Pronuncia/fonetica |
Spontaneità
nella drammatizzazione |
|
L’impegno
è stato: ٱ
non sufficiente ٱ
mediocre ٱ
sufficiente ٱ
buono ٱ
distinto ٱ
ottimo |
ٱ
non sufficiente ٱ
mediocre ٱ
sufficiente ٱ
buona ٱ
distinta ٱ
ottima |
ٱ
non sufficiente ٱ
mediocre ٱ
sufficiente ٱ
buona ٱ
distinta ٱ
ottima |
ٱ
non sufficiente ٱ
mediocre ٱ
sufficiente ٱ
buona ٱ
distinta ٱ
ottima |
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-
Wunderlich-Maas M., Pragmatik und sprachliches
Verbhalten, Frankfurt, Athenaum, 1972 in H. Franta, Atteggiamenti
dell’educatore, Roma, Las, 1988.
[1]
Unità Didattica 3 del modulo di Pedagogia generale del 2° anno dal titolo:
La Pedagogia sociale.
[2]
Come sostiene la prof.ssa Ulivieri la pedagogia sociale è scienza
d’emancipazione.
[3]
Unità Didattica 4 del modulo organizzativo-normativo-sanitario del 2° anno
dal titolo: Linee di riforma della scuola secondaria negli ultimi trent’anni.
[4]
Piacentini G., Adolescenti e società
complessa, a cura di Betti C, Edizioni
del Cerro, Pisa, 2002, p. 143.
[5]
Sarracino V.-Corbi E., Storia della
scuola e delle istituzioni educative, Liguori,, Napoli,
1999, p. 130.
[6]
Una particolare forma di diversità è rappresentata dall'handicap rispetto
alla quale la scuola è chiamata ad attuare specifiche strutture d'appoggio
e sostegno all'apprendimento e all'integrazione entro i confini delta classe
e più in generale della società..
[7]
Unità Didattica 1 del modulo di Sociologia e Antropologia del 2° anno dal
titolo: I processi di socializzazione in una società che cambia.
[8]
Perfino all’interno di uno stesso Istituto permangono divisioni fra ordini
diversi di scuola. Nella mia esperienza di docenza presso l’Istituto
Comprensivo di Bucine, ove insegno Lingua inglese ad alunni che vanno dai 3
ai 14 anni, sono a stretto contatto con tre ordini di scuola diversi
(materna, elementare e media) e noto una mancanza totale di comunicazione
fra i docenti che si chiudono nel settorialismo. Anche nei collegi unitari
la disposizione dei posti è strettamente legata agli ordini delle scuole e
perciò mi trovo costretto a stare nel mezzo tra i docenti elementari, nel
ruolo che lo stato ha scelto per me come Incarico Annuale. Ma come ho detto
spesso ai colleghi dei vari ordini, non trovo che le differenze fra scuola e
scuola siano insormontabili. Posso, infatti, confessare che il mio ruolo di
insegnante non cambia variando la classe, o l’ordine di scuola, cambia
solo la trasmissione dei contenuti, e l’impiego delle strategie.
[10]
Come magistralmente esplica il sociologo Melucci: “Abitiamo un pianeta
divenuto società globale. Il ritmo accelerato del cambiamento, la
molteplicità dei ruoli, l'eccesso di possibilità e di messaggi dilatano la
nostra esperienza cognitiva ed affettiva, in una misura che non ha paragone
con nessuna cultura precedente dell'umanità.. I punti di riferimento su cui
individui e gruppi fondavano in passato la continuità della loro esistenza
vengono meno. La possibilità di rispondere con sicurezza alla domanda 'chi
sono io" si fa labile: la nostra presenza ha bisogno di punti di
appoggio e la nostra stessa biografia talvolta vacilla. La ricerca di dimora
dell'io diventa così vicenda comune e l'individuo deve costruire e
ricostruire la propria casa di fonte al mutamento incalzante degli eventi e
delle relazioni"' (Melucci A. Il
gioco dell’io : il cambiamento di sé in una società globale,
Feltrinelli, Milano, 1991, p. 10).
[11]
Unità Didattica 1 del modulo di Sociologia-Antropologia del 1° anno dal
titolo: Il cambiamento come centro del processo formativo.
[12]
E in quanto maestro mi duole purtroppo dover affermare che il fenomeno
coinvolge anche alunni del secondo ciclo della scuola elementare!
[13]
Unità Didattica 1 del modulo di Psicologia del 2° anno dal titolo Elementi
di Psicologia dello Sviluppo; Unità Didattica 2 del modulo di
Psicologia del 2° anno dal titolo
Elementi di Psicologia dello Sviluppo: lo sviluppo emotivo, sociale e
relazionale: rischi e risorse..
[14]
Una variabile senza dubbio influente dell’insuccesso formativo è
rappresentata poi dal mancato sostegno della famiglia. In particolare gli
atteggiamenti dei genitori nei confronti della scuola, la qualità delle
relazioni interne al nucleo familiare, la serenità delle convivenze,
costituiscono fattori che giocano un peso rilevante nel percorso scolastico
e di crescita personale dei giovani (Liverta Sempio O., Confalonieri E.,
Scaratti, G. a cura di, L’abbandono
scolastico. Aspetti culturali, cognitivi, affettivi, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 1999 p.
44-57).
[15]
Il tasso
di dispersione rappresenta la percentuale degli alunni non
presenti nella classe successiva a quella di osservazione, escludendo gli
alunni trasferiti ad altre scuole. Il valore si ottiene stabilendo un
rapporto tra il numero degli alunni non presenti nella classe successiva e
il numero degli iscritti e frequentanti la classe precedente. Se viene
registrato, ad esempio, un tasso del 25%, significa che si sono dispersi 5
alunni su 20 (5:20=X:100).
[16]
Cairo, M.T., "La dispersione
scolastica: aspetti e problemi", Scuola
e didattica, a. 3, n. 15, 15 aprile 1994, p 54.
[17]
L'insieme dei fattori negativi, scolastici ed extrascolastici, che possono
comportare disagi, demotivazione, disturbi nel processo di formazione degli
alunni. Individuare le situazioni di rischio, analizzarle, mettere in atto
strategie per contrastare o ridurre l'incidenza dei fattori negativi,
rappresenta un presupposto per una efficace lotta alla dispersione
scolastica.
[18]
Gatullo M., La dispersione scolastica in Italia dalle elementari alle
medie superiori, in
“Scuola e Città, , 1, 1989, pp. 533-539.
[19] Si usa anche il termine “Drop out”
che significa
cader fuori, uscire dal sistema scolastico formativo e/o disperdersi.
[20]
La catena di insuccessi sul piano dell’apprendimento può contribuire a
creare nell’alunno una situazione di marginalità psicologica, che si
traduce in marginalità scolastica. La marginalità scolastica si accompagna
di solito alla marginalità sociale, determinando un circolo vizioso che
demotiva progressivamente i soggetti, che si sentono inadeguati rispetto
alle richieste della scuola.
