TESINA INTERDISCIPLINARE

Anno Scolastico 2000-2001

 

 

IL MURO DENTRO

 

 

Prof. Massimiliano Badiali

 

1. TESI

Con la caduta del Muro di Berlino sembra che sia crollato l’ultimo grande sistema assolutistico. Ma il muro non è soltanto in apparenza una costruzione visibile in pietra, il muro è ogni manifestazione di chiusura del cuore dell’uomo, che nasconde a se stesso il vero io. Anche adesso come nel passato i muri esistono e sono quelli ancora più difficili da abbattere. Un percorso a ritroso nel tempo e nelle discipline per dimostrare che il muro è dentro di noi.

 

2. ARGOMENTI DISCIPLINARI TRATTATI

Tedesco: La caduta del muro di Berlino

Storia: Dalla caduta del muro di Berlino a ritroso a Yalta fino al nazismo e al fascismo

Diritto: I Patti Lateranensi

Italiano: Tozzi e il cattolicesimo patologico, D’Annunzio e il superomismo

Inglese: la crisi di Wall Street negli Stati Uniti, Roosevelt

Scienze delle Finanze : il New Deal e Keynes

Tecnica: i mercati di consumo

Geografia: la globalizzazione

Sono trascorsi 12 anni da quando, sotto lo sguardo attonito dei poliziotti del ex-ddr migliaia di tedeschi, animati da una irrefrenabile voglia di libertà, facevano crollare uno dei simboli più vergognosi dell'Europa. Era l'alba di una domenica di agosto del 1961 quando la Repubblica Democratica Tedesca, sotto la guida di Erich Honecker, dette inizio alla divisione di Berlino con il filo spinato. Strade, linee ferroviarie tra Berlino est e Berlino ovest furono interrotte, mentre ai cittadini di Berlino est venne interdetto il passaggio nella parte ovest della città. Nei giorni successivi le barriere provvisorie vennero sostituite da un vero e proprio muro e il 23 agosto 1961 venne ufficialmente proibito agli abitanti di Berlino ovest di varcare il confine orientale della città. I drammatici eventi del 1989 con la fuga in massa di cittadini dalla Repubblica Democratica Tedesca attraverso il confine ungherese e le dimostrazioni di Lipsia portarono, dopo settimane di discussione, a una nuova legge che permise ai cittadini di varcare il confine solo per viaggi "privati" all'estero. Poco tempo dopo grandi masse di cittadini di Berlino est iniziarono a varcare il confine occidentale, aprendo varchi di passaggio nel muro.

Der Fall der Mauer war die Folge wachsenden inneren und äußeren Drucks. Dabei spielte die Entwicklung in der Sowjetunion eine entscheidende Rolle. Bei seinem ersten Staatsbesuch in der Bundesrepublik Deutschland im Mai 1989 unterrichtete Michail Gorbatschow, der durch eine neue Politik im Sinne von Glasnost (Transparenz) und Perestroika (Umgestaltung) sein Land vor dem Zusammenbruch bewahren wollte, Bundeskanzler Kohl über die Aufgabe der Breschnew-Doktrin. Moskau hatte demnach nicht mehr die Absicht, demokratische Umwandlungen in ihren Satellitenstaaten gewaltsam zu verhindern. Das bedeutete über kurz oder lang den Untergang der DDR, deren Existenzberechtigung rein ideologisch begründet war. Bereits am 2. Mai begann Ungarn, den Eisernen Vorhang abzubauen, und am 11. September öffnete es seine Grenze nach Österreich. Diese Maßnahmen führten zu einer Massenflucht von DDR-Bürgern. Andere suchten in den Botschaften der Bundesrepublik in Prag und Warschau Zuflucht. Im Zeitraum von sechs Monaten gelangten mehr als 220 000 Ostdeutsche in den Westen. Gleichzeitig entwickelten sich im Schutz der Kirche Oppositionsgruppen (Neues Forum, Demokratie Jetzt, Demokratischer Aufbruch), die eine Veränderung der DDR von innen her anstrebten und den Ostberliner Machtapparat in Frage stellten. In Leipzig versammelten sich trotz des brutalen Eingreifens der Polizei immer mehr friedlich protestierende Menschen zu Friedensgebeten und Montagsdemonstrationen: 1000 Demonstranten am 4. September, 120 000 am 16. Oktober skandierten politische Losungen: „Freie Wahlen", „Wir bleiben hier", „Wir sind das Volk" usw. Am 7. Oktober beging die DDR den 4. Jahrestag ihres Bestehens, aber die Feierlichkeiten gerieten zu Protestaktionen gegen das Regime, das mehr als 1000 Demonstranten festnehmen ließ. Ehrengast Gorbatschow wurde vor dem Palast der Republik von der flehenden Menge mit „Gorbi, hilf uns!"-Rufen empfangen. Dieser äußerte vorausschauend: „Wer zu spät kommt, den bestraft das Leben.". Diese Warnung war an die Führung der SED gerichtet, die Honecker im selben Zuge absetzte. Honeckers Nachfolger wurde am 18. Oktober der Apparatschik Egon Krenz, der am 3. Dezember seinerseits zum Rücktritt gezwungen war. Der offizielle Abriß der Mauer begann am 13. Juni 1990 in der Bernauer Straße durch 300 DDR-Grenzsoldaten und wurde von 600 Pionieren der Bundeswehr vollendet, die mit 13 Bulldozern, 55 Baggern, 65 Kränen und 175 Lastwagen ausgerüstet waren. Bis auf sechs Abschnitte, die als Mahnmal erhalten wurden, war die innerstädtische Mauer bis November desselben Jahres abgerissen. Der Rest verschwand bis November 1991. Die Betonblöcke wurden zerkleinert und vor allem zum Straßenbau verwendet. 250 Mauerteile wurden zwischen 10 000 und 150 000 DM versteigert. Heute ist von der Mauer fast nichts mehr zu sehen, auch wenn ihr Verlauf über 20 Kilometer im Zentrum der Stadt teils durch eine rote Linie, teils durch eine Doppelreihe Pflastersteine gekennzeichnet ist. Hier und da stehen noch ein paar Überreste als Zeichen der Erinnerung. Den Berlinern war daran gelegen, daß diese schmerzende Wunde so schnell wie möglich zuheilt. Deshalb ist es heute auch schwer, sich die Teilung einer Metropole durch einen Vorhang aus Eisen und Beton vorzustellen. Trotzdem hat die Umwandlung, die Berlin seit 1989 erlebt, nicht alle Spuren der Mauer ausgelöscht, weder in der Stadt noch in den Köpfen. Der Schriftsteller Peter Schneider räumt auch ein, daß es länger dauern werde, die Mauer in den Köpfen abzureißen, als ein Bauunternehmen für die gleiche Arbeit benötigen würde.