[21]
Schema ripreso da http://www.itcgfermi.it/eucon/dispers/coseh/coseh.htm
.
[22]
Smiraglia S.- Strollo M. R., Gli anni-ponte dalla media alla superiore:
la progettazione didattica in contesti a rischio di dispersione, in A.
Cunti., La dispersione scolastica, Pensa Multimedia Editore, Lecce, 1999, p.
222.
[23]
Benvenuto G-Natoli V., Strumenti normativi per combattere la dispersione
scolastica, in Indagine sulla dispersione scolastica, a cura di
Benvenuto G.-Rescalli G.-Visalberghi A., La Nuova Italia, Firenze, 2000., p.
28.
[24]
Batini F..- Iavarone M. L.., Dispersione scolastica e disturbi
dell’apprendimento, in La scuola che voglio, a cura di Batini
F., Editrice Zona, Arezzo, 2002, p.
48.
[25]
Buccino, F., "La dispersione
scolastica", Proiezioni,
a. 1, n. 3, maggio 1995, pp 46-47.
[26]
Sulla suddetta problematica si veda il testo: Mangano A..-De Grazia A., Scuola,
marginalità, devianza, Qualecultura, Vibo Valentia, 1994.
[27]
Groppo, M. et al., "I drop-out
dell’obbligo scolastico. Un’analisi descrittiva", Archivio di
Psicologia, Neurologia e Psichiatria, a. 54, n. 1, gennaio-marzo 1993, pp
81-94.
[28]
Cf. Alberigi Quaranta A., La
dispersione scolastica in Italia, Il
Mulino, a. 43, n. 4, luglio-agosto 1994, pp 702-716. Groppo, M. et al.,
"I drop-out dell’obbligo scolastico. Un’analisi descrittiva",
Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, a. 54, n. 1, gennaio-marzo
1993, pp 81-94.
[29]
Schema ripreso da http://www.itcgfermi.it/eucon/dispers/coseh/coseh.htm
.
[30]
Cambi F., Storia della pedagogia, Laterza, Bari, 1995, p 382.
[31]
Saracino V., La dispersione quale emergenza educativa: la dimensione
socio-politica, in Cunti, A, op. cit.,
p. 33.
[32]
“La scuola non è pane” diceva un fraticello nel romanzo di Cesare Abba Da
Quarto al Volturno, poiché non dà il pane necessario al sostentamento
quotidiano.
[33]
Ibidem.
[34]
Semeraro A., II sistema scolastico
italiano, la Nuova Italia, Firenze, 1996, p. 58.
[35]
Ulivieri S., Storia della pedagogia,
in I saperi dell’educazione, a
cura di Cambi F.-Orefice P.-Ragazzini D., La Nuova Italia,
Firenze,
1995, pp. 166-167.
[36]
Cambi F,
op. cit., p. 329.
[37]
Semeraro A., op. cit., p. 112.
[38]
Come scrive Pizzitola:“Poveri e ricchi, per decenni, non frequentano
nemmeno gli studi iniziali. 1 primi, semplicemente, perché, come detto,
noti se lo possono permettere,, o non vedono buone ragioni per affrontare i
costi dell'impresa; i secondi perché trovano pericoloso esporre i propri
figli alle contaminazioni e ai contagi che possono derivare dalla promiscuità
della scuola pubblica. Dietro l'apparente analogia delle scelte, si
stabiliscono grandi disparità fra coloro che mancano all'appuntamento
istituzionale. Le differenze si riferiscono scopertamente a ragioni di
censo” (Pizzitola A., Storia della scuola e delle istituzioni educative, in
“ I saperi dell’educazione”,
op. cit., pp. 204-205).
[39]
Come ha evidenziato la prof.ssa Di Bello, nell’U.D. 2 del modulo
organizzativo-normativo-sanitario del 1° anno dal titolo Linee
evolutive del sistema scolastico della prima Repubblica,
[40]
G. Genovesi, Storia della scuola in
Italia dal Settecento ad oggi. Laterza, Roma-Bari, 1998, p. 190.
[41]
La selezione vigente nella scuola media di quegli anni provocava moltissimi
casi di dispersione e abbandono scolastico, come è ricordato nella Lettera
ad una professoressa (Lettere ad una Professoressa, , Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze, 1967), in cui si denunciava come la scuola media, nata
per istruire gli alunni dagli undici ai quattordici anni appartenenti a
tutte le classi sociali, emarginasse i figli delle classi più basse: non
solo non li aiutava ad apprendere, ma perfino li relegava alla loro
marginalità sociale.
[42]
Più della metà dei docenti, ancorati direttamente o meno all'eredità
gentiliana, si dimostrarono, ad un’inchiesta del 1966, violentemente
contrari al carattere non selettivo della scuola media unica, cioè senza
dubbio si opponevano all’aspetto più importante e profondo della riforma.
Nata dalle pressioni delle classi al vertice ed alla base della società
italiana, la riforma della scuola media ha incontrato la violenta
opposizione della classe media, ed in particolare degli insegnanti che, per
la loro origine sociale, la posizione occupata ed il molo svolto, sono di
questa classe i più fedeli rappresentanti. “Non era certo difficile
prevedere l'opposizione degli insegnanti alla riforma della scuola media.
Anche lasciando da parte ogni considerazione sulla posizione sociale degli
insegnanti, e quindi sul loro sistema di valori, o sulle resistenze al
cambiamento che immancabilmente si verificano in una organizzazione ogni
qual volta innovazioni provenienti dall'esterno rimettano in discussione
il suo sistema di ruoli. (…) L'unica indagine condotta prima della
riforma, a dire il vero con metodi più « giornalistici » che «
scientifici », mette in luce una profonda incomprensione a parte della
grande maggioranza degli insegnanti medi dei motivi sociali della legge di
riforma”[42].
(Barbagli M. e Dei M., Le vestali
della classe media, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 78)
[43]
Come afferma Tristano Codignola: “La libertà nella scuola è, a norma del
1° comma dell’art. 33, la condizione pregiudiziale dell’esistenza della
scuola pubblica nel sistema costituzionale italiano. Istituendo scuole di
ogni ordine e grado, lo Stato poggia su quel principio fondamentale la sua
funzione educativa. Su quel principio si fonda il sistema di reclutamento
del personale insegnante (che non ammette discriminazioni ideologiche), la
piena libertà dell’insegnamento, il diritto dell’alunno al rispetto
pieno dello sviluppo della sua personalità (all’infuori di ogni
pregiudiziale ideologica, religiosa, politica). Questa è la scuola di
tutti, ed è a questa che lo Stato dà le sue cure. L’obbligatorietà e la
gratuità sono le conseguenze dell’impegno integrale dello Stato in sede
educativa e del carattere della sua scuola: offrendo lo Stato una scuola per
tutti gli ordini e gradi in cui libero è l’insegnamento, questa e
soltanto questa è la scuola aperta a tutti, questa e soltanto questa è
obbligatoria e gratuita. Lo Stato non può obbligare a frequentare e non può
offrire gratuitamente se non la sua scuola". (Codignola T., Nascita e morte di un Piano, La Nuova Italia, Firenze, 1962, pp.
3-4)
[44]
Art. 731 del Codice penale: “(Inosservanza
dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori) Chiunque, rivestito
di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza
giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare
è punito con l'ammenda fino a lire 60.000”.
[45]
Orefice P. Pedagogia sociale: la
dimensione sociale della scuola e dell’educazione agli adulti nella scuola
contemporanea, in I saperi
dell’educazione, op. cit.,
1995, p. 68.
[46]
G. Genovesi, op. cit., p. 200.
[47]
Benvenuto G-Natoli V., op. cit., p. 30.
[48]
Citerò alcuni articoli del Decreto Ministeriale
n. 323 del 9 agosto 1999 sull’Adempimento
dell'obbligo scolastico (Gazzetta
Ufficiale n. 218 del 16 settembre 1999):
Art
1. Al fine di migliorare la qualità del livello di istruzione dei giovani,
adeguandolo agli standard europei, e di prevenire e contrastare la
dispersione scolastica potenziando le capacità di scelta degli alunni,
l'obbligo di istruzione è elevato a nove anni in prima applicazione.
Art
2. All'obbligo scolastico si adempie frequentando le scuole elementari,
medie e il primo anno delle scuole secondarie superiori, statali o non
statali, abilitate al rilascio di titoli di studio riconosciuti dallo Stato
o anche privatamente, secondo le norme di cui alla parte seconda, titolo
secondo, capo primo del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
Art
3. Ha adempiuto all'obbligo scolastico l'alunno che abbia conseguito la
promozione al secondo anno di scuola secondaria superiore; chi non l'abbia
conseguita è prosciolto dall'obbligo se, al compimento del quindicesimo
anno d'età, dimostri di aver osservato per almeno nove anni le norme
sull'obbligo scolastico.
[49]
Ivi, p. 201.
[50]
Frabboni F.,Interviste a testimoni privilegiati, in Indagine sulla
dispersione scolastica, op. cit., p. 230.
[51]
Bonetta G, op. cit., pp. 345-348.
[52]
Bettoni C., Recenti indagini sul fenomeno della dispersione scolastica in
Italia, in Indagine sulla dispersione scolastica, op. cit., p.
48.
[53]
L’esigenza della formazione permanente è stata promossa, infatti, con
l’OM n. 455 del 29 luglio 1997 che istituisce i Centri Territoriali
Permanenti per l’Educazione degli adulti (EDA). Conosco molto bene questa
realtà poiché ho insegnato Inglese nel Centro Territoriale del Valdarno
aretino e mi sono reso conto che l’idea di formazione sta cambiando,. I
miei alunni (tutti sopra la trentina) erano, infatti, estremamente motivati
ed interessati alla promozione della propria persona attraverso
l’acquisizione di nuove conoscenze.
[54]
Si veda Bettoni C., op. cit., p. 48.
[55]
Ivi., p.
47.
[56]
Sono stati seguiti i seguenti obiettivi di indagine e ricerca, che possono
essere così elencati: una
analisi della situazione esistente; uno studio in profondità delle
motivazioni degli abbandoni; un coinvolgimento attraverso una valorizzazione
di esperienze dirette della scuola militante; 6) una sperimentazione di
attività specifiche tendenti ad affrontare i fattori della dispersione; una
proposta di innovazioni sul piano disciplinare ed organizzativo da
introdurre nelle scuole (Cf. Benvenuto, Rescalli, Visalberghi, a cura di, Indagine
sulla Dispersione scolastica, Firenze, La Nuova Italia, 2000).
[57]
L’autonomia è stato approvato con la legge n. 59 del 15 marzo 1997 e
confermata il DM n. 251 del 29 maggio 1998.
[58]
Natoli V.- Attività antidispersione nella progettazione scolastica: Pei
e Pof, in Indagine sulla dispersione scolastica, op. cit., p. 56.
[59] Anche
la Moratti è intervenuta nella
Conferenza
Interministeriale "Disagio giovanile e
dispersione scolastica" San
Patrignano, 3 - 4 ottobre 2003. L’ottica del governo di
Destra è basato sulla lotta alla dispersione come lotta alla dispersione di
risorse e non come reale incentivazione della cultura.
Per leggere l’intervento della ministra, si consulti, comunque,
l’articolo in: www.istruzione.it/prehome/ministro/interventi/2003/03_10_03.shtml.
[60]
Palermo D.- Scidà G., Catania,
“Cattiva madre”, in Il bambino
bruciato, op. cit., p.45.
[61]
De Mauro T., Dispersione scolastica e
marginalità sociale : causa ed effetto, in Il
bambino bruciato, op.
cit., p 139.
[62]
Ivi, p. 138.
[63]
Un’interessante analisi sociologica sulla realtà ambientale di Napoli,
sulla disoccupazione, sulle disfunzioni dei servizi sociosanitari e
dell’apparato politico amministrativo è fornito dal saggio di Melita
Cavallo: Napoli, la città mancata:
vite “a senso unico” nella testimonianza di un giudice minorile,.
Qui l’autrice si sofferma anche sull’inquietante fenomeno del mercato
dei bambini, conseguenza del degrado culturale e socioambientale. “essi
provengono, ancora una volta, dalle estese fasce della emarginazione
sociale, dove non c’è contraccezione, perché nulla si programma, tanto
meno la vita; dove spesso le ragazze vedono come unica sistemazione il
matrimonio e come unico mezzo il figlio; ma dove spesso sono poi lasciate
sole, nella disperazione profonda di un figlio indesiderato, procreato solo
nella speranza di stringere un rapporto. Oppure questi bambini sono frutto
di violenze sessuali, di rapporti incestuosi, o quasi, concepiti con il
convivente della madre, o figli di madre barbone, sbandate, disturbate nella
mente di cui nessuno si è mai occupato; figli di drogate, alcolizzate,
vissute per anni nella strada e finite alla deriva” (Cavallo M., Napoli, la città mancata: vite “a senso unico” nella testimonianza
di un giudice minorile, in Il
bambino bruciato, op. cit., p.. 35)..
[64]
Si veda Liverta Sempio O., Confalonieri, E., Scaratti, G., "I
dropout nella scuola dell’obbligo : aspetti relazionali", in
M. D’Alessio, P.E. Ricci Bitti, G. Villone Betocchi, Gli
indicatori psicologici e sociali del rischio, Gnocchi,
Napoli, 1995,, pp 226-239.
[65]
Si veda Cattaneo, P. (a cura di), Dispersione
scolastica: atti del seminario regionale di valutazione, Palermo, 4-6
novembre 1992, Palermo, Nuovagraphicadie, 1994.