Il 12 novembre 1989 il muro venne ufficialmente aperto nella zona della piazza di Postdamer, e il mese dopo la porta di Brandeburgo fu aperta ufficialmente per il passaggio pedonale, mettendo fine alla distruzione totale del muro, i cui pezzi cominciarono ad essere venduti come souvenir. Da lì a poco tempo sarebbero caduti tutti i simboli del comunismo europeo, Varsavia, Praga, Budapest, fino ad arrivare alle sofferte dichiarazioni di indipendenza dei paesi baltici. Ma il 9 novembre del 1989 è per gli europei una data simbolica, un momento storico che ha segnato la fine di un'ideologia. Chi oggi visita la città, che trasformata in un grande e pulsante cantiere si appresta a ridiventare a tutti gli effetti la capitale della Germania riunificata, deve fare un grande sforzo per immaginare come si potesse presentare un tempo, divisa a metà, ferita da un muro alto quattro metri. Sono passati solo dodici anni da allora e già ci sembra impossibile che per quasi un trentennio a Berlino, nel cuore dell'Europa, gli abitanti di una stessa città siano stati costretti a ignorarsi o, addirittura, a odiarsi. Adesso che il muro è crollato viene da chiedersi come sia stato possibile che si sia deciso di costruirlo. Ma la storia si nutre di fatti, di avvenimenti che rispecchiano le diverse temperie dei secoli: così è stato anche se a noi, nell'epoca di Internet, sembra assurdo che sia stato possibile erigere barriere di questo genere. La responsabilità di questa divisione del mondo in due blocchi, quello comunista nell’area est del pianeta e quello liberale nell’ovest furono certamente determinati dal Congresso di Yalta (4-12 febbraio 1944) e di Postdam (17 luglio - 2 agosto), ove i vincitori sovietici, americani e inglesi si incontrarono per discutere l'organizzazione dell'Europa, e in particolare del futuro della Germania, dopo la fine del conflitto. Gli accordi stabilivano l’influenza parziale o totale dell’URSS nei paesi dell’Europa orientale (Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Albania) che l’Armata rossa aveva liberato dalla dominazione tedesca, mentre l’Italia e la Grecia, con tutte le altre nazioni occidentali, sarebbero dovute rimanere sotto l’influenza alleata. La carta d'Europa mutò profondamente. Le maggiori annessioni furono realizzate dall’Unione Sovietica la quale aggiunse alle terre occupate tra il 1939 e il 1940 (Galizia, Estonia, Lettonia e Lituania) la Polonia orientale. Quale compenso per tale perdita il nuovo governo polacco ricevette dalla Germania l’ampia fascia territoriale comprendente importanti centri quali Stettino e Breslavia nonché Danzica e il suo territorio, ad eccezione di Konigsberg passata all’Unione Sovietica con il nome di Kaliningrad (da M.J. Kalinin, tra il 1922 e il 1946 uno dei massimi responsabili del governo sovietico). L'Italia dovette cedere l'Istria e parte della Venezia Giulia alla Iugoslavia; l'Austria e la Cecoslovacchia riottennero l'indipendenza. La Germania, privata di una buona parte dei territori sul confine orientale (Prussia orientale, Pomerania e Slesia, cedute alla Polonia), venne divisa in due repubbliche, la Repubblica Federale Tedesca e la Repubblica Democratica Tedesca, mentre Berlino risultò a sua volta divisa fra gli ex alleati in quattro settori. A Yalta inoltre si stabilì la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), erede della Società delle Nazioni e retta da un consiglio di sicurezza composto da Cina, Francia, Inghilterra, URSS, USA, con il compito di tutelare la stabilità degli assetti esistenti e la pace. La parte più importante degli accordi di Yalta fu comunque la Dichiarazione sull'Europa liberata, con la quale si stabilivano principi importantissimi per la vita democratica del continente. In essa si stabiliva una politica comune al fine di "aiutare i popoli d'Europa liberi dalla dominazione della Germania nazista, e i popoli degli Stati satelliti dell'Asse, a risolvere con mezzi democratici i loro problemi politici ed economici più importanti" il futuro del continente sarebbe stato realizzato in base ai principi della Carta Atlantica: "diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale vogliono vivere - restaurazione dei diritti sovrani e di autogoverno in favore dei popoli che ne sono stati privati dalle potenze aggreditrici". Gli errori commessi da Yalta furono numerosi, molte nazioni furono divise senza tener conto del principio di nazionalità o di lingua, nazioni come Lituania, Lettonia ed Estonia che furono assoggettate e che solo da un decennio sono nuovamente indipendenti. E la stessa Germania si è trovata unita di nuovo dopo 44 anni di divisione, maturando ora il sessantennio dell’unione (dal 1870 al 1945 dal 1989 al 2001), macchiatasi per un ventennio di un fio inaccettabile come il nazismo. Ripercorre gli episodi salienti del nazismo servirà a dimostrare il difficile cammino di un popolo, che dal genocidio è passato alla dittatura e dalla dittatura forse solo ora sta vivendo in maggiore libertà. Anche se i germi del nazismo erano già nell’area anche prima della conquista del potere di Hitler nel pangermanismo dei filosofi, si pensi ai Discorsi alla Nazione Tedesca di Fichte sulla superiorità della razza germanica, il primo regime dittatoriale di Destra in Europa si instaurò in Italia. Nei primi anni del dopoguerra prese corpo in Italia fino a giungere alla conquista del potere e all’instaurazione di una dittatura una forza politica nuova : il fascismo. Si trattava di un fenomeno che non aveva precedenti diretti nel passato per l’applicazione sistematica e generalizzata