[66]
Si veda Distretto Scolastico n. 19, Pisa, Il disagio scolastico: abbandono,
insuccesso e dispersione. Indagine esplorativa nell’"area
pisana" (aa.ss. 1985-86, 1989-90), Pisa, Editrice Universitaria
Litografia Felici, 1995.
[67]
Lancini
M.
(Star male a scuola, in 16 anni più o meno, a cura di Rosci L., F.
Angeli, Milano, 2000) riporta un'indagine
sulla dispersione scolastica e sulla ripetenza
nella scuola secondaria italiana secondo cui la
metà dei giovani italiani,
il 44,9 % possiede un percorso formativo
non lineare
caratterizzato da abbandono
degli studi, interruzione
prolungata degli studi, trasferimento e ripetenza,
mentre il 30% degli individui
di età superiore ai venti anni non ha mai terminato
un ciclo di istruzione secondaria
superiore.
[68]
Calvaruso C. La cultura giovanile
tratto da Ragazzi della mafia, a
cura di F. Occhiogrosso, F. Angeli, Milano, 1993.
[69]
Crespi F., Manuale
di sociologia della cultura, Laterza, Roma-Bari, 1996., p. 206.
[70]
Ivi, p. 207.
[71]
Batini F..-Mongelli A., Una dama è una dama, una fioraia è una fioraia,
in La scuola che voglio, op. cit., pp. 25-26.
[72]
Batini F.., Introduzione, in La scuola che voglio, op. cit.,
p. 10.
[73]
Smiraglia S., Il successo e l’insuccesso scolastico nella prospettiva
psicologica dei processi attribuzionali, in La dispersione scolastica,
op. cit.,
p. 57.
[74]
Rossi B., Intersoggettività e
educazione, Brescia, ed. La Scuola, 1992, p. 120.
[75]
Come ha affermato il Prof. Piacentini nell’Unità Didattica 4 del modulo
organizzativo-normativo-sanitario del 2° anno dal titolo: Linee
di riforma della scuola secondaria negli ultimi trent’anni.
[76]
Batini F.., La scuola che voglio: progetto contro la dispersione, in La
scuola che voglio, op. cit., p.
87.
[77]
Corbi E., L’educazione ambientale contro la dispersione: la dimensione
“locale” e quella “planetaria”, in La dispersione scolastica,
in Cunti, A. (a cura di), La
dispersione scolastica, op. cit.,
p. 52.
[78]
Beccatelli Guerrieri G., Aspetti sociologici dei processi formativi,
in F. Cambi, P. Orefice (a cura di), Fondamenti teorici del processo
formativo. Contributi per un’interpretazione, Liguori, Napoli, 1996,
p. 213.
[79]
L'atteggiamento ermeneutico, ossia la volontà di interpretare ed incrociare
quelli che sono i diversi punti di vista, è un altro strumento di
cooperazione e socializzazione tra culture diverse. Al riguardo Mariangela
Giusti ( L'educazione interculturale
nella scuola di base, La nuova Italia, Firenze, 1999) ha riunito questi
due comportamenti nel termine "comprensione dialogica" con il
quale si indica questa ricerca costante di integrazione dei saperi che ci
appartengono con quelli provenienti dalle culture "altre". Lo
studio della Giusti si rivolge alle scuole toscane, in cui si osserva un
assai rapido processo di accrescimento della presenza di stranieri. Riguardo
a questa nuova condizione essa individua quattro principali atteggiamenti
che hanno come attori gli insegnanti. Il “multiculturalismo
benevolo-ingenuo”, come lo definisce la Gibson, ossia quel tipo di
educazione particolarmente volta ad una integrazione all'interno della
cultura preesistente dei ragazzi appartenenti ad altre culture. Il secondo
è un atteggiamento caratterizzato da una volontà livellatrice da parte
dell'insegnante, che pone come obiettivo della scuola la riduzione delle
differenze tra gli alunni. Ambedue questi atteggiamenti vedono nella comunità
maggioritaria e preesistente lo sfondo per qualsiasi integrazione e tendono
ad avvicinare la cultura ospitata al mondo e alla cultura ospitante. A
questi due atteggiamenti si contrappongono coloro che pongono maggiore
attenzione alle culture d'origine. I primi sono i sostenitori di
un’“educazione multiculturale come pluralismo culturale” che non prevede l'appiattimento delle differenze, ma il
mantenimento per gli stranieri delle radici e della lingua d'origine. In
fine, ancora su questa linea, vi è “l’impostazione
pedagogico‑didattica”, che
vede l’educazione multiculturale come insegnamento di ciò che appartiene
a culture differenti, e quindi si pone l'obiettivo di confrontare e far
dialogare le culture diverse tra di loro. A questi comportamenti didattici
rispondono tre differenti impostazioni di fondo, la teoria
della conformità dominante, con la quale si tende ad assimilare le
culture "altre" a quella dominante, la teoria
dell'amalgama sociale nella quale prevale in fin dei conti la cultura
del gruppo dominante, la teoria del
pluralismo modificato, secondo la quale ciascuno mantiene la propria
cultura di base, ma si lascia influenzare e modificare a vicenda dalle altre
culture. In quest'ultima ottica la scuola rappresenta lo sfondo integratore nel quale si raccordano e si intrecciano le
diverse competenze così da comporre quella comunità colorata che troviamo
ben rappresentata negli intenti della proposta di legge. La scuola
rappresenta, anche ad una prima osservazione, il terreno nel quale si
sviluppano i contatti tra le culture, ma soprattutto si definiscono le
condizioni principali del rapporto tra cultura dominante e cultura
'altra". In sostanza il ventaglio di atteggiamenti adottato dagli
insegnanti, quasi sempre per parte loro appartenenti alla cultura dominante,
condiziona assai più di altri il rapporto tra fanciullo di una cultura
esterna e la società che lo ospita, poiché la scuola rappresenta pressoché
ovunque una delle massime strutture organizzative statali. In seguito a ciò,
entro un contesto legislativo certamente volto a migliorare le condizioni di
accoglienza per gli stranieri, intendiamo porci un interrogativo che in
parte già traspare dal commento della Giusti, ossia quali siano gli
effettivi ostacoli alla sua attuazione, o per meglio dire quali siano le
possibili risposte a tale interrogativo, e quante siano allo stato attuale
dei fatti le speranze della messa in pratica di comportamenti pluralistici
veri ed efficaci, giacché l'essere "altro", rispetto al modello
dominante nella quotidianità dei fatti, rappresenta un ostacolo quasi
insormontabile al raggiungimento di livelli accettabili di uguaglianza.
[80]
Argyle M., Le competenze sociali,
in S. Moscovici (a cura di), La
relazione con l’altro, Raffaello, Milano,
1997, p. 109.
[81]
Brint S., .Scuola e società, Il
Mulino, Bologna, 1999, pp. 193.
[82]
Ivi, p. 206.
[83]
Ivi, p. 208.
[84]
Pisati M., La
mobilità sociale, Il Mulino, Bologna, 1999,
p. 239.
[85]
De Mauro T., Dispersione scolastica e marginalità sociale : causa
ed effetto, in Il bambino bruciato, op. cit., p 140.
[86]
Ivi, p. 145.
[87] Brint S., op. cit., p. 224.
[88]
Ivi., p.
245.
[89]
Se la socializzazione all'interno
del gruppo primario risulta incompleta e traumatizzante
vi sono i presupposti per una personalità debolmente
strutturata, e quindi più soggetta ad essere destabilizzata dalle
molteplici richieste di ruolo del più ampio contesto sociale. Nel momento
in cui l'individuo ha vissuto un processo di socializzazione
nell'ambito familiare, scolastico
o lavorativo scoordinato, si hanno le premesse per una personalità non
integrata socialmente.
[90]
Corradini L., Una lettura pedagogica
della dispersione scolastica, in La
Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento
Punta ala (Gr), Istituto
Enciclopedia Italiana, Roma, 1989, p. 46.
[91]
Orefice P., Progettualità
interistituzionale, in La
Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento
Punta ala (Gr), op. cit,. p, 73.
[92]
Sull’handicap importante è il contributo di Gabriel Levi che afferma che
il modo migliore per un allievo portatore di handicap “di percorrere come
un treno tutta la scuola dell’obbligo, è di essere dichiarato portatore
di handicap” per ammortizzare la ripetenza , che è una ridicola verità
ancora oggi e per alcuni aspetti costituisce un’espulssione silenziosa”
(Levi G., Handicap e sofferenza mentale nella dispersione scolastica, in,
La Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento
Punta ala (Gr), op. cit,. p. 36) del
bambino handicappato.
[93]
Menesini E., Bullismo che fare?,
prevenzione e strategie d’intervento nella scuola, Edizioni Giunti, p.
15.
[94]
Striano, M., Cognizione e
metacognizione nell’apprendimento-insegnamento, in Cunti A., op. cit., p. 170.
[95] Brint S., op. cit., p. 295.
[96]
Boscolo P., La motivazione ad
apprendere fra ricerca psicologica e senso comune, articolo psicologico
tratto dal sito Internet:
www.edscuola.it/archivio/antologia/scuolacitta/boscolo_2pdf,,
p. 87.
[97]
I processi di socializzazione
concorrono alla formazione della persona, poiché
"è difficile parlare della nostra identità senza riferirci alle sue
radici relazionali e sociali" (Melucci A., Op.
cit., p. 36). Non possiamo in modo rigido separare gli aspetti
individuali da quelli socio-relazionali
poiché l'identità è un unicum:
"si presenta come un
processo di apprendimento, che porta all'autonomizzazione
di un soggetto" (Melucci A., op.
cit., p. 36). Identità significa
pertanto, interazione
fra auto‑identificazione (definizione che
diamo di noi stessi) e etero‑identificazione
(riconoscimento
che gli altri ci danno). La costruzione dell'identità
è molto complessa: “la
dimensione dell'adolescenza é diventata il paradigma
dell'identità imperfetta, in continua costruzione e mutazione”
(Rebughini P., Violenza e spazio
urbano, op. cit., p. 131).
[98]
In termini generali, la motivazione all’apprendimento si può definire
come un insieme di bisogni, tendenze, valori, aspettative, preferenze che
intervengono nell’attivare, dirigere e sostenere il processo di
costruzione di conoscenze e abilità. La motivazione scolastica è un
processo complesso che interagisce con convinzioni relative al sé, alle
proprie capacità, al compito e alla situazione di apprendimento, alla
spiegazione dell’insuccesso e della riuscita scolastica. Si tratta,
inoltre, di un processo che può essere innescato e rinforzato
estrinsecamente (l’attività di studio e apprendimento è finalizzata ad
una ricompensa esterna) o intrinsecamente (l’attività di studio è
un’esperienza in se stessa gratificante).
[99]
Boscolo P., op. cit., p. 85.
[100]
Maslow propose un ordine dei bisogni secondo il quale alcuni bisogni vanno
soddisfatti prima che nascano quelli del livello successivo: 1) Bisogni
fisiologici : fame, sete,
sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo, sono i bisogni fondamentali
,connessi con la sopravvivenza . “) Bisogni di sicurezza : devono
garantire all'individuo protezione e tranquillità; Bisogno di appartenenza
consiste nella necessità di sentirsi parte di un gruppo, di essere amato e
di amare e di cooperare con altri . E'
molto sentito dall'adolescenza; Bisogno di stima :riguarda il bisogno di
essere rispettato, apprezzato ed approvato, di sentirti competente e
produttivo; Bisogno di auto realizzazione :inteso come l'esigenza di
realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie
aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio
gruppo .A questi cinque livelli si aggiunge il "Bisogno di trascendenza" inteso come tendenza ad andare
oltre se stessi, per sentirsi parte di una realtà più vasta, cosmica o
divina, che prof. Boschi ha diviso in Bisogni di conoscere e capire o
bisogni intelllettuali e Bisogni estetici o di creare arte.
(Lezione del prof. Boschi, Unità Didattica 3 del modulo di Psicologia del 1°
anno dal titolo: Apprendimento e
competenze emotivo-affettive).
[101]
Riva A., La motivazione, Editrice la Scuola, Brescia, 1964, p. 74.
[102]
L’età può essere considerata un fattore intrinseco in quanto riferita ai
processi biologici 8età anagrafica) ed estrinseco, in quanto legata allo
sviluppo mentale del singolo.
[103]
Anna Freud spiega che gli istinti, ora, e non solo quelli sessuali aumentano
di intensità e quantità: l'aggressività diventa turbolenza; la fame
voracità; la cattiveria sfocia in comportamenti di crudeltà o antisocialità;
la mancanza di pulizia si trasforma in disordine e sporcizia; la modestia e
la simpatia danno luogo a tendenze esibizionistiche.
[104]
Cacciaguerra F., La pubertà: scoperte
e conflitti, in "Scuola e didattica”, 1990/91, n. 2, pp. 13.
[105]
Levi G., op. cit., p. 38.
[106]
Boscolo P., op. cit., p. 85.
[107] Brint S., op. cit., p. 295.
[108]
Cocchi
R., Il disadattamento scolastico,
in: Strutture e dinamiche
neuropsicopatologiche in età evolutiva. Montefeltro, Urbino 1985,
pp.53-69 .