del metodo della violenza, che pretendeva autogiustificarsi su un’ideologia dell’azione e della vitalità del diritto del più forte. L’idea fascista era quella che riteneva che lo stato dovesse essere totalitario ed onnipotente. Il nuovo Stato mirava dunque ad assorbire, totalmente in se stesso gli individui come i gruppi sociali, le comunità locali come le voci della cultura, le Chiese come le correnti d'opinione. Questo Stato assumeva pertanto gli aspetti di un nuovo idolo, di un dio terreno, a cui tutto doveva essere sacrificato o subordinato. Ma il fascismo non si sarebbe mai imposto se non si fosse fatto a capo di una serie di tendenze illiberali e antidemocratiche. In Italia la crisi del partito liberale, le lotte dei socialisti fra riformisti e minimalisti creò la possibilità a questa forza nuova. Mussolini partì da una visione squadrista, di lotta alla monarchia ed alla Chiesa, fondando i Fasci di combattimento nel 1919, ma poi si avvicinerà alla filosofia di Gentile, conservatrice e reazionaria. Il regime fascista proponendosi dapprima come difensore della Patria e restauratore della dignità nazionale e poi ben presto proclamando la perfetta identità fra se stesso e lo stato, non doveva lasciare scampo ad alcuna forma di opposizione diretta. Venne riesumata la pena di morte, che era gloria italiana avere da più di un secolo abolita, e tale feroce castigo fu riservato appunto a colpire i crimini politici. I tribunali ordinari con le loro garanzie per gli imputati non furono ritenuti adatti a giudicare questo genere di reati, per cui si istituì, fuori di ogni norma e di ogni garanzia, un tribunale speciale, senza alcun diritto di appello. Le carceri si riempirono di comunisti, o cosi detti comunisti, molti dei quali erano degli infelici appartenenti a qualsiasi partito o di nessun partito, ma che avevano mostrato di non gradire il regime attuale e di arrischiarsi a censurare talora qualche punto della sua opera politica o amministrativa. L'intolleranza, il diritto alla persecuzione erano la fondamentale ideologia della dittatura italiana. Il fascismo nacque e seppe sfruttare le tendenze illiberali ed antidemocratiche già presenti nella cultura del Novecento, diffusasi in vasti settori della media e piccola borghesia, percorsi da una vasta crisi di identità e di sbandamento. Il fascismo fu sostenuto anche dalle classi conservatrici. Gli storici distinguono due fasi all'interno del fascismo : quella gentiliana (1922-1929), e quella cattolico-reazionaria che culminò con i Patti Lateranensi ( dal 1929 al 1945). L'11 Febbraio 1929 furono stipulati i Patti Lateranensi, con cui veniva risolta la lunga opposizione fra Stato Italiano e Chiesa, dopo la presa di Roma a cui era conseguito il "Non Expedit" di Pio IX. I Patti riconoscevano la sovranità e l'indipendenza del Papa : il concordato inoltre prevedeva le clausole di riconoscimento civile del matrimonio religioso, l'obbligo dell'insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole medie in quanto "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica" il divieto ai sacerdoti apostati di insegnare nelle scuole pubbliche, il riconoscimento da parte statale delle organizzazioni d’Azione Cattolica in quanto esse svolgevano le attività, al di fuori di ogni partito politico. Per la Chiesa la Conciliazione significò la garanzia di un proprio spazio d’azione nell'uniforme ed oppressiva realtà dello Stato fascista. La Chiesa cosí sì garantì in Italia un posto di preminenza. Il papa Pio XI° riuscì a mantenere i rapporti con lo stato fascista in una situazione di continua tensione. Ma e' proprio a causa di questo Weltschaung che i cattolici tornarono ad esercitare e ad avere all'interno dello stato fascista un loro ruolo. Si consumo' una ardua battaglia fra mondo cattolico e fascismo ; il nuovo stato si sentì impacciato nel prendere una politica anticIericale. Il terreno più acceso fu la qualificazione dell'Italia postconcordataria: se l’Italia dovesse essere uno Stato etico-laico o confessionale-cattolico. Lo stato fascista apparentemente si manifestò come religioso, ma poi fu laico. Il cattolìcesimo e i cattolici, come ho cercato di dimostrare, ebbero una notevole influenza nel periodo fascista, essendo legati ad un'etica universale: Invece l’ideologia del fascismo era parziale e pasticciata, con la combinazione dell'obbedienza cieca, cioè al di qua del libero arbitrio e delle sollecitazioni all'odio dei nemici con il sacro dovere dell'immolazione per la patria per il partito, e il duce. Questo dimostra come il fascismo non abbia avuto una ideologia propria, ma si basi su idee giolittiane e crispiane all'inizio, e poi, su riletture e strumentalizzazionì del pensiero cattolico. Non si creò una nuova cultura, ma il modo fascista. La cultura fascista " finì per presentarsi come una religione ( G. Langella). La fonte della mistica era Mussolini : si può parlare del fascismo così come di una cultura "sub specie mistica". Il Regime cercò in esso un'identità culturale capace di raccogliere il consenso unanime della nazione. Mussolini infatti adoperò la Chiesa sul fronte interno del sentimento religioso italiano e considerandola come instrumentum regni. Nel 1946 i membri dell'Assemblea Costituente si trovarono a discutere, durante la redazione della Costituzione Italiana, se accettare il testo degli accordi e di inserirlo, eventualmente, nella costituzione. Grazie anche ai voti del PCI i Patti furono inseriti nel testo della Costituzione all'articolo 7, nonostante le evidenti contraddizioni con l'articolo 3 e l'articolo 8.

Articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (...)".

Articolo 7: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale."

Articolo 8: "Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze."

Resisi conto di ciò, i costituenti decisero di rimandare ad un successivo momento l'adeguamento del concordato alla Costituzione. Solo nel 1984 si giunse ad una modifica del concordato, firmata dal primo ministro Bettino Craxi e dal cardinal Casaroli, con la quale, anche se si aboliva l'anticostituzionale riferimento alla "sola religione dello stato", si introduceva l'ora di religione alle scuole materne, sostituendo nel contempo la congrua col meccanismo dell'8 per mille, molto più vantaggioso per la Chiesa. Le modifiche venivano successivamente ratificate in legge nel 1985. La Revisione del Concordato ha cancellato da quello precedente quelle che furono definite "foglie secchissime", cioè le norme ormai non applicate o perché in troppo evidente contrasto con la Costituzione, o perché cancellate dal referendum sul divorzio del '74. In effetti il nuovo testo, mentre conferma le libertà per la Chiesa cattolica già garantite dalla Costituzione, ripete la condizione particolare della Chiesa a proposito di esenzioni fiscali per fini di religione e di culto (non chiaramente definiti); prevede matrimonio concordatario, cappellani negli ospedali, nelle carceri e nelle forze armate ed esenzione dal servizio militare per i chierici. Nella cultura fascista vissero ed operarono molti intellettuali. Anche il romanziere Tozzi visse in questi anni: la sua religiosità è così estrema che "questo suo cattolicesimo diviene quasi patologico" nelle figure di suoi personaggi. Tozzi, senese (1883-1920), socialista anarchico da adolescente, approderà ad un cattolicesimo mistico ed aggressivo. Il suo terrore per Dio nasce dalla paura per la figura del padre : il Dio di Tozzi non è quello provvidenziale di Manzoni, ma un Dio che trasforma i propri figli in bestie. L’uomo nei romanzi di Tozzi è come una bestia in preda all’ansia, incapace di ragionare, che uccide senza pietà. Soprattutto sul capolavoro Con gli occhi chiusi (1912-1913) vorrei soffermare l'attenzione. Protagonista è Pietro; la donna verso cui è proteso si chiama Ghisola (che allude fonicamente all'isola, la « terra promessa », l'ideale). Pietro è un recluso, un sequestrato, un imprigionato dietro quella frontiera degli occhi chiusi, tagliato fuori dalla realtà giudicabile della vita concreta, perché una malattia agli occhi l'ha provvisoriamente accecato. Guarisce dalla cecità fisica, ma gli resta una cecità psicologica: non vuol più vedere il mondo. Così il romanzo si pone come un resoconto di una realtà quale essa appare a chi non possiede i criteri razionali per vederla nei suoi concatenamenti naturalistici, nei suoi nessi causa-effetto. La sua irrefutabilità oggettiva è spaventosa; è come se Tozzi attraverso Pietro ci dicesse che non vuol più vedere, e di conseguenza inventariare la realtà; decide anzi di chiudere gli occhi. In questo periodo, denominato in letteratura Decadentismo, gli scrittori in poesia o nel romanzo approfondiscono la scoperta dell'io sull'individuo valorizzata dal romanticismo. Ma, mentre l'eroe romantico, si opponeva al mondo lottando per l'ideale nel reale (Adelchi) ora l'io decadente si rivolge verso se stesso scavando in questo nucleo originale della personalità (Gioanola). Se nel Romanticismo si ha una fuga dell'io verso il mondo, nel Decadentismo, c'è la fuga dell'io verso se stesso. La contrapposizione fra io e mondo che era stata esasperata dal positivismo, che distingueva l’oggetto dal soggetto conoscente, cosicché l'io diventava ricercatore impersonale, è superata. Il Decadentismo distingue fra io e mondo. Nel romanzo decadente si guardano le debolezze e le perversioni senza la volontà programmatica dei naturalisti e molte volte le esperienze dei personaggi corrispondono a quelle dello scrittore. La coscienza di crisi dell’intellettuale decadente o è vissuta in senso intimistico (Pascoli, Verlaine, Pirandello, Svevo) oppure fugge nell’eccentrico e nel patologico. Nascono così dei dandy esteti, scrittori maledetti. Nella loro visione egocentrico-narcisistica hanno un nuovo rapporto con la propria vita : essi vogliono fare della loro vita un’opera d’arte. Esempi del romanzo decadente estetizzante sono Controcorrente di Huymans, The Picture of Dorian Gray di Wilde e il Piacere di D'Annunzio. In A Rebours Huysmans crea la Bibbia del Decadentismo. Nell’opera troviamo la presenza del sogno e di una sensualità vissuta come eccentrica proclamazione e la morte come elemento costitutivo della vita. Des Esseintes è il capostipite della lunga schiera degli eroi decadenti, esteti freddi, vinti dalle nevrosi. Il personaggio non ha la tumultuosa vita interiore degli eroi romantici, ma un intellettualistico disprezzo per la regola, ma altresì predilige la ricerca dell’artificio, dell’irregolare e dell’innaturale. L’arte e la bellezza divengono un ideale da raggiungere come schermo alla volgarità della normalità. Anche WiIde nel Dorian Gray porta in letteratura una autentica vocazione allo scandalo, con i suoi atteggiamenti eccentrici dipendenti, forse, dal dolore di una vita che conosce un processo per omosessualità la prigionia e la miseria.

"The artist is the creator of beautiful things. There is no such thing as a moral or an immoral book. Books are well written or badli written. Vice and virtue are to the artist materials for an art" (preface).