[109]
Nell'ambito scolastico ed extrascolastico il
gruppo costituisce l'elemento fondamentale della socializzazione, ove il
giovane si costruisce l'immagine di sé. La banda ‑ per la Rebughini-
può essere interpretata come "un sostituto materno, un involucro
protettivo in cui non solo le responsabilità sono diluite e quindi ci si può
lasciare andare ad atteggiamenti infantili e regressivi, all’espressione
pulsionale come urinare e sputare dove capita, lanciare grida improvvise”,
distruggere oggetti e perfino attaccare un individuo indifeso (Rebughini P.,
Violenza e spazio urbano, Guerini,
Milano, 2001., p. 133).. Questo
fenomeno è denominato bullismo e si configura
"come un insieme di
atteggiamenti che mirano deliberatamente, e
sistematicamente a ferire l'altro" (Mariani U.- Schiralli R., Costruire il benessere
personale in classe,
Erickson, Trento, p.
33) attraverso azioni fisiche come pestaggi,
forme verbali di derisione, insulti e affermazioni razziste. Rientrano
inoltre in questo atteggiamento anche forme indirette, come l'esclusione dal
gruppo, la diffusione sistematica di pettegolezzi. I bulli non riescono a
sostenere relazioni paritarie:
il loro desiderio di prevalere, intimidire e spaventare, mosso da un intrinseco bisogno di significato, è finalizzato
all'affermazione di sé nei confronti degli
altri. Avviene talvolta che la vittima di tale aggressioni si rifiuti di
voler venire a scuola.
[110]
Corradini L., Una lettura pedagogica
della dispersione scolastica, in La
Dispersione scolastica, Atti del seminario Nazionale di aggiornamento
Punta ala (Gr), op.
cit., p. 50.
[111]
Riva A., op. cit., p. 75.
[112]
Cunti A., Il fenomeno della
dispersione scolastica: una lettura pedagogica, in Cunti, A. (a cura
di), La dispersione scolastica, Pensa Multimedia Editore, Lecce, 1999, p.
22.
[113]
Ciambella L., Le dinamiche affettive e relazionali,
nell’apprendimento-insegnamento, in Cunti, A., op. cit., p.
135.
[114]
Buber M., Il principio dialogico e
altri saggi, Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo, 1993, p. 12
[115]
Ivi, p. 15.
[116]
Fratini C., Le dinamiche affettive
relazionali nei processi di insegnamento-apprendimento,
in Nel conflitto delle emozioni, a
cura di F. Cambi, Armando, Roma, 1998., p. 163.
[117]
Ibidem.
[118]
Franta H, Atteggiamenti
dell’educatore, Libreria Ateneo Salesiano,
Roma, 1988, p. 185.
[119]
Rossi B., Pedagogia degli affetti,
Roma-Bari, Laterza, 2002., p. 10.
[120]
Si veda Bloom B.S., Caratteristiche
umane e apprendimento scolastico, Roma, Armando, 1979.
[121]
Bowlby J., Attaccamento e perdita.
L’attaccamento alla madre. Boringhieri, Torino, 1976. Secondo le
proposte teoriche di questo autore il legame di attaccamento alla madre può
essere considerato il prototipo di tutte le relazioni affettive e sociali di
un individuo
[122]
Galanti M. A., Affetti ed empatia
nella relazione educativa, Liguori
Editore, Napoli., p. 86.
[123]
Fratini C., Le dinamiche affettive
relazionali nei processi di insegnamento-apprendimento,
in op. cit., p. 163.
[124]
Fratini C., La relazione allievo
insegnante: un modello di comprensione psicanalitico, in Nel
conflitto delle emozioni, op. cit.,
p. 179.
[125]
Spranger E., La vita educa,
Brescia, La scuola, 1965, p. 98.
[126]
Ibidem.
[127]
Sarsini D., La professionalità
docente: oltre i modelli riduttivi, verso un incrocio di competenze, in Nel conflitto delle emozioni, op.
cit., pp. 194-195.
[128]
Ivi, p. 193.
[129]
Franta H, op. cit., p. 56.
[130]
Rossi B., op. cit., p. 87.
[131]
L’insegnante deve essere
sempre pronto a ricevere i segnali trasmessi, a volte in modo confuso, dagli
allievi. Per ascolto si intende la disponibilità per ciò che viene detto e
fatto al fine di trasmettere agli alunni la convinzione del loro valore in
quanto soggetti, le risposte alle loro domande e la decodificazione dei
contenuti latenti nei messaggi
[132]
Galanti M. A., op. cit., p. 118.
[133]
Secondo Gardner la competenza empatica è educabile, poiché essa fa parte
dell’ intelligenza intrapersonale: è “un’intelligenza che conosce
livelli di espressione e di esercizio” (Rossi B., op.
cit., p. 59).
[134]
Rogers C. R., Libertà
nell’apprendimento, trad.it, Firenze, Giunti-Barbera, 1973, p. 142.
[135]
Galanti M. A., op. cit., p. 125.
[136]
Fratini C., Le dinamiche affettive
relazionali nei processi di insegnamento-apprendimento,
in op. cit., p. 163.
[137]
Galanti M. A., op. cit., p. 120.
[138]
Ivi., p. 128.
[139]
Galanti M. A., op. cit., p. 92.
[140]
Corbi E., op. cit., p. 49.
[141]
Vygotskij L.S., Apprendimento e sviluppo nell’età scolare, in
Vygotskij, Luria, Leontjev, Psicologia e Pedagogia, Roma, Editori
Riuniti, 1970, p. 37.
[142]
Batini F..-Mongelli A., Una dama è una dama, una fioraia è una fioraia,
in La scuola che voglio, op. cit., p. 28.
[143]
Spesso tra alunni si è soliti con estremo “gregarismo” seguire le
dinamiche di gruppo. Si pensi agli “scioperi”, le cui motivazioni spesso
oscure ai partecipanti. Spesso il sentito dire, l’esempio di un compagno
che marina la scuola o che non la frequenta può influire negativamente sul
gruppo.
[144]
Quando nel gruppo prevalgono i bisogni di sicurezza si attua la ricerca di
un singolo che possieda agli occhi della maggioranza le caratteristiche del
leader e che sappia infondere negli altri la stabilità necessaria, le cui
idee e comportamenti diventano la “cultura” del gruppo. Si determina,
così, un equilibrio che è destinato a rompersi nel momento in cui il
leader non si dimostrerà all’altezza della situazione o darà prova
dell’incapacità di soddisfare le aspettative del gruppo. Sul piano
emotivo si verifica allora una forte componente di ansia e frustrazione e si
registra una diversa mobilitazione e organizzazione delle spinte emotive.
Per superare la delusione provocata dal fallimento del leader, può nascere
un’alleanza tra due membri che ricrea una leadership duale a cui viene
delegato il compito di partorire un’idea messianica che dovrà svolgere il
ruolo salvifico di risolvere tutti i problemi del gruppo. Se invece prevale
l’aggressività a causa di un forte senso di insoddisfazione, le spinte
emotive del gruppo possono essere dirette verso un nemico esterno
immaginario o verso gli obiettivi razionali del gruppo che vengono
indirettamente boicottati o esplicitamente rifiutati. Queste diverse
dinamiche emotive, immediate e automatiche, rappresentano delle modalità
difensive che il gruppo pone per contenere l’ansia e l’aggressività e
soddisfare i bisogni di coesione e sicurezza.