Il Piacere è povero d’intreccio. L’innovazione sta anche nell’immissione del diario di Maria che crea una metascrittura romanzesca. Il romanzo non è la cinica proposta di estetismo, ma la denuncia del vuoto morale. Romanzo barocco della Roma mondana e romanzo sensuale. Andrea Sperelli è schiavo consapevole della propria sensualità, egli mente a se stesso e si rifugia nell’estetismo per mancanza di valori. Un mondo fallace e vacuo come quello barocco, che sente il bisogno di riempire. Un romanzo che rievoca il culto estremo dell’oggetto, il feticismo dell’arte. Questi romanzi presentano un personaggio che vive lacerazione con la società. Sono questi degli antieroi vocati alla rinuncia, alla fuga ed alla passività. Messe in crisi le capacità euristiche della ragione, questi antieroi cercano di realizzarsi fuggendo dal reale, nel tentativo di esorcizzare la vita attraverso l'arte. Il mito del Supeominismo dannunziano si riallaccia alla politica di violenza che caratterizzerà il fascismo. La concezione del superuomo dannunziano matura sotto l'influsso di Nietzsche, ma in realtà ne è una rielaborazione che fraintende o che, diversamente da Nietzsche, rielabora L'ubermensch (l'oltre-uomo: metafora dell'espressione, della liberazione dell'uomo dalle sue miserie e affermazione di valori come la vitù) e lo identifica con l'eroe, secondo cui l'istinto è la sola verità e la morale una menzogna; l'unica legge è il dominio. Avvicinandosi alla belva l'uomo supera l'uomo e realizza, appunto, l'eroe; quindi le caratteristiche del superuomo dannunziano sono: l'energia, la forza, che si manifesta con la volontà di dominio, con l'amore della violenza, lo sprezzo del pericolo; l'esuberanza sensuale, il libero disfrenarsi dei diritti della carne e della natura umana; la visione aristocratica della società, il disprezzo per la plebe e contro la nuova borghesia dell'industria e del commercio», animata solo da ideali bassi e meschini di gretto guadagno; rifiuto dei nuovi princìpi di libertà e di uguaglianza, in nome di un diritto superiore al dominio, che spetta a pochi eletti, i quali formino un'oligarchia tesa a difendere la Bellezza e tenere schiave le plebi, che hanno un innato bisogno di essere tenute schiave. Ma è una vita inapplicabile, i personaggi sono collocati in un'atmosfera irreale e dominati da questi ideali risultano troppo perversi, degenerati e amorali e non suscitano quel necessario moto di simpatia verso il lettore. A tali e tanto arroganti pretese fanno da contrappunto i fallimenti dei protagonisti (Claudio Cantelmo non riesce a decidere quale principessa sposare). L’attivismo dannunziano si spinse a organizzare e intraprendere una serie di imprese di plateale effetto. Fu, per esempio, a bordo di uno dei tre Mas che la notte del 10 febbraio del 1918 lanciarono siluri contro navi austriache nella baia di Buccari, presso Fiume, e pochi mesi dopo con una squadriglia di aerei volò su Vienna lanciando dal cielo migliaia di volantini inneggianti la resa. A guerra finita fu attivo avversario di quella che definì "la vittoria mutilata" e concentrò il proprio impegno di oratore e "uomo d’arme" sulla questione di Fiume, la città che parte dell’opinione pubblica e dell’esercito voleva italiana, questione che poi sarà condivisa dal duce. Mentre certi intellettuali europei nazi-fascisti inalzavano il muro con sciocche distinzioni razziali, gli Stati Uniti sembrarono diventare tutto d’un tratto un colosso dai piedi d’argilla, poiché la regola per mantenere il benessere economico era che questo non poteva che aumentare: per continuare ad esistere doveva espandersi in continuazione, secondo lo schema tipico della società consumistica, basata sul circolo vizioso produrre-consumare-produrre di più-consumare di più; con la continua necessità di creare nuovi bisogni ed aspettative nel mercato. Giovedì 24 ottobre 1929, il mondo si svegliò dalla favola bella che lo aveva illuso: l’idea che la ricchezza potesse crescere all’infinito evaporò all’apertura della borsa di Wall Street, quel giovedì d’autunno, che sarebbe passato alla storia come il "giovedì nero". Nei cinque anni che precedettero il disastro il valore dei titoli di borsa americani si era quadruplicato, infondendo negli speculatori un’incrollabile certezza nella solidità del sistema: questo innescò, coll’andare del tempo, una sconsiderata corsa al rialzo, dovuta alle speculazioni sfrenate, portando i titoli ad una sopravvalutazione critica; quando in qualcuno la fiducia venne meno, il mercato si sgonfiò come un palloncino. Mi spiego: la differenza tra il valore reale di un’azienda (immobili, capitali, macchinari, fatturato eccetera) ed il suo valore azionario non può superare una certa forchetta; perché se la disparità è troppo forte, prima o poi si scapicolla giù. Oggi esistono dei meccanismi di ammortizzamento degli eccessivi rialzi e ribassi: nel 1929 no; perciò, la prima crepa che incrinò il monumento di fiducia cieca nel mercato che era Wall Street, fece crollare tutta l’impalcatura. Naturalmente, nel panico delle svendite forsennate, le azioni scesero di molto sotto quel valore reale delle imprese che, come abbiamo visto, è l’unico dato non virtuale in tutta la faccenda, mettendo in crisi l’intero sistema capitalistico. Già martedì 29 ottobre (il "martedì nero"), la borsa nuovayorkese aveva perso tutti i guadagni dell’intero anno. Ma la crisi non doveva interessare solo la borsa: la domanda di beni di consumo scemò rapidamente, le vendite calarono, la produzione risultò esorbitante rispetto ai consumi, e l’industria si inceppò; il capitalismo prima maniera mostrava tutti i suoi limiti: iniziava la Grande Depressione.

Thursday, October 24, 1929 has the dubious honor of being called Black Thursday because it was on this day that the New York Stock Exchange crashed, heralding the end of the "Roaring Twenties" and the beginning of the Great Depression. We've all read about it in the history books, but what was it like for the people of the time? What did they see in the newspaper when it happened? What did they see that might have warned them of the impending trouble -- or worse, might have helped cause it?? In the 1920's, things were really rocking in the US and around the world. The rapid increase in industrialization was fueling growth in the economy, and technology improvements had the leading economists believing that the uprise would continue. During this boom period, wages increased along with consumer spending, and stock prices began to rise as well. Billions of dollars were invested in the stock market as people began speculating on the rising stock prices and buying on margin. The enormous amount of unsecured consumer debt created by this speculation left the stock market essentially off-balance. Many investors, caught up in the race to make a killing, invested their life savings, mortgaged their homes, and cashed in safer investments such as treasury bonds and bank accounts. As the prices continued to rise, some economic analysts began to warn of an impending correction, but they were largely ignored by the leading pundits. Many banks, eager to increase their profits, began speculating dangerously with their investments as well. Finally, in October 1929, the buying craze began to dwindle, and was followed by an even wilder selling craze. On Thursday, October 24, 1929, the bottom began to fall out. Prices dropped precipitously as more and more investors tried to sell their holdings. By the end of the day, the New York Stock Exchange had lost four billion dollars, and it took exchange clerks until five o'clock AM the next day to clear all the transactions. By the following Monday, the realization of what had happened began to sink in, and a full-blown panic ensued. Thousands of investors -- many of them ordinary working people, not serious "players" -- were financially ruined. By the end of the year, stock values had dropped by fifteen billion dollars. Many of the banks which had speculated heavily with their deposits were wiped out by the falling prices, and these bank failures sparked a "run" on the banking system. Each failed bank, factory, business, and investor contributed to the downward spiral that would drag the world into the Great Depression.