[145]
Argyle M., op. cit., p. 118.
[146]
Taifel H.-Forgas J.P., La
categorizzazione sociale: cognizioni valori e gruppi, in V. Ugazio, La
costruzione della conoscenza, L'approccio europeo alla cognizione del
sociale, Angeli, Milano, 1988, p. 143.
[147] Taifel H.-Forgas J.P., op.
cit, p. 160.
[148] Turner J.C.,. Verso una ridefinizione cognitivista del gruppo sociale,
in Ugazio V., La costruzione della conoscenza, op.cit., 172.
[149]
Durante la mia esperienza di insegnamento ho osservato spesso nelle classi
soggetti aggressivi con atteggiamenti provocatori nei confronti
dell’insegnante. Far fronte a questo tipo di comportamenti non è facile
perché istintivamente si tende a rispondere con la stessa aggressività;
invece ho constatato che l’atteggiamento migliore è quello di non
rispondere alle provocazioni tenendo presente che la ribellione nasconde
quasi sempre una palese richiesta di aiuto per una situazione di disagio.
[150]
Schröder H., Comunicazione,
informazione, istruzione, Roma, Armando editore, 1975, p. 51.
[151]
Cunti A., Il fenomeno della
dispersione scolastica: una lettura pedagogica, op. cit., p. 24.
[152] D. Wunderlich-Maas M., Pragmatik und
sprachliches Verbhalten, Frankfurt, Athenaum, 1972 in H. Franta, Atteggiamenti
dell’educatore, Roma, Las, 1988, p. 10.
[153]
Smiraglia S.- Strollo M. R.,, op. cit., p. 244.
[154]
Ciambella C., op. cit., p. 139.
[155]
Striano, M., op. cit., p. 169.
[156]
Smiraglia S.- Strollo M. R.,, op. cit., p. 244.
[157]
Le forme di insegnamento tradizionale si manifestano in tre varianti: la
sollecitazione, la lezione e il colloquio. La sollecitazione serve a
informare l’allievo sulle intenzioni del docente e può essere effettuata
attraverso forme più leggere (richiesta o domanda) o coercitive (ordine o
imposizione). La lezione è il momento centrale, in cui il docente presenta
il contenuto della propria disciplina agli studenti di una classe. Secondo
la teoria dell'informazione, la forma del messaggio (quantità delle informazioni e
velocità della loro trasmissione) costituisce uno strumento sufficiente per
la trasmissione efficace del contenuto, ma nella realtà non solo non tutto
quello che viene detto dal docente è assorbito dal discente, ma “la
quantità di informazioni assorbita è per lo più di gran lunga inferiore
rispetto a quella offerta”28. Il
docente spesso spiega il contenuto della lezione frontale con un linguaggio
complesso e con la logica del proprio livello cognitivo, impedendo
all’alunno di comprendere e apprendere.
[158]
Ivi, p. 12.
[159]
Smiraglia S.- Strollo M. R, in La
dispersione scolastica, op. cit., p. 223.
[160]
Ibidem.
[161]
Benvenuto G., I profili della dispersione: interviste qualitative agli
studenti che hanno lasciato o cambiato il loro percorso di studi, in in Indagine
sulla dispersione scolastica, op. cit., p. 172.
[162]
Strategia, peraltro, usata anche nell’area trasversale della Ssis.
[163] Schröder H, op. cit., p. 56.
[164]
Cf. Bion W.R., Esperienze nei gruppi,
Roma, Armando, 1971.
[165]
Conosco la scuola molto bene e le problematiche dei discenti, poiché in
essa ho svolto il Tirocinio d’Insegnamento del I° Anno con la Prof. Nara
Dioni e poiché mia madre Lelia Burroni, ora in riposo, vi ha
insegnato 25 anni Storia dell’Arte e Disegno.
[166]
Batini F.., Struttura, metodologia e motivazioni del progetto: tra
ricerca-azione e azione partecipata ,
in La scuola che voglio, op. cit.,
p. 93.
[167]
Batini F. Materiali e attività,
in La scuola che voglio, op. cit., p. 135.
[168]
Melacarne C., Il punto di
vista di un operatore. Cantare il disagio, in La scuola che voglio,
op. cit., pp. 122-128.
[169]
Si veda, per quanto riguarda i disturbi dell’apprendimento, il percorso
didattico per lo sviluppo di abilità di lettura nella scuola dell’obbligo
della pedagogista Maria Luisa Iavarone (Iavarone M.L, Dispersione
scolastica e disturbi di apprendimento: un percorso didattico per lo
sviluppo di abilità di lettura, in Cunti, A. (a cura di), La
dispersione scolastica, op.
cit., pp. 201-217).
[170]
Unità Didattica 3 del modulo di Pedagogia generale del 2° anno dal titolo:
La Pedagogia sociale.
[171]
Bottani N., La ricreazione è finita,
Bologna, il Mulino, 1986, p. 86.
[172]
Sulla cultura didattica e sull’educazione interculturale interessante
risulta il percorso didattico proposto da Roberta Piazza che si pone il fine
di abbattere gli stereotipi e di consentire “all’alunno di assumere
consapevolezza dei pregiudizi vincolati dai libri di testo o dai
massmedia” (Piazza R.., La
scuola e la gestione delle differenze: un percorso di educazione
interculturale nella scuola dell’obbligo,
in Cunti, A. (a cura di), La dispersione scolastica, op. cit.,
p. 186).
[173] Brint S., op.cit., pp.
306-307.
[174]
Dominici G., Manuale dell'orientamento
e della didattica modulare, Laterza, Bari, 1998, p. 78.
[175]
Ho insegnato Lingua Inglese al Centro Territoriale
dell’Educazione Permanente del Valdarno presso l’Istituto Comprensivo
Petrarca-Magiotti di Montevarchi (Ar) nell a.s. .2002-2003 in 5 corsi
promossi dall’Unione Europea per un totale di 180 ore e nell’anno
2001-2002 Lingua Inglese in 3 corsi di 135 ore (Servizio Centro
Territoriale Permanente).
[176]
Nell’a.s corrente insegno Lingua Inglese, a progetto, nella sezione unica
della Scuola Materna di Montalto dell’Istituto
Comprensivo di Bucine; nell’anno
2002-2003 ho insegnato Lingua Inglese a progetto nella sezione unica
della Scuola Materna di Montalto dell’Istituto
Comprensivo di Bucine; nell’anno 2001-2002 ho insegnato Lingua Inglese a
progetto in 2 sezioni di 5 anni della Scuola Materna di Bibbiena
dell’Istituto Comprensivo Dovizi e nella sezione unica della
Scuola materna di Montalto dell’Istituto Comprensivo di Bucine;
nell’anno 2000-2001 ho insegnato Lingua Inglese a progetto in 2 sezioni di
5 anni della Scuola Materna di Bibbiena dell’Istituto Comprensivo Dovizi.