Entrò in crisi l’intero mercato agricolo, crisi che, con l’impossibilità da parte degli agricoltori, grandi clienti delle banche di prestito, di pagare i debiti, causò il crollo del sistema creditizio, col fallimento di molte banche. Nel 1933 le industrie Usa producevano la metà di quanto non facessero nel 1928, con, per conseguenza, il 25% della forza lavoro a spasso: 13 milioni di disoccupati. L’economia migliorò con il Welfare State, ossia lo stato sociale, fondato da F.D. Roosevelt, presidente degli Usa dal 1932 al 1945. In effetti, il suo New Deal, il nuovo corso che impose all’economia, fu il primo tentativo di conciliare il capitalismo con l’attenzione alle classi più deboli economicamente, riformando profondamente l’economia americana, che, fino ad allora, era improntata al puro e semplice liberismo d’iniziativa privata. In pratica, Roosevelt si lanciò in una politica economica basata su grossi investimenti pubblici e su di una partecipazione (e, quindi, un controllo) da parte dello Stato nell’attività economica.

In U.S. history, New Deal for the domestic reform program of the administration of Franklin Delano Roosevelt; it was first used by Roosevelt in his speech accepting the Democratic party nomination for President in 1932. The New Deal is generally considered to have consisted of two phases. The first phase (1933-34) attempted to provide recovery and relief from the Great Depression through programs of agricultural and business regulation, inflation, price stabilization, and public works. Meeting (1933) in special session, Congress established numerous emergency organizations, notably the National Recovery Administration (NRA), the Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), the Agricultural Adjustment Administration (AAA), the Civilian Conservation Corps, and the Public Works Administration. Congress also instituted farm relief, tightened banking and finance regulations, and founded the Tennessee Valley Authority. Later Democratic Congresses devoted themselves to expanding and modifying these laws. In 1934, Congress founded the Securities and Exchange Commission and the Federal Communications Commission and passed the Trade Agreements Act, the National Housing Act, and various currency acts. The second phase of the New Deal (1935-41), while continuing with relief and recovery measures, provided for social and economic legislation to benefit the mass of working people. The social security system was established in 1935, the year the National Youth Administration and Work Projects Administration were set up. The Fair Labor Standards Act was passed in 1938. The Revenue Acts of 1935, 1936, and 1937 provided measures to democratize the federal tax structure. A number of New Deal measures were invalidated by the Supreme Court, however; in 1935 the NRA was struck down and the following year the AAA was invalidated. The President unsuccessfully sought to reorganize the Supreme Court. Meanwhile, other laws were substituted for legislation that had been declared unconstitutional. The New Deal, which had received the endorsement of agrarian, liberal, and labor groups, met with increasing criticism. The speed of reform slackened after 1937, and there was growing Republican opposition to the huge public spending, high taxes, and centralization of power in the executive branch of government; within the Democratic party itself there was strong disapproval from the "old guard and from disgruntled members of the Brain Trust. As the prospect of war in Europe increased, the emphasis of government shifted to foreign affairs. There was little retreat from reform, however; at the end of World War II, most of the New Deal legislation was still intact, and it remains the foundation for American social policy.

Il New Deal avrebbe trovato forma compiuta nell’opera "Teoria generale dell’impiego, dell’interesse e della moneta", che, nel 1936, fu pubblicata dall’economista inglese J.M. Keynes, che indicò proprio nell’intervento dello Stato a sostegno della domanda la soluzione del problema. Secondo Keynes i soli meccanismi del mercato non sono sufficienti per cercare di ottenere in un sistema economico la piena occupazione dei fattori produttivi e in particolare del fattore lavoro. Se non interviene la politica economica a correggere le disfunzioni, spesso nel sistema capitalista si realizza un equilibrio tra la domanda e l'offerta globali caratterizzato da una sottoccupazione dei fattori. All'origine delle crisi spesso è il sottoconsumo: all'aumentare dei redditi infatti nelle economie avanzate i soggetti economici tendono ad aumentare i consumi in misura meno che proporzionale; viceversa i risparmi aumentano in misura maggiore, senza assicurare necessariamente un aumento degli investimenti produttivi nella stessa misura. Il mercato della moneta infatti non garantisce automaticamente l'uguaglianza tra risparmi e investimenti così come era sostenuto invece dalla teoria tradizionale (si ricordi la legge degli sbocchi di J.B. Say). D'altra parte queste due grandezze non dipendono solo dalle variazioni del tasso di interesse: i risparmi dipendono soprattutto dal livello del reddito e tendono ad aumentare in misura più che proporzionale rispetto all'aumento dei redditi; gli investimenti invece dipendono molto dalle aspettative di profitto degli imprenditori: le imprese pertanto, anche in presenza di bassi tassi d'interesse, non sono indotte ad investire se non hanno soddisfacenti aspettative sui rendimenti futuri. Un basso livello di investimenti inoltre può far aumentare la disoccupazione che a sua volta contribuisce a provocare una diminuzione della domanda di beni di consumo. Si genera quindi spesso una carenza di domanda aggregata complessiva (consumi + investimenti) che provoca le crisi, caratterizzate da una sovrapproduzione (in pratica le imprese non riescono più a collocare sul mercato ciò che producono). Per affrontare in maniera adeguata tali situazioni è necessario l'intervento dello stato attraverso adeguate misure di politica economica e in particolare di politica finanziaria anticongiunturale (incremento delle spese pubbliche, da finanziare anche col ricorso all'indebitamento pubblico e diminuzione del carico fiscale, soprattutto per i soggetti meno abbienti che hanno una maggiore propensione marginale al consumo). Secondo Keynes è necessario quindi abbandonare i principi del laissez – faire (lasciar fare) che caratterizzavano la teoria economica classica.
Le tesi sostenute da Keynes contengono inoltre anche forti implicazioni sul piano sociale in quanto gli interventi pubblici volti a favorire un incremento della domanda dei beni di consumo presuppongono che nei sistemi capitalistici il reddito sia distribuito in maniera più equa tra i vari soggetti economici. Una grande concentrazione di reddito nelle mani di pochi d'altra parte provoca un aumento della propensione al risparmio, che potrebbe non essere utilizzato ai fini produttivi (in sostanza si tradurrebbe in un fattore "non occupato"), con conseguente crisi economica derivante da una domanda globale insufficiente. Sotto molti aspetti quindi la teoria keynesiana può essere considerata "rivoluzionaria" rispetto alla teoria economica tradizionale (classica e neoclassica). Se le democrazie occidentali reagirono alla crisi del ’29 in chiave Keynesiana, da parte delle dittature socialnazionali l’intervento statale nel reggere il timone dell’economia fu ancora più drastico. La campagna elettorale che portò, nel 1932, la NSDP ad essere il primo partito tedesco, vide tra i punti principali del programma di governo di Hitler proprio la lotta alla disoccupazione; il che portò ai nazisti i voti del Lumpenproletariat e, in generale, delle classi lavoratrici. Insomma, quando Hindenburg, il 30 gennaio 1933, si decise ad affidare ad Hitler il cancellierato, a spingerlo a questa azione così terribilmente rivoluzionaria furono, da una parte le pressioni della classe operaia, ma, in assai maggior misura, quelle di Papen e dei poteri forti dell’industria tedesca, come i Krupp, i Thyssen e i Siemens; questo prova che l’idea nazionalsocialista di partecipazione statale all’impresa aveva attecchito anche nei salotti buoni dell’imprenditoria. Comunque sia, se dobbiamo indicare un comune denominatore nell’atteggiamento dell’economia nazista e di quella fascista, dobbiamo dire che entrambe miravano ad una generale autosufficienza dall’esterno: all’autarchia. L’autarchia appariva non solo il frutto di un poderoso sforzo nazionale, ma, soprattutto, avrebbe permesso ai due regimi, ampiamente boicottati dalla Società delle Nazioni, di affrancarsi dal ricatto degli embarghi e di perseguire una politica interna ed estera del tutto spregiudicate; senza contare che l’idea autarchica soffiava sul fuoco dell’orgoglio nazionale. In particolare, a partire da una certa data, che potremmo collocare intorno alla metà degli anni ’30, le due economie (naturalmente, quella tedesca in maniera più sensibile) si dedicarono ad un imponente riarmo; il che significava grandi commesse statali e, quindi, una dilatazione della spesa pubblica, esattamente come nel caso del New Deal americano. La crisi Americana si ripercosse in Germania facendo vacillare la già precaria Repubblica di Weimar. Le spinte conservatrici ed autoritarie si accentuarono; una prova tangibile di ciò fu l’ascesa di Hindenburg e la formazione di gruppi paramilitari. A differenza del Fascismo, che non aveva fin dal principio un programma ben delineato, il Nazismo fondava le proprie solide basi nel "Mein Kampf" l’opera che Hitler scrisse durante il suo anno di prigionia. Il testo riprendeva molto le teorie di Rosenberg e Chamberlain e affermava che tutte le vicende umane potessero essere interpretate come un eterno conflitto tra razze superiori, ariani, e razze inferiori, ebrei. Il concetto di razza doveva essere inteso proprio come biologico – genetico. A capo della razza Ariana doveva esserci il Fuhrer, un capo capace di interpretare le esigenze del popolo. Le esigenze primarie dovevano essere quella dello spazio itale e quella che doveva vedere unito nello stesso territorio tutte le popolazioni germaniche. Inoltre il movimento era anticomunista in quanto l’ideologia ugualitaria è frutto delle tendenze livellatrici e mortificanti delle razze inferiori. Nelle elezioni del 1928 il nazismo non ebbe molto successo, appena il 2,6 % dei voti. Man mano che la crisi economica si faceva più dura, crescevano i consensi e nelle elezioni del 1930 i nazisti ebbero oltre 6 milioni di voti diventando il II partito dopo i socialdemocratici. Come avvenne per il fascismo, anche il nazismo si servì delle squadre SS e SA per incutere timore nell’opposizione e nella popolazione in generale. Memore della sfortunata impresa di Monaco, Hitler non tentò mai il colpo di stato, ma cerco sempre di fare affluire nel suo partito tutte le forze nazionalistiche e conservatrici.. Alle elezioni politiche dello stesso anno i nazisti ottennero oltre 13 milioni di voti e si affermarono come I partito del paese. Furono le pressioni della grande industria, della finanza e della proprietà