(Servizio Scuola Materna).
[177]
Ho insegnato nell’a.s. 2002-2003 nel Tecnico Commerciale Mecenate IGEA
Lingua e Civiltà Francese nella classe 4ªA e Lingua e Civiltà Inglese
nelle classi 1ªA-2ªA) per 1 mese; nell’a.s. 2001-2002 ho insegnato al
Tecnico Commerciale Mecenate IGEA Lingua e Civiltà Francese nelle classi 1ªA-2ªA-4ªA-5ªA
e Lingua e Civiltà inglese nella classe 3ªA e sono stato Commissario
interno di Francese alla Maturità commissione
ARTD00010; nell’a.s. 2000-2001 ho insegnato Lingua e Civiltà
Francese per 2 mesi all’Istituto Tecnico Commerciale Buonarroti di Arezzo
nella classe 1ªC e per 8 mesi nel Tecnico Commerciale Mecenate IGEA nelle
classi 4ªA-5ªA e sono stato Commissario interno In sostituzione di Lingua
e Civiltà Inglese alla Maturità commissione ARTP03001(Servizio
Scuola Superiore).
[178]
Nell’a.s corrente insegno Lingua Inglese, con incarico annuale, nella
classi 1ªC-2ªC-2D-3ªC-4ªC-5C della Scuola Elementare di Pergine
Valdarno-Montalto dell’Istituto Comprensivo U. Foscolo di Bucine e con
incarico del Preside nelle classi 3ªA-4ªA-5A della Scuola Elementare di
Mercatale in Valdarno dell’Istituto Comprensivo Petrarca Magiotti di
Montevarchi; nell’anno scolastico 2002-2003 ho insegnato Lingua Italiana e
Inglese nelle classi 1ªC-2ªC-2D-3ªC-4ªC-5ªC
dellla Scuola Elementare di Pergine Valdarno-Montalto
dell’Istituto Comprensivo Bucine, Lingua Inglese con incarico del
Preside nelle classi 3ªA-4ªA-5ªA-5ªB della Scuola Elementare di
Mercatale in Valdarno dell’Istituto Comprensivo Petrarca Magiotti e Lingua
Inglese con incarico del Preside nelle classi 3ªA-3ªB della Scuola
Elementare di Levane dell’Istituto Comprensivo F. Mochi e ha svolto gli
esami di Licenza Elementare nelle 2 quinte a Mercatale Valdarno e nella
quinta a Pergine Valdarno; ho
insegnato Lingua Inglese nell’anno scolastico 2001-2002 con incarico
annuale, nella classi 1ªC-2ªC-2D-3ªC-4ªC-5ªC della Scuola Elementare di
Pergine Valdarno-Montalto dell’Istituto Comprensivo di Bucine; nell’anno
scolastico 1998-1999 ho insegnato Sostegno al IV° Circolo di Arezzo (Servizio Scuola Elementare).
[179]
Nell’a.s corrente insegno, con nomina del Preside, Lingua Inglese nelle
classi 1ªC-2ªC-3ªC della Scuola Media di Pergine Valdarno dell’Istituto
Comprensivo di Bucine (Ar); nell’anno scolastico
1999-2000 ho insegnato Lingua Inglese nelle classi 1ªA-2ªA-2ªB-3ªA
della Scuola Media Don Lorenzo Milani dell’Istituto Comprensivo Pian di Scò
(Ar) essendo commissario agli esami di Licenza Media e Lingua Inglese
presso la Scuola Media Marcelli dell’Istituto Comprensivo di Forino (Ar) nella
classe 1ªC. (Servizio Scuola Media).
[180]
Cambi F., op. cit., p. 50
[181]
Lumbelli L., Psicologia
dell’educazione: la comunicazione.
Il Mulino, Bologna, 1982.
[182] Con due di loro il rapporto esiste ancora. Lavorano entrambi da due anni in una fabbrica di acconciatura di pelli.
[183]
Devo, però, ammettere che nella scuola erano presenti alunni motivati, che
avevano incontrato difficoltà con insegnanti nella scuola pubblica.
[184]
Una didattica della visione consiste nel progettare ogni visione di un film
suddivisa in tre momenti:
Prima
della visione, in cui
l’insegnante deve accendere la curiosità del ragazzo, focalizzando
l’attenzione sull’argomento
Visione
del film
Dopo
la visione:
l’alunno potrà qui confrontare la risposta data dal film con la propria e
con quella dei compagni.
[185]
Si veda Allegato1, p. 33. Il questionario fornisce il quadro
complessivo della classe e da esso emerge anche la presenza di ragazzi a
rischio. Uso lo stesso questionario di entrata nelle classi del secondo
ciclo della scuola elementare, mentre nel primo ciclo uso test non
strutturati che richiedono ai bambini di disegnare se stessi, la propria
famiglia e la propria classe..
[186]
Alla fine dell’anno io e il prof. Esposito somministreremo un questionario
di riflessione sull’attività didattica da noi svolta: si veda Allegato
2, p. 34 .
[187]
Nelle lezioni di Lingua Francese è stata approfondita la funzione didattica
del teatro in classe; nel I° Anno Ssis noi studenti di Francese abbiamo,
basandoci sul testo Salutations di Eugène Ionesco, recitato la pièce,
scritto il copione sulla base della nostra drammatizzazione e inventato a
partire dal testo le griglie dei personaggi rappresentati, un carnet
di esercizi di scrittura creativa con attività di jeux de role e di
movimento, di lingua, di grammatica e di lessico.
[188]
Nel mio insegnamento di Lingua Inglese ho proposto alla classe di delineare
l’insegnante ideale: “Your ideal
teacher” (Il prof. Ideale). Ho chiesto agli alunni di spiegare
quali fossero i problemi con i loro docenti, li ho incoraggiati a delineare
le qualità del loro insegnante ideale, invitandoli a recitare la parte di
quest’ultimo e a tenere, in questa veste, una lezione al resto della
classe per una decina di minuti. Il loro ruolo di studente è stato, invece,
ricoperto da un compagno di classe (in genere il più antipatico ai suoi
occhi), vero e proprio alter ego nella dinamica ragazzo-insegnante
ideale. Dopo ogni rappresentazione, gli alunni hanno dovuto commentare
insieme lo sketch.
[189]
Jung. C. G., L’uomo e i suoi simboli,
Milano, Oscar Mondadori, 1985.
[190]
Si veda Allegato 3, p 34.
[191]
Il lavoro di gruppo è una risorsa psico-pedagogica, che sviluppa nel
singolo allievo la disponibilità, il mettersi in gioco e le criticità nel
fare teatro e scuola.