terriera a indurre Hindenburg ad assegnare ad Hitler la guida del governo e ad indire nuove elezioni per il 5 marzo 1933. Le violenze da parte delle SS e delle SA si fecero sempre più evidenti e culminarono con l’incendio del Reichstag di cui però vennero incolpati i comunisti. In seguito a quest’avvenimento, furono emanate le 28 leggi eccezionali con le quali si limitavano le libertà civili e veniva dichiarato fuori legge il partito Comunista. Alle elezioni del 1933, Hitler non ebbe il successo sperato, ma grazie all’appoggio dei gruppi nazionalisti riuscì ugualmente ad avere la maggioranza. Subito dopo fece approvare la "legge dei pieni poteri" che porto alla liquidazione dell’opposizione e all’abolizione dei Lander ridotti a entità amministrative dipendenti dal governo centrale. Il 30 giugno nella notte conosciuta come "notte dei lunghi coltelli", utilizzando le SS Hitler fece uccidere i principali capi della cosiddetta sinistra nel partito (SA) che agitavano ancora l’idea di una rivoluzione sociale. Qualche mese dopo le elezioni Hindenburg morì. Hitler decise di non sostituirlo e nonostante mantenesse solo la nomina di cancelliere in pratica assunse anche la carica di presidente. A poco a poco tutta la vita tedesca cominciò ad essere controllata dal regime che tra l’altro cominciò a mettere in pratica alcuni dei punti presenti nel programma come ad esempio quello della bonifica razziale; vennero bruciati tutti i libri ebrei ritenuti fautori di teorie democratiche e socialiste. Anche in Germania come in Italia il regime andò alla ricerca del consenso. Moltissimi erano i discorsi del Fuhrer trasmessi via radio, le grandi adunate e i campi di maggio adornati con splendide coreografie rappresentanti i simboli del potere. La liquidazione dei rimasugli d’opposizione era stata affidata alla Gestapo, una polizia segreta che prendeva gli oppositori e li deportava in campi di lavoro. Con le leggi di Norimberga del 1935, gli ebrei furono privati della cittadinanza tedesca e gli vennero ridotte altre libertà. Il 9 novembre nella "Notte dei cristalli", molti ebrei furono deportati in campi di lavoro, incendiate sinagoghe e attività ebraiche. L’industria tedesca venne agevolata dal rigido inquadramento dei lavoratori in strutture cooperative guidate dal partito. La ripresa economica tedesca era affidata pure a un vasto programma di lavori pubblici e di riarmo. Hitler mostrò subito la sua volontà nel rivedere il trattato di Versailles e dopo avere firmato un patto a 4 con Italia, Inghilterra e Francia per il mantenimento della pace, decise di abbandonare la Conferenza di Ginevra sul disarmo nell’ottobre del ’33 e poco dopo fece uscire la Germania dalla Società delle Nazioni. Il 25 luglio 1934 un gruppo di Nazisti austriaci guidati da Hitler assassinò il cancelliere austriaco Dollfuss sperando nella confusione di potere facilitare l’annessione dell’Austria alla Germania. Mussolini, ancora vicino ad Inghilterra e Francia, si fece garante dell’indipendenza austriaca mandando truppe alla frontiera del Brennero. Il ’35 fu l’anno definitivo del riarmo tedesco, la popolazione del Saar decise dopo un referendum di tornare alla Germania. Hitler infischiandosi del trattato di Versailles ripristinò la leva obbligatoria e procedette al riarmo aereo e terrestre. Molto si è detto sull’antisemitismo, ma mai abbastanza si è scavato sul muro dentro al cuore degli uomini, che crea cieco odio. Anche in Italia uscirono documenti antisemiti. Di questi mi ha colpito Il Manifesto degli scienziati razzisti che venne pubblicato sul Giornale d'Italia il 14 luglio 1938. Il razzismo come fenomeno è fortemente connotato nella società ed anche l’atteggiamento delle potenze occidentali, eccetto quelle dell’Asse Roma-Berlino, non fu così corretto soprattutto verso le colonie. Questa profonda frattura nacque con la Rivoluzione industriale, che demarcò di più il confine fra stati poveri e ricchi, e che spinse, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, all’attuale massificazione della società, che ebbe le sue origini nella produzione di prodotti di largo consumo. Alla fine del secondo conflitto mondiale, come ho detto, con Yalta ci fu la divisione del mondo in due blocchi: quello capitalistico-occidentale e quello socialista-orientale. Il panorama internazionale è mutato solo nell’ultimo decennio, con la crisi del blocco socialista, disgregatosi in tempo breve. Tutti i paesi, dopo la caduta del muro di Berlino dal 1989 in poi, hanno aperto le loro economie al mercato. Oggi, perciò, si tende a riferirsi al mondo come unico sistema: sotto l’aspetto economico si parla di un unico mercato planetario. Oggi sentiamo parlare di globalizzazione, termine con cui si definisce l'odierno processo di unificazione culturale, economica, giuridica, politica ed etologica che conduce al superamento degli stati-nazione, delle autorità politiche e delle differenze etnoculturali in tutto il mondo sviluppato. La nostra società civile deve saper, a mio avviso, interpretare un importante ruolo nel contesto della globalizzazione, promuovendo, in un quadro di cooperazione con le altre società civili, interessi generali di alto profilo, che non possono non creare effetti favorevoli anche sotto ogni altro aspetto. Dialogo, comprensione e cooperazione sono infatti i necessari presupposti di una prospera e sicura convivenza pacifica, a sua volta imprescindibile quadro per sviluppare qualsiasi tipo di positivo rapporto. Gli sfavorevoli alla globalizzazione sentono il pericolo che tale cambiamento non sia necessariamente positivo. Le culture nazionali, secondo loro, rischiano di scomparire per lasciar posto ad una macro-cultura europea che non ha ragion d’esistere. Punti in comune tra i vari paesi del "vecchio continente", sicuramente ce ne sono, ma ciò non vuol dire aver lastricato un’unica strada da percorrere uniti. Non vuol dire aver trovato una ragione valida per abbandonare ai libri di scuola il passato nazionale e per coltivare una cultura priva di storia e tradizione. L’Europa unita è importante, a mio avviso, per il nostro futuro e sarebbe stupido opporsi ad essa, ma è di fondamentale rilevanza salvaguardare la nostra memoria storica e la nostra identità. L’Europa unita di cui parlo è l’Europa delle Patrie che può realizzarsi esclusivamente sulla base di un modello federale portatore di un’idea. Un modello basato sui valori comunitari, antiutilitaristici e meritocratici tanto cari a chi vuole effettivamente portare avanti un progetto serio di rapporti tra i vari paesi che non dimentichino l’aspetto sociale che la politica dovrebbe avere, ma che spesso viene accantonata per lasciare spazio a logiche di mercato. L’Europa delle Patrie non è l’Europa delle banche dove i grandi potentati economici possono lottare per la supremazia sopra le teste della popolazione quasi ignara. L’Europa delle Patrie è un "impero" realizzato sulla base di un modello federale e governato da un organismo che rappresenti tutti i paesi del continente. Lungo la strada si incontrano di continuo ostacoli, muri, che spesso sono dentro di noi, più che all’esterno. Il muro di Berlino sembrava essere caduto e adesso innanzi a noi ce n’è un altro ben più alto di quattro metri, che è la somma risultante dei muri esistenti nei nostri cuori.

 

 

B I B L I 0 G R A F I A
 
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